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July 16, 2020
Mephistopheles di Anagoor: un viaggio nel buio del cosmo e dellʼuomo
Stefania Santoni
Chi mi conosce (e legge) sa quanto la tradizione classica mi appartenga: da sempre sono alla costante ricerca delle sue tracce, dei suoi modi di declinarsi e manifestarsi. Come una vestale, tento di fare in modo che questʼantica fiammella non muoia mai. Ed è proprio da questa spinta che nasce un amore incondizionato per un collettivo teatrale sperimentale che da diversi anni illumina i miei pensieri e rende vive le mie parole. Perché è attraverso il teatro, da sempre una delle forme più potenti (e al tempo stesso più misteriose) di esperienza catartica collettiva, che Anagoor riporta alla luce codici classici volti ad istillare nuove considerazioni relative a situazioni e comportamenti sociali dei giorni nostri: grazie allʼabilità di saper magistralmente perturbare lo spettatore, questo collettivo riesce ad indurre e stimolare la riflessione sulle tragicità che albergano il nostro quotidiano.
Ma al tempo degli spazi aperti e del distanziamento sociale Anagoor ha scelto una forma nuova di fare drammaturgia: la compagnia ha difatti radunato «il materiale video raccolto tra il 2012 e il 2018 da Simone Derai e Giulio Favotto in un unico viaggio per immagini attraverso la luce e il dolore del mondo, musicato in un unico live set sinfonico da Mauro Martinuz».
Mephistopheles, eine Grand Tour sarà proiettato venerdì 17 e sabato 18, nel cortile Forgia di Centrale Fies. Ardua impresa definire e catalogare questo genere di produzione. Concepito e diretto da Simone Derai, Mephistopheles è un «concerto cum figuris»: non è uno spettacolo teatrale e nemmeno un film (troppo riduttiva questʼetichetta!). È uno scorrere di immagini mute, ma al tempo stesso accompagnate da una sonorità emozionale e straordinariamente identitaria. Perché qui il senso dellʼudito abbraccia e cuce a doppio filo quello della vista facendo vivere agli spettatori unʼesperienza sinestetica. La melodia si fa quindi interprete di quanto accade sullo schermo: è il racconto di un viaggio, quello di Goethe (che fece in Italia nel 1786) e quello di Faust. Ma è anche un viaggio nel buio della storia dellʼuomo: nel male, nelle tenebre, nella distruzione dentro e fuori di sé. Ed è proprio a partire da tale prospettiva che comprendiamo il titolo di questa produzione: Mephistopheles (il dispensatore di menzogne, secondo una possibile etimologia ebraica o colui che ha in odio la luce secondo quella greca) è il personaggio demoniaco che tentò Faust.
Recuperando lʼantica tradizione della cabala, il tempo di Mephisopheles viene scandito da sette sequenze: sette è difatti il numero degli astri (Sole, Luna, Giove, Venere, Mercurio, Marte, Saturno) che fanno da titolo agli episodi narrati e al tempo stesso catalogano il materiale video di Anagoor. Ad ognuno di questi astri spetta il compito di narrare una tappa di viaggio: un storia di buio, di non luce, che abita nellʼanima di ogni uomo.
Il viaggio inizia con una rievocazione del Faust di Anagoor: spiega Derai, «il sigillo iniziale è offerto da Goethe anziano che nel gennaio del 1832 a Weimar chiede alla nuora di riaprire i faldoni del Faust chiusi lʼestate prima. Fu lʼultima volta che rilesse la sua opera più grande. Poi morì. Tuttavia Goethe che spezza i sigilli dellʼopera come un angelo dellʼapocalisse è solo un pre-testo. Da quellʼatto si spalanca il nostro personale Grand Tour. Nostro nel senso dello sguardo proprio di Anagoor. Ma nostro anche nel senso di un viaggio dellʼumanità o ciò che ne resta, se ne resta qualcosa». È la metafora della fine, della non vita: foto staccate delle pareti si fanno custodi di ciò che è stato e che più non potrà essere.
Si continua con un tuffo nella culla della classicità: Anagoor ci trasporta letteralmente in un museo che ospita statue antiche, vale a dire quei corpi perfetti, concepiti secondo lʼideale di bellezza, che sono testimonianza di come tutto ha avuto inizio. Al principio del cosmo segue una serie di immagini, che scorrono velocissime e che si fanno portavoce di antiche pratiche rituali: sono sequenze di tradizioni cultuali così lontane e, al tempo stesso, così vicine.
Si prosegue con una scena di grande pathos, dove traspare in maniera più evidente lo sguardo di Mephistopheles: in che modo lʼuomo si relaziona con il mondo animale? Ecco che qui traspare la mostruosità dellʼumanità (ma chi è la vera bestia? Lʼuomo o lʼanimale?) verso il miracolo della nascita e della vita, raccontata da unʼimmagine suggestiva: quella di moltissime uova che non solo si schiudono in maniera non naturale ma che sono venute al mondo dettate dal bisogno dellʼuomo, dalla logica del profitto. «In questa sequenza, si assiste inoltre al parto mortifero di una scrofa in gabbia. Essere stati testimoni di queste nascite dolorose (le scrofe esauste dal processo di riproduzione intensiva partoriscono feti morti) notte dopo notte è stata unʼesperienza indelebile – quasi più sconvolgente della violenza prevedibile del mattatoio. Ecco lì ho avuto la sensazione di essere al cospetto del nadir», sottolinea Derai.
La narrazione continua con una sequenza dedicata al rapporto uomo-natura che è iniquo, subalterno e violento: ma questa volta la natura viene rappresentata nel suo gesto di ribellione, reso visibile dallo sguardo di un drone, sopra il cratere del Vesuvio. «La terra vista dallʼalto con sguardo zenitale e distaccato mi colpisce ancora e ancora quasi più della vicinanza intima con cui abbiamo osservato altri soggetti. Quando la scala cambia il cuore subisce un contraccolpo» precisa Derai.
Il viaggio si conclude con le due ultime tappe: la sesta si manifesta nella rappresentazione di una morte dettata e provocata dai processi industriali (non a caso qui vediamo carcasse di animali) mentre lʼultima è nuovamente ambientata in un allevamento e mostra ancora una volta la tracotanza dellʼuomo, che continuamente si sente legittimato di decidere sulla vita degli animali (ma più in generale, di tutti gli esseri viventi).
Grazie alla materia cinematografica di spettacoli teatrali come Lingua Imperii, Virgilio Brucia, Socrate il sopravvissuto, Faust, Orestea Anagoor riesce a dar vita ad un viaggio fatto di «immagini profeticamente raccolte nei musei e nei templi, nelle case di cura per anziani e negli allevamenti intensivi, tra macellai, pastori e pellegrini, in India, in Iran, ad Olimpia, sulla ferita campagna veneta e sul Vesuvio».
È un viaggio difficile, doloroso, perturbante: è una presa di coscienza di quel buio che da sempre contraddistingue lʼumanità. Perché è solo dalla consapevolezza dellʼoscurità che è possibile tentare un riscatto.
Photo courtesy Anagoor
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