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October 3, 2024

Pensare come una montagna: ecofemminismo e fantascienza nella performance di Marta Cuscunà

Stefania Santoni

La leggenda del popolo di Fanes racconta di una società matrifocale, dove il potere era custodito dalle donne e la natura era parte integrante della vita collettiva. Un regno antico in cui regine e marmotte coesistevano in una simbiosi armoniosa, fino a quando l’avidità e l’espansione patriarcale non ruppero questo equilibrio. È un mito di alleanze perdute, ma anche di resistenza, che ci ricorda un tempo in cui l’umano viveva in stretta connessione con il mondo naturale, riconoscendone la sacralità.

Questo antico racconto riflette le radici dell’ecofemminismo, che vede nel legame tra donne e natura una forza di ribellione contro le logiche di dominio e sfruttamento. Ma l’ecofemminismo sa espandersi anche oltre il mito, trovando un’eco nelle narrazioni della fantascienza. Qui, mondi futuri e ipotesi alternative spesso immaginano società post-patriarcali, in cui il potere è ripensato, la natura è rigenerata e l’alleanza tra specie diventa una necessità per la sopravvivenza. Le narrazioni ecofemministe nella fantascienza non solo riflettono, ma amplificano le questioni di giustizia ambientale e di genere, creando universi dove le gerarchie crollano e il futuro si fonda su relazioni simbiotiche.

È in questo intreccio di femmismo, fantascienza e contemporaneità che si colloca il lavoro di Marta Cuscunà, autrice e performer di teatro visuale. Con la sua voce potente e visionaria, oggi apre un nuovo capitolo di Pensare come una montagna (il programma biennale promosso dalla GAMeC) a Casnigo. Nella cornice del Teatro Circolo Fratellanza, la performer ci conduce in un viaggio oltre il visibile, dove la natura non è solo uno scenario, ma una presenza viva, un simbolo di resistenza e interconnessione. I suoi lavori, intrisi di ecofemminismo e fantascienza, esplorano il delicato equilibrio tra l’umanità e le forze naturali, svelando alleanze multispecie che ci invitano a ripensare la nostra esistenza su questo pianeta.

Marta, la montagna è spesso vista come uno spazio di resistenza e riflessione. In che modo la montagna influenza il tuo lavoro performativo e la tua visione delle “creature più-che-umane”?

Arrivando in una rassegna dal titolo così evocativo come “Pensare come una montagna”, mi viene naturale riflettere su un aspetto personale: mi sono sempre sentita una creatura legata al mare, poiché questo è il paesaggio che abita il mio orizzonte quotidiano. Tuttavia, la montagna è entrata nel mio percorso artistico grazie a Centrale Fies. Lavorare lì per dieci anni ha introdotto questo nuovo paesaggio nella mia pratica artistica, al punto che la montagna è diventata parte integrante dei momenti di creatività, raccoglimento e scambio profondo. Tutto ciò che ruota attorno a Centrale Fies, dai legami che ha saputo tessere agli scambi artistici proiettati verso la contemporaneità, è diventato per me il cuore simbolico dell’andare in montagna.42_6368_MARTA_CUSCUNA_foto©MasiarPasquali

Caliamoci nella performance di questa sera…

Durante il racconto performativo, presenteremo figure meccaniche (dei corvi), che negli ultimi anni hanno animato i miei spettacoli. In questa performance, esplorerò tematiche legate all’ecofemminismo e alla fantascienza ecofemminista, approfondendo come la narrazione possa diventare una pratica di cura in un periodo caratterizzato da urgenze climatiche e umanitarie. Se, come suggerisce Donna Haraway, saremo capaci di scegliere le storie giuste da raccontare, potremo allenare la nostra immaginazione e creare visioni di futuri in cui la nostra specie possa non solo sopravvivere su un pianeta danneggiato, ma anche intraprendere un percorso per risanarlo.

Come nasce il tuo incontro con la fantascienza eco-femminista?

La scoperta della fantascienza ecofemminista è arrivata con Il canto della caduta, un lavoro che era rivolto al mondo dei miti e delle leggende, dei racconti ancestrali: un salto vorticoso, questo, dal mito di Fanes alla fantascienza di Donna Haraway. Questa sera partiremo proprio dalle sue storie delle Camille, racconti che l’autrice inserisce nel suo saggio Staying with the Trouble legato ai temi del nuovo regime climatico in cui ci troviamo a vivere e che, come si evince dal titolo, invita a stare a contatto con il problema senza abbandonarsi alla disperazione. Dall’idea delle Camille e di queste nuove comunità umane che andranno a migrare nelle zone devastate del pianeta con l’intento di risanarle attraverso l’ibridazione con specie in vie d’estinzione, proverò a intrecciare altre storie di fantascienza di autrici che hanno risvegliato la mia fantasia. Penso a Octavia Butler (una tra le prime scrittrici nere di fantascienza che è riuscita ad affermarsi), che scardina gli stereotipi inseriti all’interno del sistema razzializante in cui viviamo: attraverso il suo racconto Figlio di Sangue inizierò un percorso nel tema della riproduzione nella fantascienza eco-femminista. Si tratta di una questione centrale perché la consapevolezza di vivere su un pianeta in cui le risorse non sono illimitate dovrebbe portarci a farci delle domande come specie sulla modalità di riproduttiva illimitata, sul fatto che questo approccio non sia sostenibile e porti sempre più bambini e bambine a non trovare risposte ai propri bisogni fondamentali, a non riuscire ad attuare una vera e autentica giustizia climatica. In Figlio di Sangue viene immaginato un futuro in cui la specie umana potrà riprodursi in modo interspecifico con esseri enormi, dotati di molte zampe e un po’ inquietanti, che riescono a installare all’interno del corpo umano delle larve che poi portano alla gravidanza e al parto di creature non umane.  La particolarità di questo racconto è il fatto che la riproduzione avvenga in un corpo maschile: Octavia Butler, nella prefazione, scrive infatti che aveva sempre desiderato provare a immaginare una situazione così lontana dalla nostra realtà, vale a dire un corpo maschile che affronta concepimento, gravidanza, parto. In questo sistema di riproduzione interspecifico, l’uomo (cioè il maschio della nostra specie) è libero di scegliere se iniziare la gravidanza attraverso un dialogo con la creatura non umana che accetta e accoglie la scelta. L’uomo, inoltre, è libero di interrompere la gravidanza. Questo tema viene amplificato dalla lettura di alcuni estratti che provengono da un altro romanzo incredibile; mi riferisco a La mano sinistra delle tenebre di Ursula Le Guin dove viene immaginato un altro pianeta del nostro sistema solare. Qui vive una comunità umana che ha visto sperimentazioni genetiche: si tratta del popolo di Gethen che trascorre la maggior parte della propria vita in forma androgina. Lo sviluppo dell’identità sessuale, la fioritura della sessualità e la potenzialità riproduttiva di questo popolo avvengono soltanto nell’incontro con l’altro. Se due Getheniani si incontrano nel diciottesimo giorno del loro ciclo sessuale i loro organi si sviluppano e da lì può avvenire un incontro sessuale che, quando si conclude, consente a ogni abitante di tornare alla propria forma androgina. Nell’incontro successivo i due non sapranno se saranno maschio o femmina: non c’è possibilità di scelta. Così avviene che la madre di molti figli possa essere anche il padre di molti altri. Questa plasticità sessuale, così immaginativa, è una caratteristica presente in alcune forme animali sulla Terra. Ci sono pesci che nascono maschi ma possono diventare femmine se l’equilibrio della loro comunità richiede una maggiore presenza femminile. La biologia contemporanea ci insegna che le modalità di riproduzione sono molteplici e che il modello di famiglia tradizionale non è l’unico esistente.

Nel tuo racconto performativo esplori il confine tra il naturale e l’antropico. Come queste interconnessioni tra specie e ambienti dialogano con la dimensione fisica e simbolica della montagna?

Il confine non esiste; le narrazioni ecofemministe o della biologia contemporanea ci raccontano che questo strappo vissuto fino adesso (che ci ha portate a sentirci altro dalla natura) ha bisogno di essere ricucito perché noi siamo natura. Il pianeta come “grande sasso” sopra il quale dovevano regnare indistintamente (e sopra il quale potevamo fare un po’ tutto ciò che volevamo) mostra una qualche somiglianza con la montagna: è un organismo vivente, un sistema complesso di forme, di simbiosi che sostengono la vita. 

Un’ultima domanda. Che cosa rappresenta per te il femminismo?

Credo che i pensieri femministi abbiano a che fare con i diritti di tutt. Non sono discorsi unicamente relegati al mondo femminile o alle donne: il femminismo apre a dei ragionamenti che hanno a che fare con i corpi oppressi e sfruttati. In questo punto la natura, Gaia, ha molte analogie con quello che subiscono i corpi femminili e tutte quelle specie che sono state considerate inferiori alla nostra. In questo senso il termine alleanza sembra rappresentare quello che per me è significato entrare all’interno di percorsi femministi. Si tratta di un viaggio in profonda evoluzione perché il femminismo necessità di fluidità. Le idee mutano nel corso del tempo: come sostiene Donna Haraway, è necessario stare nel problema, accettare il cambiamento. 19c_01225_MARTA_CUSCUNA_foto©MasiarPasquali

Foto credits: 1 Evelin Mazzaro, 2/3 Masiar Pasquali 

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