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March 20, 2012

Calciare e nulla più: recensione a Sforbiciate di Fabrizio Gabrielli

El_Pinta

Un calciatore, dopotutto, ha da calciare.

Mica fare altro.

Calciare.

E nulla più.

Cos’è una sforbiciata?

Innanzitutto è un gesto tecnico e atletico del gioco del calcio. Una sforbiciata è un colpo aereo durante il quale il giocatore colpisce la palla incrociando le gambe (come, appunto, si incrociano le lame di una forbice) con il corpo parallelo al terreno. Spesso la sforbiciata viene a torto confusa con la rovesciata, ma si tratta di due concetti tutto sommato diversi.

La rovesciata è un salto nel buio, un esercizio di coordinazione privo di coordinate e affidato al caso: sia perché la porta resta alle spalle del giocatore e quello deve perciò affidarsi a un calcolo approssimativo e al destino, sia perché nella maggior parte dei casi la rovesciata nasce da un rimpallo che fa schizzare il pallone verso l’alto posizionandolo in modo da favorire il colpo (ve la ricordate la rovesciata di Bressan contro il Barcellona?).

Al contrario, la sforbiciata, pur restando un gesto istintivo, è un esercizio di coordinazione ben più calcolato. Solitamente il giocatore riceve la palla, tesa, da una delle fasce laterali del campo e ha il tempo per valutare la traiettoria del pallone in relazione alla posizione della porta, che resta sempre visibile (e la sforbiciata di Quagliarella contro la Reggina, ve la ricordate?). Il gesto atletico è più calcolato e preciso. Se nella rovesciata si chiudono gli occhi e ci si butta sperando che la palla s’insacchi nella rete, durante una sforbiciata gli occhi restano aperti e si compie il gesto con lo sguardo fisso sull’obiettivo.

La rovesciata è trascendente. La sforbiciata è immanente.

Questo per fare della filosofia.

Ma la sforbiciata è anche quel colpo di forbice che ritaglia, separa e divide qualcosa. È un gesto infantile e artistico allo stesso tempo. Infantile perché ha il fascino materiale della casualità: quello per cui si tagliuzzano i giornali solo per godere del sottile piacere di ascoltare il rumore delle lame che si incontrano e scivolano l’una sull’altra. Artistico perché la selezione e il ritaglio sono momenti essenziali della pratica artistica. Si toglie il superfluo, si elimina il rumore di fondo, per far emergere ciò che realmente conta, ciò che importa davvero.

Infine, Sforbiciate è anche un libro di Fabrizio Gabrielli edito da una casa editrice di Prato, Piano B. Il sottotitolo recita, Storie di pallone, ma anche no, e che il libro parlasse di calcio penso che lo dovreste aver capito già da un po’, o sbaglio? Ci sono modi e modi di parlare e soprattutto di scrivere di calcio: c’è chi ne racconta il marcio, chi l’epica, chi la mistica, chi ancora usa il calcio come pretesto per parlare d’altro (del tempo, di fotografia, ecc.).

Gabrielli del calcio racconta gli interstizi, quei ritagli di vita che spariscono tra i calci, ché alla fine è quello che conta di più, i calci, nel calcio. C’è un calciatore al centro di ognuna delle storie raccontate in Sforbiciate, ma lo sguardo non è mai fisso su di lui come un riflettore. Al contrario, intorno al calciatore Gabrielli si muove con la stessa imprevedibilità di una mosca: scarta, divaga, si allarga e converge, esegue finte e doppi passi manco fosse Quaresma (ma ve lo ricordate Ricardo “La trivela” Quaresma? Che fine avrà fatto?). È così che prendono forma i racconti raccolti in questo libro, storie di coraggio o di follia, storie tristi e, a volte, magiche in cui il calcio accompagna la narrazione nei suoi percorsi alla scoperta degli uomini che stanno sotto quelle casacche colorate che punteggiano il rettangolo verde, di domenica in domenica (e in tempi recenti pure di lunedì, mercoledì, giovedì o venerdì).

E, alla fine della fiera, poco importa se quando hai cercato su Youtube non lo hai trovato,  quel gol fantastico di cui hai letto nel libro, o se nella rosa del Perù del 1974 quel giocatore dal nome impronunciabile proprio non si trova. Qui l’unica realtà che conta è quello spazio che si apre tra la prima e la quarta di copertina, lo spazio del reale che solo la letteratura può regalare, al di fuori di quello si può solo calciare. Mica fare altro. Calciare. E nulla più.

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