Food
February 16, 2024
Olga in cucina:
Intervista a Valentina Raffaelli
Stefania Santoni
A Rovereto c’è una casa speciale chiamata “Olga”. Qui abita (e lavora) Valentina Raffaelli, trentina che dopo un lungo periodo trascorso all’estero ha scelto di rientrare nel luogo delle sue radici, della sua infanzia. È difficile trovare le parole giuste per parlare di Valentina perché la sua indole versatile e curiosa ha una natura complessa: Valentina è una ricercatrice, un’esploratrice. Ma anche una cuoca e soprattutto un’autrice. Lei è una professionista che sa tradurre con le parole (e quindi rendere reale e fruibile) ciò che sperimenta. Sa cogliere con attenzione e intelligenza quello che osserva così da comunicarlo a tutti e tutte. E lo fa parlando di cibo, interrogandosi su ciò che mangiamo, sulle origini della nostra cucina, su come venivano utilizzati e scelti gli alimenti da portare in tavola ai tempi dei nostri nonni e delle nostre nonne.
Valentina, il tuo avvicinamento al mondo della cucina ha seguito un iter particolare, non canonico. Me lo racconti?
Sono nata a Rovereto, dove ho vissuto per tutta l’adolescenza fino a quando non sono partita per andare a studiare all’università nel 2005 e da lì non sono più rientrata fino a pochi mesi fa. Sono sempre stata molto legata alla montagna, alla natura anche se negli ultimi vent’anni l’ho vissuta da esterna. Di formazione sono architetta e designer: ho lavorato molti anni ad Amsterdam nel mondo del design occupandomi di allestimenti museali e poi di styling per aziende di prodotti editoriali fino a quando nel 2015, un po’ per scherzo, un po’ per sperimentarmi in qualcosa di nuovo, non ho messo piede nella cucina di un ristorante molto famoso della capitale olandese e me ne sono totalmente innamorata. E a seguito di questo innamoramento che cosa è successo?
Un poco alla volta ho abbandonato ciò che stavo facendo, scegliendo poi di dedicarmi interamente alla cucina. Ma essendo una persona sempre in fermento nel 2019 il mio lato creativo si è rifatto sentire: mi sono messa in ascolto di me stessa e ho dato spazio a un nuovo desiderio. Ho iniziato a interrogarmi sulla mia professione, sull’essere una cuoca: riflettevo sulla sostenibilità del cibo, sul consumo della carne e così sono partita per un viaggio in Italia, durato un anno intero, in cui con il mio compagno Luca (illustratore e designer di giochi), abbiamo esplorato insieme il nostro Paese. iIl mio intento era scoprire se fossero ancora esistenti quelle pratiche della cucina di un tempo (senza sprechi, per esempio) che avevo avuto modo già da piccola di conoscere con le mie nonne, ma che poi avevo perso un po’ di vista. Non sapevo infatti quanta di questa tradizione fosse ancora presente nella nostra cultura alimentare. Questo viaggio è stato quindi dettato da domande legate al mio posizionamento rispetto al consumo della carne rispetto a me stessa, come persona, ma soprattutto come cuoca (in un ristorante le percezioni cambiano totalmente: si pensi ad esempio alle quantità di cibo servite, ma anche al rapporto totalmente distaccato con l’animale che viene sezionato con estrema naturalezza, con automatismo come se fosse una “cosa”, un “oggetto”). Desideravo vedere con i miei occhi quale fosse la situazione. Che cosa hai osservato e imparato da questo viaggio?
Abbiamo esplorato un pò tutte le regioni, soprattutto i contesti lontani dal turismo e dagli stereotipi che anche l’Italia come altri paesi porta con sé. Ho raccolto una serie di ricette ancora vive e appartenenti alla tradizione antica del quinto quarto, delle frattaglie e molto altro. Parallelamente mi sono occupata di una ricerca su tutto il mondo vegetale che però volevo tenere silente (è molto più semplice parlare del mondo vegetale che di quello animale): in parallelo al lavoro di ricerca sugli scarti della carne, abbiamo difatti girovagato per decine e decine di mercati, siamo entrati in contatto con aziende agricole e piccole realtà per conoscere quella biodiversità non visibile nella grande distribuzione e legata alla tipologia di ortaggi specifica a un territorio. Volevamo sapere e capire se fosse ancora viva, presente nella nostra quotidianità. È soprattutto nella montagna che ho ritrovato una logica ben raccontata di questo ritmo esistente tra uomo, natura, animale, un ritmo che si esprime in questo genere di cucina tradizionale e che invece negli allevamenti intesivi non si può riscontrare. In questo viaggio sono stata spesso ospitata in ristoranti e trattorie d’Italia dove ho avuto modo di formarmi. E così nel 2020 è nato il primo libro di una serie che si chiama “Scarti d’Italia”, illustrato da Luca Boscardin, il mio compagno, e pubblicato per Corraini Edizioni. Una pubblicazione che è stata un bellissimo coronamento di questi due anni di ricerca e studio.
E dopo il tuo primo libro?
Rientrata ad Amsterdam e quindi di nuovo ai fornelli, il mio approccio alla cucina era decisamente cambiato rispetto alla scelta e all’utilizzo delle materie prime nei miei piatti. A seguire, desiderosa di sperimentarmi nuovamente, di conoscere e fare nuove esperienze, mi sono spostata in altre terre come la Francia (in Provenza) e poi di nuovo in Italia (in Toscana, un luogo che ci ha fatto sentire davvero a casa e che ci ha scaldato il cuore). Qui ho lavorato in un agriturismo vero, dove tutti i prodotti erano a KM zero, dove i piatti erano prevalentemente a base vegetale e quindi realizzati con i doni dell’orto. Ero alle prese con “Scarti d’Italia 2” e la mia vita era scandita dai tempi e dalle volontà di un orto (così dovrebbe sempre essere quando si prepara un piatto), un elemento che detta nel vero e proprio senso della parola l’organizzazione della cucina, di un menù. Quest’esperienza formativa ha rappresentato un passaggio importante per me: penso al dover fare i conti con gli effetti del cambiamento climatico che stiamo vivendo (che rendeva il terreno eccessivamente secco per via della siccità) e quindi la necessità di fare delle scelte su quali ortaggi coltivare e quali no in base alla disponibilità di acqua. Una volta terminata quest’esperienza abbiamo fatto ritorno ad Amsterdam fino a che non abbiamo sentito il desiderio di rientrare in Italia, di nuovo in Trentino, a Rovereto. La tua ultima pubblicazione invece parla d’insalate: me ne parli?
Sì, l’ultimo libro è uscito a ottobre e s’intitola “Insalate per un anno”: si tratta di un libro di ricette che ha l’intento di far utilizzare verdure anche di “serie B”, che si trovano al mercato, così da invitare le persone a vivere al meglio la biodiversità. Penso al sedano rapa, alle barbabietole, alle pastinache insieme alle insalate più conosciute (ma che sono tutte diverse le une dalle altre: ci sono erbe più piccanti come rucole e i crescioni mentre alcune sono più aromatiche o dolciastre) cosi da valorizzarle. Ora è più semplice avere a disposizione la “cassetta di ortaggi del contadino”. È cambiato il rapporto produzione-consumazione: negli ultimi decenni eravamo abituati a reperire tutto quello che cercavamo; con l’orto invece s’inverte questa dinamica, anche se rimane una pratica di nicchia, perché poche persone hanno questa consapevolezza. Penso anche a quello che accade nei ristoranti: prima si scrive il menù sulla carta, poi si acquista, una cosa paradossale, una logica – -quella della domanda e dell’offerta – che dovremmo completamente ribaltare.
Un’ultima domanda. A Rovereto vivete in una casa speciale: Olga…
A Rovereto abbiamo trovato una casa di cui ci siamo subito innamorati: un palazzo antico, di fine Ottocento, pieno di stanze, con porte meravigliose, spazi enormi in cui dar vita a nostri sogni e desideri. Abbiamo così creato e allestito il nostro studio in questa casa che abbiamo chiamato “Olga”. Vorremmo che questo luogo diventasse aperto: a dicembre, prima di Natale, abbiamo realizzato un mercatino di libri, di giocattoli creati da Luca, di stampe. Era un invito ad aprire le porta di casa nostra per invitare le persone che abitano il nostro stesso luogo a conoscerci. Adesso stiamo cercando di costruire un calendario di appuntamenti fissi come delle mattinée con incontri creativi dove durante delle colazioni s’invitano delle persone diverse a raccontare le proprie storie ed esperienze, così da fare rete, creare sinergie e relazioni. Mi piacerebbe inoltre introdurre dei workshop dedicati sia alla ricerca del cibo di cui mi occupo, che momenti dedicati a bambini e famiglie.
Creditsi: Valentina Raffaelli
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