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May 24, 2022
Centrale Fies riapre le porte al pubblico con KAS e “Un Weekend Cannibale da sogno”
Stefania Santoni
Finalmente ci ri-siamo. Centrale Fies torna con un festival diffuso, per festeggiare i 43 anni di attività di un luogo che negli anni ha sostenuto, prodotto e lanciato artiste e artisti internazionali e italiani, mostrando al pubblico le nuove tendenze della scena teatrale e performativa contemporanea.
La programmazione si apre giovedì 26 maggio con KAS, mostra collettiva di natura performativa con Mohamed Abdelkarim, Simon Asencio, Miriam Cahn, Giulia Damiani & Le Nemesiache, Alessandra Ferrini, Belinda Kazeem-Kamiński, Vanja Smiljanić , a cura di Simone Frangi e Barbara Boninsegna
E prosegue il 27-28-29 maggio con “Un Weekend Cannibale da sogno”, curato da Barbara Boninsegna con Francesca Pennini e CollettivO CineticO. Una tre giorni che si ramifica a partire dal Manifesto Cannibale di CollettivO CineticO, un focus sulla compagnia che diventa esercizio di evasione in ambiti altri come foraging e yoga fino alle gare di resistenza, in un invito all’esperienza diretta, alla complicità, al gioco, alla condivisione come paradigma fondamentale della relazione con spettatrici e spettatori.
Lʼaltro giorno ho avuto il piacere di intervistare Simone Frangi e Francesca Pennini. Vediamo che cosa possono raccontarci a proposito del programma di apertura del festival.
Simone, attraverso quali codici artistici è stata trasformata la leggenda di Kas - antica e mitica città delle Marocche di Dro – in una mostra performativa? Quali pattern narrativi sono stati utilizzati?
KAS è una mostra collettiva di natura performativa che costituisce il terzo episodio di “Trilogia anti-moderna”, ciclo di esposizioni che Centrale Fies dedica da alcuni anni alla relazione tra gli oggetti e le loro attivazioni, rivalorizzando forme di sapere (affettivo, somatico, visuale) censurate o soppresse dalla modernità sesso-coloniale occidentale.
Dopo la mostra collettiva “Storia Notturna” (2020) dedicata all’esplorazione di prassi di stregoneria performativa e la bi-personale di Josefa Ntjam e Joar Nango (2021) impegnata nella decostruzione del concetto eurocentrico di genealogia e delle versioni orientalizzanti e depoliticizzate dell’idea di indigeneità, KAS riflette insieme ad un gruppo di artisti e artiste internazionali sulla funzione di topoi mitologici e della fabbricazione collettiva immagini di “urbanità primigenie” nei processi fondativi delle “comunità immaginate”.
Il titolo prende infatti le mosse da Kas, un città premoderna che sarebbe esistita nel sito di Fies prima della grande frana che creò nella preistoria il biotopo delle Marocche e testimoniata dal ritrovamento di un laterizio – sulla cui “veridicità” e “autenticità” gli storici ancora dibattono – e tenuta viva da fabulazioni popolari e dalla produzione pittorica del farmacista locale Alfeno Liboni.
Kas diventerà il punto di partenza di artiste ed artisti per articolare una serie di questioni sociopolitiche che sottendono a tali immaginari, spesso considerati innocui, ma in realtà innervati da forme di lotta critica nei confronti di architetture oppressive: archeologia e orografia speculativa come fonte di legittimazione dei nazionalismi o la loro ri-appropriazione funzionale in funzione anti-nazionalistica; violenza simbolica e materiale dei processi di fondazione nonché della loro trasmissione e riproduzione attraverso archivi materiali e visuali o attraverso nozioni egemoniche di patrimonio e eredità culturale; l’artificialità del tempo della storia e della sua tripartizione in passato, presente e futuro; l’affermatività della nozioni speculative di futurità e catastrofe; la riforma del concetto artificiale di “oggettività” e le possibilità della sua erosione.
Come le altre due mostre della triologia, KAS avrà una durata “statica” di due mesi e sarà attivata con un ciclo di performance in occasione di Live Works Summit 2022.
Francesca, il corpo è al centro del programma proposto da CollettivO CineticO per Un weekend cannibale da sogno. In che modo è declinato, pensato e immaginato?
Il corpo de “Un Weekend Cannibale da Sogno” è al centro, ma forse lo è sempre e sempre in modi diversi. In questo caso il corpo diventa soggetto di esperienza, è il corpo di tutte e tutti, artiste e artisti, spettatrici e spettatori, con uno scambio reciproco di attenzione.
È un corpo di esperienza che va a toccare anche delle funzioni che a volte sono fuori dai bordi dell’interesse scenico-teatrale e che riguardano delle tecnologie molto antiche che abbiamo e che siamo, come quella del sonno, del sogno o del metabolismo… C’è una volontà di aprire, anche partendo da queste funzioni, a possibilità di rilettura filosofica, poetica, artistica, politica anche di questo stare nel mondo e di creare mondi attraverso la pratica del sonno e del sogno.
Penso che il corpo sia messo in una condizione, non si tratta di un corpo che rappresenta o che si esprime attraverso una tecnica professionale, ma la condizione scenica in sè è un dispositivo per permettere ai corpi di entrare in uno stato particolare, e permette agli altri corpi di osservarla e osservarsi in quella condizione, di esserne parte a tutti gli effetti.
Vorrei mettere luce, convogliare attenzione e intensità a stati di presenza che potenzialmente appartengono a tutte e a tutti, allora questa riflessione può sbordare fuori dal momento performativo e può diventare un accompagnamento alla propria quotidianità. Vorrei che fosse un contagio di pensiero del corpo e con il corpo, un pensiero che si fa anche con i muscoli, i nervi, le ossa e che con quel corpo possa ripensarsi.
Il corpo dell’Altro è il mio corpo, i corpi del Weekend Cannibale sono sempre in una dialettica: cosa significa stare nell’Altro, stare nella differenza? Dove sconfina e come si può mescolare il bordo dell’individuo? E come l’individuo può essere divisibile e immersivo, costante mescolamento.
Che cosa accade a un corpo sognante? E in che modo i corpi si ibridano e trasformano attraverso pratiche respiratorie collettive?
Mi affascina moltissimo la dimensione del corpo sognante, sia di ciò che il corpo che si trova nel sogno – essendo al contempo protagonista e spettatore dell’opera onirica che sta generando -, ma anche del corpo che rimane abbandonato al mondo degli svegli. In particolare mi piace dal punto di vista scenico mi piace quella incredibile vulnerabilità che hanno i corpi che dormono, l’addormentarsi è un atto di estrema fiducia: lascio il mio corpo qui, anche se io vado altrove. Un corpo fatto al contempo di mistero e di trasparenza, di confessione e segreto… distante eppure assolutamente immanente. Dormire assieme ad altri è un atto di grande intimità. Essere testimoni del sonno altrui un privilegio delicatissimo.
Penso che la dimensione del sonno e del sogno abbia un forte portato poetico e politico: sono quelle parti della quotidianità escluse dalla produttività, sono i momenti in cui ci ricarichiamo per essere più produttivi nella fase di veglia, spesso considerate pure funzioni da espletare per poter essere vigili e attivi.
Ma cosa succede se ribaltiamo o discutiamo quest’ordine di priorità? Se pensiamo al valore del sonno non solamente al servizio della veglia, ma anche come carniere di una potenza intellettiva e a tutti gli effetti di azione, e che può avere un’influenza reale in tutte le dimensioni. Mi piace pensare che la veglia possa essere funzionale al sogno e al sonno, quindi le esperienze che facciamo da svegli siano una collezione di eventi, di tasselli, per permetterci di sognare. Forse questa può essere una piccola inversione di pensiero rispetto al meccanismo capitalistico di necessità di produttività costante in cui siamo inseriti. Forse ripensare il sonno e il sogno è proprio il simbolo per ripensare questa macchina infernale della veglia.
Infine mi piace pensare al sogno e al sonno come a delle eterotopie, cioè a dei luoghi altri, che non sono utopie, perchè esistono, ma sono diversi da tutti gli altri luoghi, e sono una tecnologia del multiverso molto più analogica e alla portata di tutti. Nonostante il fatto che spendiamo quasi metà della nostra esistenza a dormire siamo ancora dei principianti rispetto alla consapevolezza e alle potenzialità che quella dimensione può offrire. Vorrei che questo Weekend Cannibale fosse anche un invito in questa direzione.
Credo che l’atto respiratorio in sè sia un bellissimo simbolo del costante mescolamento tra interno ed esterno, tra specie diverse, tra il mondo vegetale – che ci fornisce ossigeno come un suo prodotto, un prodotto che ha attraversato il suo corpo – e il nostro corpo, attraversandoci letteralmente fino al sangue e tornando nel mondo modificato da noi.
Questi respiri, che nel periodo pandemico sono diventati minacciosi, che non potevamo scambiare tra i corpi. Quindi porre attenzione al fenomeno della respirazione in maniera consapevole e sentirlo necessariamente come un fenomeno di ibridazione, un fenomeno che non può avere a che fare con la solitudine ma al tempo stesso è anche uno strumento di grande introspezione. Mi piace pensare al respiro come a questa via di riconoscimento del costante cannibalismo tra i corpi, una tecnologia di metamorfosi e rovesciamento, ritmo e sostanza con cui diventiamo letteralmente fatti l’uno dell’altro.
Immagini: 1 CollettivO CineticO_WOW – photo credits Salvatore Laurenzana – foto di repertorio Cagliari Teatro Massimo, 2 CollettivO CineticO_Manifesto Cannibale_Dettaglio_photo credits Cosimo Trimboli, 3 Le Nemesiache_The Sibyls_photo credits Baha Gorkem Yalim, Rongwrong
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