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January 27, 2019
Criminali del campo di concentramento di Bolzano
Mauro Sperandio
La parte senziente della società continua a ritenere l’attività del ricordare come irrinunciabile, soprattutto quando si parla di fatti inumani e incresciosi che hanno visto l’umanità protagonista. La memoria della sistematica opera di sterminio del popolo ebraico, e non solo, messa in piedi dalla Germania nazista sta, per questioni anagrafiche, allontanandosi da chi si trova oggi a ricordare. La testimonianza diretta, il racconto sentito da chi assistette alle tragedie del secondo conflitto mondiale stanno lentamente spegnendosi, mentre la nostra società sviluppa una sempre più forte ingordigia di immagini, file audio e video che raccontino e consacrino all’esistenza.
Nel suo Criminali del campo di concentramento di Bolzano lo storico abruzzese Costantino Di Sante offre un interessante quadro su una realtà a noi almeno geograficamente vicina, quella del Polizei- und Durchgangslager Bozen. Al testo compilato con il rigore dello storico, si affianca un ricco corpus di fotografie, che rendono vivide le numerose “scartoffie di morte”, palpitanti i resoconti degli interrogatori e “reali” le comunissime, e per questo inquietanti, facce dei carnefici del lager di Bolzano.
Il suo libro amplia in modo significativo la storia del campo di concentramento di Bolzano. Molto del materiale da lei riportato è inedito. Come è possibile che un contributo così sostanzioso giunga solo dopo più di settant’anni dalla fine della seconda guerra mondiale?
Mi occupo da tanti anni di questioni legate ai campi di concentramento fascisti e nazisti, oltre che di spostamenti coatti di popolazione. Questo percorso di ricerca mi ha permesso di arrivare ad una documentazione che giaceva parzialmente ignorata fin dagli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale. Questi documenti si trovavano parte all’archivio dell‘Ufficio storico dello Stato Maggiore dell’Esercito a Roma e parte, segnalatami dalla collega Roberta Cairoli, al National Archives di Washington, che li ha resi parzialmente consultabili on line. Quanto al perché tale documentazione non sia stata studiata fino ad oggi, c’è da dire che quanto custodito nell’archivio dell’Ufficio storico dello Stato Maggiore dell’Esercito è stato messo a disposizione in tempi piuttosto recenti, rendendo finalmente fruibile importanti fonti che riguardano gli interrogatori fatti dagli investigatori italiani alla ricerca di prove sugli omicidi avvenuti nel campo. Per la documentazione custodita negli Stati Uniti, è stata forse la distanza geografica a limitare la possibilità di studio dei ricercatori che si sono occupati del tema. Per quanto mi riguarda, tutto è nato dal mio interesse nei confronti dell’universo concentrazionale nazionalsocialista.
A cosa è dovuta la rilevanza della struttura bolzanina?
Nell’estate del 1944 quello di Bolzano diventerà il campo di riferimento nazionale per le deportazioni dall’Italia; questo grazie ai collegamenti con le zone occupate dell’Italia settentrionale e alla connessione con altre strutture di concentramento, come quella di Fossoli, dalla quale il campo di Bolzano acquisirà la struttura di comando e parte degli internati non ancora deportati.
Grazie al suo lavoro gli aguzzini del lager bolzanino hanno un volto ed una personalità. Al di là dell’interesse storico tout court, crede che questo possa contribuire ad una più “concreta” esecrazione di questi personaggi?
Credo di sì. L’impostazione stessa del libro rispecchia una mia inclinazione a fare non solo ricerca, ma anche divulgazione di quanto da me scoperto. Sono impegnato infatti anche nella valorizzazione di fonti foto-documentarie, attività che mi ha portato a realizzare varie mostre. Nel libro si trovano due percorsi di narrazione, che offrono informazioni al lettore specialista e forniscono spunti di riflessione al lettore non specialista: uno caratterizzato dal rigore scientifico della ricerca storica, l’altro dall’esaltazione di quanto trovato durante la ricerca iconografica.
Per questioni fisiologiche ci troviamo di fronte ad un passaggio del testimone con chi ha vissuto in maniera diretta o indiretta, per vicinanza personale con i protagonisti, i fatti di cui stiamo parlando. Cercare di utilizzare al meglio le immagini e i documenti per tenere viva la storia e la memoria dei fatti che si svolsero nel campo di concentramento di Bolzano credo sia oggi più che mai fondamentale. I volti e i nomi degli aguzzini offrono importanti tasselli per la composizione di un immagine chiara sulle responsabilità di chi ha partecipato in maniera più o meno volontaria alle violenze perpetrate. Sulle vittime, giustamente, abbiamo oramai una cospicua “letteratura”, si pensi al lavoro fatto dall’Archivio Storico del Comune di Bolzano e da Carla Giacomozzi, alle iniziative dell’ANPI locale e, in particolare, all’Associazione nazionale ex deportati e al suo presidente Dario Venegoni.
Sono rimasto colpito dal notare come personaggi supposti marginali, ad esempio le segretarie del campo, figurassero nei luoghi di tortura, compiacendosi di quanto accadeva. Cosa crede abbia generato questo cortocircuito di umanità?
È necessario precisare le responsabilità – spesso non secondarie – che ha avuto l’apparato burocratico del campo, composto principalmente da donne. Alcune di esse si trovavano in stretto contatto con i carnefici e con chi decideva la sorte degli internati; si pensi ad August Schiffer, capo della Gestapo di Bolzano, e ad Hans Haage, responsabile della disciplina del campo. I burocrati che banalmente stilavano le schede degli internati, attribuivano un numero di matricola, badavano agli approvvigionamenti e si occupavano della logistica della struttura erano informati a perfezione su ciò che accadeva nel campo, come nel caso di Paula Plattner da Chiusa, segretaria e amante di Hans Haage.
Le donne che vediamo operare all’interno del campo si caratterizzano per differente “formazione”: alcune hanno già avuto un percorso di indottrinamento all’ideologia nazista e si ritrovano in questo vortice consapevolmente; altre si trovano lì per opportunismo, perché la vicinanza a chi comanda può essere l’occasione per dare una svolta alla propria vita; alcune o alcuni sono più o meno costretti a collaborare, ma scelgono di non sottrarsi.
Una figura significativa è la famigerata “Tigre”, Hilde Lächert, che applica consapevolmente quanto appreso durante la sua formazione di responsabile della disciplina nei lager dell’est Europa. Ella ha imparato metodi di tortura e violenza che applica nella gestione degli internati, come adempisse ad un normale lavoro.
Non può non sorprendere come un’attività del genere venisse metabolizzata come un lavoro comune…
Uomini e donne comuni applicano le regole di un lavoro non comune, in maniera anche impeccabile. Una dattilografa o un interprete che si trovano a compilare o a riporre una scheda in un certo raccoglitore possono diventare responsabili della deportazione di un internato. La Plattner, che svolgeva anche funzione di interprete, travisando una risposta o ponendo una domanda in una certa maniera poteva sicuramente influire sulle sorti di chi stavano torturando per ottenere delle informazioni. Quando il loro turno è finito, vanno a bere un bicchiere in un maso, cenano al ristorante, passeggiano nei dintorni di Bolzano e si godono quello che nel libro chiamo “il tempo libero dei carnefici”.
Quali fattori hanno fatto scegliere Bolzano per organizzare un campo di transito di tale importanza?
La scelta di Bolzano è stata dettata da varie ragioni, che riguardano il suo trovarsi in posizione vicina al Brennero e sulla direttrice verso i grandi lager e l’essere una struttura all’epoca, nella primavera-estate 1944, in costruzione e definizione. Originariamente essa era destinata ai troppi detenuti politici presenti nel carcere di Bolzano, ma, con la chiusura del campo di Fossoli, si dimostrò utile ad ospitare anche i prigionieri detenuti nella struttura carpigiana.
Non va poi dimenticato che l’Alto Adige era all’epoca ormai annesso al Terzo Reich e assicurava un ambiente più favorevole di quello esempio veneto e trentino, dove esisteva una resistenza armata attiva.
Costantino Di Sante , Criminali del campo di concentramento di Bolzano, ed. Raetia, Bolzano 2019.
Foto: ©Raetia Verlag
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