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June 7, 2024

Dimmi che mi ami.
Le Dolomiti di Claudio Barbier

Francesca Fattinger

Parlare di Claudio Barbier equivale a parlare di Dolomiti. Ed è vero pure il contrario: parlare di Dolomiti equivale a parlare di Claudio Barbier. La ragione è presto detta: le montagne non sono mai di nessuno e appartengono sempre a tutti. Appartengono al mondo, e il mondo non è mai pienamente nostro. Appartengono a chi le ama, e chi ama qualcosa lo fa suo, come una seconda pelle.
Monica Malfatti 

Chi mi conosce lo sa, sa che il mio amore per la montagna è un amore recente, che si sta costruendo con lentezza e con rispetto, e che come tutti gli amori più duraturi non può che partire da una certa distanza, come quella che esiste tra due persone che si stanno conoscendo pian piano e devono farlo avvicinandosi lentamente per conoscersi bene, per non bruciarsi, per non farsi male, ma soprattutto perché è “dalla giusta distanza che la vista migliora”. Questa storia, la storia del belga Claudio (Claude) Barbier, raccontata con delicatezza e professionalità dalla trentina Monica Malfatti, giornalista, scrittrice e grande amante della montagna, mi ha condotto pagina per pagina a confrontarmi con l’affascinante mondo dell’arrampicata e della sua storia. Mi ha guidato verso una grande verità: parlare di arrampicata equivale sempre a confrontarsi con una potentissima metafora del nostro stare al mondo, fatto di rincorse e fallimenti, di equilibri precari, di felicità cantata a squarciagola e abissi scuri, di amicizia e solitudine, di sapersi sostenere e lasciarsi andare, sempre sospesi e aggrappati alle pareti ruvide e meravigliose della vita. 

Una storia che parte dal lockdown, quando Monica, ripescandolo dalla libreria di casa, ha tra le mani un libro,”La Via del Drago”di Anna Lauwaert, che l’avvicina a una grande storia d’amore, quella di Claudio con la montagna e quella di Claudio con l’autrice, sua ultima amatissima compagna. Un libro di memorie, in cui a un certo punto Anna scrive questo: “il libro che può tracciare il ritratto di Claudio alpinista è ancora da scrivere; sarei felicissima se finalmente giustizia gli fosse resa”. Eccola la frase scintilla, quella che dopo una lettura commossa, arriva dritta al cuore di Monica che non può fare altro che scrivere all’autrice per quel passaggio di testimone, per continuare a dare voce e corpo alla storia di Claudio che “senza timore di smentita, è stato uno dei più grandi arrampicatori solitari che le Dolomiti abbiano mai conosciuto”. E così ecco che nuovi sguardi, nuovi ricordi, nuovi racconti, attraverso le parole di Monica, che si sono raccolte in mesi di profonda ricerca e di incontri e interviste,  vanno a integrare la sua storia, la storia dell’”arrampicatore maledetto”, come gli piaceva essere chiamato, per ricollegarsi ai poeti maledetti francesi; e io sono pienamente d’accordo con lui: l’arrampicata e la poesia sono fatti della stessa materia, ma soprattutto delle stessa assenza, parole e corpi che danzano sull’orlo del vuoto. 

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“Si parla poco”, scrive Monica, di molti aspetti della vita e dell’arrampicata di Claudio: della sua etica ferma; della sua passione per letteratura e musica; del fatto che avesse pure italianizzato il suo nome tanto amava il paese in cui erano ospitate le “sue” montagne, che ha abitato, abbracciato, fatto sue per estati intere dal 1957 fino all’anno della sua morte; della velocità nelle sue salite; del suo segnare con maniacalità tempi di percorrenza; del suo essere innovatore e precursore nel suo modo di scalare, in un momento storico di grandi e profondi cambiamenti nello stile e nella storia dell’arrampicata moderna. Se ne è parlato poco, troppo poco, relegandolo spesso alla figura di uno “sconosciuto belga” e non come insostituibile protagonista dell’alpinismo dolomitico. L’intento di Monica con il sostegno di Anna e di tutti gli amici alpinisti che le hanno consegnato i loro ricordi, come Almo Giambisi, Heinz Steinkotter e Alberto Dorigatti, è proprio di cominciare a parlarne, per capire o tentare di farlo, per discutere sui principi dell’arrampicata, ma anche su quelli della vita, senza soluzione di continuità. 

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Una storia che fin dalle prime pagine non prescinde dal contesto da cui deriva, sia da quello storico in generale che da quello dell’arrampicata in particolare. Mi fermo commossa a leggere le parole che Dino Buzzati dedica alle Dolomiti e ai suoi colori, ai colori di quella roccia così diversa da tutte le altre: “più che un colore preciso, si tratta di un’essenza, forse di una materia evanescente che dall’alba al tramonto assume i più strani riflessi, grigi, argentei, purpurei, viola, azzurri, seppia. Eppure è sempre la stessa, così come una faccia umana non cambia anche se la pelle è pallida o bruciata”. Questa era la faccia che accarezzava e a cui si aggrappava Claudio, questa la faccia di cui era perdutamente innamorato. “Dimmi che mi ami” ha chiesto un giorno alla sua amata Anna: in un momento di grande crisi le ha chiesto disperatamente di essere amato per quello che era, per la sua essenza, quell’essenza che superava tutto, che superava il suo essere scalatore, il suo darle amore, quell’essenza che prescindeva da tutto, che lo rendeva quello che era nonostante e oltre tutto, come la natura della roccia delle sue amate Dolomiti che mutano di colore, si trasformano in mille sfumature, mai uguali ma sempre loro.  

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Nelle pagine che seguono una dopo l’altra il racconto dell’uomo e dello scalatore “scontroso ma non arrogante, caratterizzato da una veemenza incompresa e da una gentilezza inespressa”, delle sue scalate, degli incontri, degli scontri, “arrampicando praticamente senza sosta, ogni giorno – imprese visionarie”. Un racconto che parte dal 1957, anno della sua prima apparizione in Dolomiti, al 1977, quando morì senza spiegazioni nella falesia di Freyr, in Belgio, dov’era nato e dove viveva quando non frequentava l’Italia. L’autrice vuole guidarci a capirne la grandissima levatura, un eroe fragile e incredibile in ogni sua impresa, come tutti i più grandi, che ha lasciato tracce indelebili sulle montagne “che lui stesso amava alla follia”: “dal primo concatenamento in velocità nella storia dell’arrampicata – siglato da Barbier nel 1961 sulle cinque pareti nord delle Tre Cime di Lavaredo – all’apertura dell’indomita Via del Drago in Lagazuoi”. 

Ho nelle orecchie le parole di Johnny Hallyday, “sono solo disperato” cantava in “Je suis seul”, canzone che Claudio amava moltissimo, e ripenso alla presentazione del libro a cui ho avuto la fortuna di partecipare alla Casa della SAT di Trento lo scorso mercoledì: accanto all’autrice Monica Malfatti, l’appassionato e professionale Dario Ribaudo che ha moderato il dialogo, alle loro spalle, collegata online, Anna Lauwaert, sorridente e commossa, e davanti a loro Heinz Steinkotter con le sue parole e i suoi ricordi. A un tratto mi è sembrato davvero che Claudio fosse lì con noi a ridere e a scherzare, ad abbracciare Anna, a prendere in giro Heinz e a cantare e a fischiettare con lui e a sorridere commosso a Monica: che il senso che stava ostinatamente cercando fosse tutto racchiuso nell’essere sempre sospeso, libero di abitare le storie e le vite di chi incontrerà la sua storia, mai fermo, sempre in vita, sempre in volo? Dankeschön, dankeschön, danke für die Blumen, grazie per i fiori, per quelli che fioriscono negli abissi e per quelli che sbocciano nei sorrisi, grazie per i fiori che hanno sempre il coraggio di staccarsi, trasformarsi e volare, nonostante il passato, nonostante il futuro, pronti a vivere il presente e a superarsi in sempre nuove avventure.

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Questo è solo il mio racconto, la mia visione da neofita del mondo della montagna, vi consiglio di andare a una delle presentazioni di Monica e di farvi accompagnare alla scoperta della vita di Claudio, delle sue imprese, delle sue innovazioni: l’autrice porterà in giro la sua storia per dare voce alle sue imprese, per troppo tempo dimenticate, e lo farà in cammino tra i rifugi. Quindi agenda alla mano, ecco tutte le date: sabato 15 giugno al Rifugio Pernici (ore 18:00), venerdì 21 giugno al Rifugio Altissimo (ore 13:00), sabato 29 giugno al Rifugio Stivo (ore 20:30), sabato 6 luglio al Rifugio Brentei (ore 11:00), sabato 13 luglio al Rifugio Sette Selle (ore 16:00), venerdì 19 luglio al Rifugio Rosetta (ore 20:30), venerdì 26 luglio al Rifugio Boè (ore 11:00), venerdì 9 agosto al Rifugio Antermoia (ore 14:30), venerdì 6 settembre al Rifugio San Pietro (ore 18:00).

Credits: (1, 3, 5) arch. Barbier, (4) Anna Lauwaert, (2) Van Bever

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