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May 1, 2013
People I Know. Philipp Moravetz: sognare di fare il cinema e riuscirci
Anna Quinz
Philipp Moravetz è uno dei molti che da ragazzino ha detto ai suoi genitori: “io da grande voglio fare il cinema”. Solo che a differenza di tanti altri, lui ha avuto 2 fortune. La prima è che i suoi non gli hanno dato un calcio nel sedere (“come farei io – racconta – se me lo dicesse mio figlio un giorno”) ma invece l’hanno sostenuto e aiutato nella sua scelta. La seconda è che Philipp, 33enne bolzanino, la sua fortuna se l’è costruita, l’ha coccolata, l’ha coltivata e alla fine, ce l’ha fatta, a fare il cinema. Dopo quasi dieci anni di esperienza di studio e di lavoro tra Monaco (alla Bavaria Filmstadt – Cinecittà bavarese), Roma (al Centro Sperimentale di cinematografia) e Hollywood, Philipp, è tornato in patria, dove lavora come produttore, con le sue due società. Lavora 365 giorni all’anno “perché se la tua passione diventa il tuo lavoro – racconta – nulla ti pesa”. Determinato e deciso, Philipp è uno che va dritto al punto, che se vuole una cosa trova il modo di ottenerla e così è stato con il suo grande sogno. Ora di sogni ce ne sono molti altri, crescere nella propria professionalità, produrre buoni film, costruire le basi per un futuro, aiutare l’Alto Adige a diventare sempre di più e sempre meglio, terra di cinema.
Philipp, come è iniziato tutto?
Al’inizio era un hobby. Un amico aveva una videocamera, mi piaceva e me ne sono fatta regalare una. Riprendevo tutte le cose che mi succedevano, in particolare quella che era la passione di allora, skate e snowboard. Montavo senza computer, con 2 videoregistratori, in modo artigianale. Dopo un po’ però la macchina da presa l’ho abbandonata, perché avevo capito che il lavoro che volevo fare era quello del produttore, che è la persona che organizza, che crea la scintilla che fa prendere vita a un film.
Colpisce nella tua biografia l’esperienza americana. Com’è andata?
Dopo anni a Monaco e Roma, come tutti, sognavo Hollywood. Dato che sono uno che se vuole fare una cosa cerca di farla, mi sono ingegnato e ho trovato il modo. Sono andato a Los Angeles con un amico, che aveva una zia, diventata un po’ anche la mia zia americana. Lì ho frequentato una scuola dove ho imparato cose che in Europa non si imparano. Hollywood è un’industria, mentre qui il cinema è ancora molto artigianale. Il fatto però che il cinema sia vissuto così, è anche il suo difetto: produrre una lattina di Coca Cola o un film, è la stessa cosa. Però ho avuto la grande possibilità di vedere Hollywood e vivere quel che vedi nei film: la vita lì è veramente come ce la raccontano. È curioso perché negli anni ’30 gli ebrei europei sono andati a Los Angeles, hanno inventato questo grande impero e creato un mondo – nei loro film – che poi è diventato la realtà. Devo dire che tutto questo, non mi piaceva molto. Inoltre laggiù non sei nessuno, se sei messicano cinese o altoatesino non importa a nessuno, ma a livello personale e professionale mi ha fatto bene, qui siamo chi siamo, lì sei da solo e devi imparare a cavartela. È stata un’esperienza bella, ma non vedevo futuro. Ho fatto comunque alcuni lavori, alla Warner e con De Laurentis, il mio idolo. Allora aveva 91 anni, ma ho rotto le scatole per tanti anni a tante persone e a un certo punto, mi ha chiamato sua moglie che mi ha proposto un colloquio. Ho fatto 4 mesi di internship, gratis, naturalmente, a 29 anni. Ma era il mio sogno, Dino era per me il vero produttore, come oggi in Europa non esistono più. Poi ho scoperto che a casa mia le cose si muovevano, la BLS stava nascendo, e non potevo perdere l’occasione di fare il mio mestiere nella mia terra. Ho lasciato Hollywood e sono tornato.
Due parole per descrivere le tante città incontrate sul tuo percorso, una positiva e una negativa?
Monaco: puzza sotto il naso e perfezione. Roma: il contrario, caotica, ma affascinante soprattutto a livello storico (il cinema è nato li). Los Angeles: superficiale ma fantastica. Anche se quel fantastico (c’è sempre il sole!) smette di esserlo quando diventa quotidiano. Bolzano/Alto Adige: casa e grande opportunità. Non credo che altri posti al momento mi darebbero le possibilità di fare quel che faccio. Il negativo però è che il territorio è “kleinkariert”, chiuso. Questo mi disturba. Avendo vissuto altrove ho conosciuto persone che hanno molto meno e sono più contente. Qui è un paradiso ma la gente è invidiosa e di strette vedute. Per fortuna con il mio lavoro incontro sempre gente straniera e vivo in modo diverso, più aperto.
Quale il film che sogneresti di produrre?
Sogno da anni di fare un grande film (con grande budget) sulla saga di Re Laurino. Un film epico, che sfrutti il medium cinematografico per far tuffare lo spettatore in un mondo di fantasia, lontano dalla realtà. Sarebbe un bel progetto, che dovrebbe mixare cultura europea e “trucchi” imparati negli Usa (la storia d’amore, l’happy end…). A me interessa raccontare storie, non vendere un prodotto. Non voglio fare film carini, ma film che lascino una traccia, che mettano nella testa delle persone un sacco di domande.
Pubblicato su Corriere dell’Alto Adige del 28 aprile 2013
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