People + Views > Portraits
December 5, 2012
People I Know. Wolfgang Moroder: l’arte di far nascere i bimbi, l’arte da collezionare
Anna Quinz
Nel mondo ci sono almeno 6000 persone che sono venute al mondo grazie a lui. Wolfgang Moroder, 65 anni di Ortisei è un ginecologo che da più di 30 anni pratica il suo mestiere – ora tra Bolzano e Mestre – con passione, dedizione e professionalità e che ogni giorno, appunto, regala al mondo tanti bambini. Wolfgang però non è “solo” un medico, è anche un uomo pieno di interessi, che vanno al di là della medicina. Come l’arte che colleziona, o la fotografia che pratica nel tempo libero. Ladino di origine, Wolfgang è anche presidente del Museo della Val Gardena a Ortisei, dove si impegna per conservare e diffondere l’arte, la cultura e la storia della sua terra tanto amata. Attento conoscitore della tecnologia, fondamentale per il suo lavoro di ecografista, ha anche iniziato anche a collaborare con il progetto Wikipedia, per il quale raccoglie immagini relative al suo mestiere. Tra queste, un breve video di pochi secondi che mostra un feto che sbadiglia. Un piccolo miracolo, della tecnologia ma soprattutto della natura, che ha fatto il giro del mondo, si è diffuso viralmente nel web e oggi a pochi giorni dalla messa online è stato visto già più di 300.000 volte. Perché la bellezza e la meraviglia della vita, non possono che rapire ognuno di noi. E questa bellezza, che sia nella magia della nascita o nell’arte, è il filo rosso che guida la vita di Wolfgang, medico attivo, moderno, curioso.
Perché la medicina? E in particolare la ginecologia?
Non so dire il perché. Avevo pensato anche di iscrivermi a giurisprudenza, o architettura. Ma poi mi è sembrato che quello del medico fosse un mestiere più completo. La ginecologia in particolare mi interessa per due motivi. Uno scientifico: permette infatti un lavoro molto vario, dalla chirurgia alla medicina interna all’ecografia. Mio zio era dentista, sarebbe sembrato naturale che facessi quello, ma era un campo così ristretto. La seconda motivazione è psicologica: mi interessa poter entrare nell’universo della donna, e in quello misterioso e affascinante della riproduzione. E devo dire che sono davvero soddisfatto, anche dopo anni, della scelta.
Dunque, cosa ha imparato sulle donne?
Ho imparato tanto. Il mio fine principale era riuscire a instaurare una solidarietà con il mondo femminile in cui sono entrato in profondità, e questo è molto importante. Ogni giorno assisto a scelte dolorose, a grandi sofferenze, ma mi sono buttato sempre a pieno in quello che faccio e sono davvero felice di aver capito molte cose che forse non capivo prima. Come le discriminazioni che ancora oggi le donne devono sopportare. Ad esempio, il fatto che in Italia il parto indolore sia ancora tabù, discriminazione tremenda dell’uomo verso la donna.
Emozioni legate al suo lavoro?
La prima volta che ho assistito a un parto è stata una grande emozione. E lo è ancora oggi. È una cosa miracolosa, che mi colpisce ogni volta. Mi piace vedere le evoluzioni di un feto, e rendere partecipi e consapevoli dei cambiamenti anche i genitori, entrambe intendo, perché oggi per fortuna, anche i padri partecipano molto ai processi della gravidanza. E questo è molto bello.
Il Museo della Val Gardena, per il quale si spende attivamente, come e quando entra nella sua vita?
Dopo aver girato tanto per il mondo, si sente il bisogno di tornare a casa. Già da ragazzino facevo il guardiano del Museo, di cui mio papà era fondatore. E dunque, sento l’eredità e la ricchezza che il Museo mi dà, ma anche l’impegno, gravoso (soprattutto in ambito politico), che mi chiede. Però, considerando che l’arte è sempre stata la mia passione, come anche la storia locale, vivo con entusiasmo questo incarico importante che mi permette, appunto, di sviluppare le mie passioni.
L’arte, dunque, che ruolo gioca nella sua vita?
L’arte è un’eredità familiare. Il mio bisnonno aveva una grande bottega in cui dipingeva altari, mio nonno era professore di scultura alla scuola d’arte di Ortisei. Dunque, fin nella culla l’arte è stata nella mia vita. Sono anche un patito collezionista, è un po’ come una malattia. Negli anni ho raccolto molti oggetti, tutti in qualche modo attinenti alla Val Gardena. Ho da qualche tempo anche l’hobby della fotografia, e così, partecipando al progetto Wikipedia, ho iniziato a fotografare e pubblicare immagini di luoghi altoatesini sotto la tutela delle belle arti. Per ora ho completato il lavoro sulla Val Gardena e Castelrotto. E Wikipendia funziona un po’ come una memoria storica collettiva, ma anche personale.
Cosa significa per lei essere ladino? È un valore da tenere vivo? Come?
Sono ladino al 100%, anche se ho vissuto a lungo fuori dalla “Ladinia”. Il ladino è la mia radice profonda, non credo ci sia il rischio di scomparsa della tradizione, però è importante che in contesti come la famiglia, si lavori perché non venga abbandonata. Certamente sono orgoglioso di questa appartenenza, anche perché vivo in una terra bella, in particolare la Val Gardena, ma sono scettico rispetto ai fanatismi che spesso vedo e contro i quali mi scontro. Essere ladini è un valore, ma questo non giustifica in nessun modo atteggiamenti integralisti.
Pubblicato su Corriere dell’Alto Adige del 2 dicembre 2012
Comments