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May 18, 2023
Luci e altri oggetti “alla Castiglioni” in workshop – Intervista a Giovanna Castiglioni
Maria Quinz
Per andare all’incipit di questa storia che sto per raccontarvi, bisogna tornare un po’ indietro negli anni. Al 1957 per l’esattezza, a quando il visionario e intraprendente Artur Eisenkeil aprì a Marlengo la prima manifattura di lampade dell’Alto Adige: la Lichtstudio Eisenkeil. Nella piccola azienda si realizzavano lampade in materiali classici, come il vetro, ma si guardava anche lontano, oltreoceano, soprattutto all’America, dove venivano prodotti materiali nuovi, mai visti e sperimentati in Europa.
Tra questi era stato inventato il “cocoon”, uno spray polimerico, dalla consistenza simile a quella della resina o anche dello zucchero filato. Questo materiale veniva usato dagli americani per rivestire le scatole dei fucili: era una sorta di pellicola protettiva waterproof per armamenti. Artur Eisenkeil ne rimase conquistato. In America l’architetto George Nelson aveva iniziato a sperimentarlo per delle luci, con delle forme molto semplici. Artur Eisenkeil decise di comprarne il brevetto per poi presentare alla fiera di Milano le prime sperimentazione in cocoon, che attirarono le attenzioni dell’imprenditore Dino Gavina. I due insieme, decisero di dare “in pasto” a un progettista questo nuovo materiale. I progettisti sarebbero stati poi più di uno: in primis i due fratelli e architetti milanesi, Pier Giacomo e Achille Castiglioni.
La storia straordinaria è che Gavina non conosceva i Castiglioni, ma li scoprì attraverso il grande artista Lucio Fontana, che gli consigliò di incaricare i due architetti. I Castiglioni, stipendiati e contenti, si trasferirono a Merano per alcuni mesi per fare ricerca e creare delle lampade. Da questa bella collaborazione tra due giovani menti creative e un’industria visionaria che voleva sperimentare un materiale americano innovativo di estrazione bellica, sarebbero venute “alla luce” delle lampade straordinarie, dalla consistenza eterea come nuvole e dalla luminosità diffusa e avvolgente. Lampade che ancora oggi, dopo tanti anni, sono in produzione e illuminano tante case contemporanee. E fu così che nel 1962 venne fondata a Merano da Dino Gavina e Cesare Cassina in collaborazione con Artur Eisenkeil la società FLOS. Dai Castiglioni verranno progettati e realizzati tre modelli di luci in cocoon: le sospensioni, “Taraxacum” e “Viscontea” (1960) e la lampada da tavolo “Gatto” (1962), un po’ più piccola. Ai due si unì anche Tobia Scarpa, figlio di Carlo Scarpa, che realizzerà con lo stesso materiale una luce da terra a forma di bozzolo: la lampada “Fantasma” (1961). È interessante il fatto che siano state realizzate tutte le tipologie di lampade in cocoon: le due sospese e quella da tavola, progettate dai Castiglioni e la lampada da terra realizzata da Scarpa. Questa affascinate storia me l’ha raccontata Giovanna Castiglioni, la figlia di Achille, che ho avuto il piacere di intervistare qualche giorno fa, poco tempo dopo aver incontrato anche suo fratello maggiore Carlo Castiglioni, che mi ha guidato in un’avvincente visita alla Fondazione Achille Castiglioni oggi anche Casa – Museo a Milano, dove è in corso una bellissima esposizione dal titolo in milanese “Fa ballà i man – Il design dei Castiglioni guardato con mano”, in mostra fino al 13 aprile 2024 e che vi inviterei caldamente a visitare. La possibilità di chiacchierare con Giovanna è arrivata in occasione di un workshop sui Castiglioni che Giovanna ha tenuto su invito di Andreas Eisenkeil il 18 maggio alle ore 18.00 da Im Kult a Marlengo, dove si trova la sede storica di Lichtstudio Eisenkeil; proprio là dove è cominciato l’importante sodalizio creativo e l’amicizia tra i Castiglioni e gli imprenditori della famiglia Eisenkeil – workshop di cui parleremo adesso con Giovanna Castiglioni.
Giovanna, quale sarà l’esperienza che vivrà il pubblico nel workshop organizzato da Lichtstudio?
Abbiamo scelto di chiamare l’incontro di oggi “workshop” per semplificazione, ma si tratterà piuttosto di una chiacchierata dove racconterò gli oggetti realizzati dai Castiglioni, attraverso l’interazione con il pubblico. Di solito chiedo alle aziende che mi invitano di avere degli oggetti a disposizione in modo che io possa parlare attraverso di essi, quindi non solo con le slide. Farò una piccola introduzione sulla storia dei Castiglioni ma poi entrerò subito nel vivo, raccontando come sono stati progettati alcuni oggetti, tra cui ci saranno sicuramente delle lampade, riportando spesso nel racconto degli “oggetti anonimi” che hanno ispirato i Castiglioni. Di solito faccio sempre dei test, mostro qualche oggetto e chiedo cosa sia e a cosa serva. Mi diverte molto interagire con la gente con una sorta di “provocazione buona”, per stimolare la curiosità. Mio padre diceva sempre: “se non siete curiosi lasciate perdere”. Trovo che sia un ottimo modo per comunicare il design. Molte persone, spesso anche inconsapevolmente, hanno dentro di loro una vena creativa da veri progettisti; nell’interazione vengono fuori cose molto interessanti e stimolanti, a volte sorprendenti. L’interazione con il pubblico è anche alla base della mostra “Fa ballà i man” in Fondazione, dove i visitatori possono toccare gli oggetti. Quanto era importante “la presa” nei progetti dei fratelli Castiglioni?
Il modo di progettare dei Castiglioni era basato su una grande sperimentazione e quindi toccare i materiali e capire come plasmarli per portarli alla produzione industriale era fondamentale per il loro lavoro. Ed è con questo approccio che è stata ideata la mostra in Fondazione. Oggi racconto, in particolare, proprio come i due fratelli e poi Achille da solo si siano affacciati al mondo del design con “le prese”, toccando e provando a dare un movimento agli oggetti. Papà, per esempio, era molto dinamico, non stava mai fermo. Era incuriosito dai pomelli, dalle maniglie, da tutte le modalità di presa. Non li ha mai raccontati ma sicuramente diceva che in ogni oggetto esiste una componente principale di progettazione. Andare a cercare quella componente di progettazione di ogni suo oggetto, è qualcosa che cambia il focus su di essi. Per esempio nella poltrona “Sanluca” (progettata nel 1959), la presa è sul bracciolo e ti permette di alzarti più facilmente, nella lampada “Arco” la presa c’è e non c’è… l’abbiamo “chiamata maniglia non fornita”: infatti per spostare la lampada c’è un buco nella base. La maniglia non fornita è quindi un qualsiasi mattarello o scopa di di saggina che hai a casa, con cui puoi spostare la lampada “Arco” dove e come vuoi. Tuo fratello Carlo, riferendosi alla pratica di progettazione dei fratelli Castiglioni, ha detto che preferisce usare la parola “modo”, piuttosto che la parola “metodo”. Tu come la vedi…
Parlare di “modo” va benissimo, anche se alle persone, forse, arriva meglio la parola metodo. Noi effettivamente diciamo piuttosto, “fare progetti alla Castiglioni”, mettendo insieme in questa espressione tutta una serie di ingredienti, come in una torta… Mio papà l’ho sempre “pensato” un po’ come una grande torta al cioccolato (ingrediente che amo particolarmente). In questa torta “achillesca” c’è sicuramente la funzione, più che la forma, un’assoluta attenzione al fruitore ignoto dell’oggetto e la centralità dell’uso degli oggetti. In più c’è sempre un pizzico di ironia come ingrediente non meno importante: quel quid che ti strappa un sorriso. Spesso è anche il nome che genera questo sorriso: se qualcuno ti dice che una sedia si chiama “Tric” e il tavolo pieghevole “Trac” e che quindi insieme fanno “Tric e Trac”, non puoi non sorridere… Il dare un nome era un altro modo che aveva mio papà di fare comunicazione con il mondo del design, con i clienti e con le persone che avrebbero comprato gli oggetti.
Altro esempio simpatico: un cucchiaio per la maionese progettato da mio papà con Pier Giacomo nel 1962 chiamato “Sleek”, oggi prodotto da Alessi e realizzato allora, su commissione, per la Kraft. “Sleek” è una parola inglese che indica un oggetto per alimenti appiccicaticci e che già di per sé fa ridere. Il cucchiaio da maionese di papà – che va benissimo anche per la nutella – è stato progettato in base al gesto, a quello che farebbero tutti i bambini, ma anche gli adulti (se non fosse considerato maleducato…) per raggiungere con il dito il fondo del barattolo e tirare sù tutta la maionese possibile. Ecco: con il cucchiaio di Castiglioni hai risolto il problema, perché puoi ripulire facilmente ogni angolo del barattolo. Questo è l’approccio “alla Castiglioni” che io cerco di comunicare con i miei workshop e le visite guidate. La cosa bella è proprio la sorpresa che vedi negli occhi della gente, a cui strappo un sorriso, quando scoprono la semplicità disarmante degli oggetti di Achille e Pier Giacomo: poche parole e tanta sostanza. Questo è quindi anche uno dei principali obiettivi della Fondazione e Studio-Museo Achille Castiglioni con tutte le sue iniziative?
Io e mio fratello Carlo, ognuno con il proprio stile e approccio al design – nessuno dei due è architetto – cerchiamo fondamentalmente di avvicinare il pubblico a degli oggetti storici che magari hanno sessant’anni ma sono ancora funzionali e non sono scesi a compromessi con delle logiche di marketing. Il cucchiaio “Sleek” o la lampada “Arco” entrambi del ‘62, sono ancora qui perché sono stato progettati bene, al di là della forma e “del carattere “iconico” : non ci interessano questi aspetti. Venire allo Studio Castiglioni è un immersione nella “funzione”. Carlo è l’intellettuale tra i due che scrive libri corposi, come il bellissimo libro di memorie di famiglia “Affetti e oggetti – Cenni di un’antropologia famigliare alla Castiglioni”, scritto con la nipote Livia (2022, Corraini Editore); io mi occupo più di industrial design e faccio da “front man” della Fondazione. Ho scritto anche io sui Castiglioni, però alla mia maniera con i Flip-book illustrati da Sara Vivan per Corraini: “Castiglioni in due secondi”(2020). Dei libretti, apparentemente per bambini, ma che in realtà in due secondi possono raccontare a tutti quale sia stata la storia di alcuni oggetti. In me la parte bambina è sempre viva, quella parte che mi apparteneva nel momento in cui è mancato mio papà: è come se mi fossi fermata a quell’età e va bene così.
Nelle sale dello Studio-Museo personalmente sono stata attratta anche dalla grande vetrina dei cosiddetti “oggetti anonimi”…
Capisco la fascinazione perché quella vetrina é un tuffo nel passato di tutti noi, dove riconosciamo una serie di oggetti che ci hanno accompagnato nella nostra vita, con cui, per esempio, giocavamo da bambini. E si torna bambini riscoprendoli e riuscendo a togliere tutte quelle sovra-costruzioni che ci facciamo quando parliamo di design: il martello è il martello, gli occhiali simpatici con le molle fanno subito ridere, sono divertenti e li abbiamo indossati anche noi… Papà che era curioso, si lasciava affascinare dagli oggetti, se ne innamorava e li trasformava in qualcos’altro e questo è l’aspetto che io insegno nei miei workshop. Non faccio più la geologa ma mi occupo della “stratificazione” dell’archivio Castiglioni. Cerco di far capire alle persone come un pantografo per il taglio e cucito delle nonne sia diventato un comodino da letto (Comodo 1988) o come un sedile da mungitore sia diventato un sellino da bicicletta per brevi telefonate (Sella 1957). Qualche anno fa avete organizzato anche una mostra su questo tema…
Sì è un’idea che ho avuto nel 2018, volevo festeggiare mio papà in un modo un po’ affettuoso e mi sono detta cosa facciamo per i cento anni della nascita di Achille? Mentre ragionavo davanti allo specchio ho pensato di invitare cento designer a regalare (con una certa sfacciataggine) un oggetto a papà. Conoscevo un po’ di designer, ma non così tanti e quindi mi sono fatta aiutare da Domitilla Dardi e Chiara Alessi che hanno curato con me il progetto e la mostra “Cento per cento Achille”. Ho chiesto ai designer di non spendere soldi ma di portare un oggetto che piacesse loro o che sarebbe piaciuto ad Achille. Quindi si sono sbizzarriti tutti e sono venute fuori cose molto belle, tanto che Kuno Prey ha portato la mostra a Bolzano al Museo archeologico, nel 2018. La mostra l’abbiamo portata in giro anche in altri luoghi e ogni persona che ci invitava faceva poi una personalizzazione della mostra, curando parte dell’allestimento; è stato quindi un lavoro molto bello a più mani: “castiglionesco”. Achille diceva infatti che tante discipline, tante professionalità e quindi più idee tutte insieme possono fare un grande lavoro collettivo.
Il workshop di Giovanna Castiglioni con Andreas Eisenkeil, si è tenuto il 18 maggio 2023, presso Im Kult – Via Palade 19, a Marlengo, alle ore 18.00.
Credits: Archivio Lichtstudio Eisenkeil (1,3,4 ) L’attività di sperimentazione dei fratelli Castiglioni con il cocoon per le lampade “Taraxacum”, “Viscontea” e “Gatto” con Artur Eisenkeil per Lichtstudio; (2) Manifesto pubblicitario della lampada Taraxacum (5) Giovanna Castiglioni e Andreas Eisenkeil.
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