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August 18, 2016
RAISC. Alle radici della ladinità
Allegra Baggio Corradi
Allestita presso la centrale elettrica Gadera a La Villa, la mostra RAISC si propone come una rassegna di arte contemporanea che esplora la diversità creativa della cultura e storia ladine al di là di ogni stereotipo folkloristico. Sono enfatizzati attraverso il percorso i concetti di eredità, sradicamento e isolamento che tramite le opere di otto artisti locali, suggeriscono una lettura della « ladinità » come patrimonio in bilico tra passato e presente, memoria e innovazione, identità e cambiamento. Abbiamo intervistato Orietta Berlanda e Katharina Moling, curatrici della mostra.
Quale e’ l’obiettivo della mostra “RAISC”? Tracciare un percorso culturale dalle radici al giorno d’oggi della cultura ladina oppure convogliare l’attenzione del pubblico verso la produzione artistica di uno specifico gruppo culturale troppo poco rappresentato?
La mostra tenta di travalicare queste questioni, vuole cioè problematizzare una tematica indubbiamente molto sentita a livello territoriale (per ragioni geografiche e linguistiche che ne delineano la peculiare specificità), ma con la quale gli artisti si confrontano ovunque essi vivano. Basti pensare alla locuzione “essere figli del proprio tempo” e conseguentemente a quanto siamo influenzati dalle nostre origini e, viceversa, fino a che punto riusciamo ad uscirne o quantomeno ad assumere una visione distaccata ed obiettiva.
Quali sono gli artisti in mostra e come dialogano tra di loro le opere selezionate?
La mostra riunisce opere che utilizzano i mezzi di espressione più diversi: pittura, disegno, fotografie, filmati, scultura, fino ad arrivare alle installazioni.
Si possono individuare affinità tematiche tra i lavori esposti. Abbiamo un filone che riflette sul “peso”, o meglio, sull’inevitabile eredità dell’immaginario collettivo dato dalla tradizione: nell’esposizione di indumenti lavorati a maglia della sua infanzia di Roberta Sottara, nella sovrapposizione di elementi iconici (vecchie fotografie) nelle opere di Michael Moling e in quella di oggetti ripresi dal reale di Helmut Pizzinini (corna di camoscio). Poi abbiamo individuato una possibile correlazione tra la ricerca di Gustav Willeit e Fabian Feichter perché hanno affrontato la questione di spingersi al limite, intendendo la radice come ricerca di assoluta altezza delle montagne o l’attrazione verso il centro della Terra assecondando la forza gravitazionale. Entrambi seguono le opposte direzioni del germogliare di un seme, verso il basso con le radice e verso l’alto con il germoglio. Visti i rispettivi risvolti esistenziali, solo in apparenza il tema viene preso alla lettera da Maria Pezzedi con le sue sottili radici, rendendole leggere alla “Calvino” grazie ad interventi giocosi e colorati, così come si potrebbe dire per l’elaborazione in movimento del percorso di una radice e dunque della vita nel video di Ursula Tavella o ancora per gli intrighi di linee di Guido Tavella che alludono alla casualità dei percorsi del destino.
Come si sviluppa il percorso espositivo all’interno degli spazi e come la scelta di esporre all’interno di una centrale idroelettrica è collegata al tema dominante della mostra?
La centrale idroelettrica è situata all’inizio del “Trú di artisc” (Sentiero degli artisti) nelle vicinanze di La Villa, un percorso artistico all’aperto, dove sono esposte interessanti opere di artisti provenienti da varie zone delle Dolomiti. Sul sentiero si possono leggere anche versi letterari di autori tradizionalidifficoltà e contemporanei della Val Badia. La mostra entro la centrale, situata proprio all’imbocco del sentiero, vuole proporre uno spettro più ampio dell’arte delle valli ladine e valicare il tradizionale concetto di esposizione tipo “white cube”, cosa che ha comportato anche alcune difficoltà, difficoltà che ci hanno costretto a rapportarci con un edificio dalla forte personalità, caratterizzato da parecchio rumore e da molte apparecchiature tecniche. Pensando al rumore, il giorno dell’inaugurazione è stata invitata la saxofonista Ester Videsott che ha suonato nella centrale rapportandosi proprio con questa particolare occorrenza.
In che modo un attaccamento culturale alle proprie radici può generare isolamento? L’arte può ovviare a questo?
Gli artisti in mostra si sono confrontati sull’ampio spettro di significati “glocal” evocati dal titolo “radici”. Rispondendo di fatto ad una “provocazione” intellettuale ed esistenziale con la quale ci confrontiamo ogni istante, intelligenze e sensibilità diverse si sono messe in gioco, riuscendo a coglierne aspetti e sfumature sorprendenti. Certo che in senso generale è sempre il fanatismo a generare mostri, così come solo una chiusura entro la propria cultura potrebbe indurci a cadere in una sorta di solipsismo. Ricordiamo la celebre locuzione di Goya “Il sonno della ragione genera mostri”. Chi si confronta con gli altri attraverso l’arte, tuttavia, è impossibile che corra un tale rischio. L’arte può invece essere di fondamentale aiuto per problematizzare questa questione e per fare in modo che venga messa in “agenda” entro una comunità.
Come si intrecciano attraverso il percorso espositivo la memoria, l’identità e il cambiamento legati alla cultura ladina del presente?
La rassegna indaga la cultura e la storia ladina, mettendo in rilievo i mutamenti del sistema valoriale e del concetto di eredità, dando espressione a un forte attaccamento al territorio oppure allo sradicamento dallo stesso, con l’isolamento culturale che ne può conseguire. Trascendendo così gli stereotipi folcloristici, e grazie alla loro provenienza da generazioni e contesti diversi tra di loro, gli otto artisti protagonisti della mostra creano uno spaccato collettivo della cultura ladina, in bilico tra il passato e il presente, all’incrocio tra memoria, identità e cambiamento.
Cosa significa essere un artista ladino oggi? Ha ancora senso parlare di “etnie” facendo riferimento alla cultura di appartenenza di un artista contemporaneo oppure si potrebbero eliminare le distinzioni guardando all’arte in maniera più inclusiva concentrandosi sugli oggetti e le esperienze piuttosto che sui loro autori?
L’arte non dovrebbe essere legata a confini o a territori o tanto meno ad etichette. L’artista non può essere inquadrato in schemi rigorosi. Una delle cose più affascinanti dell’arte è la libertà di espressione, la comunicazione attraverso dei mezzi “altri” di concetti profondi di idee e di ispirazioni, di sperimentazioni e di viaggi. L’arte dovrebbe essere autentica, personale, ma ciò non implica che debba essere necessariamente legata alle proprie radici. L’arte forse ci fa riflettere su quanto è instabile la nostra identità, mettendo in luce quanto labili siano ormai diventati i confini territoriali; tuttavia abbandonare il concetto di nazione non significa abbracciare per converso una generica assunzione di arte globalizzata, ma piuttosto sostenere come una specifica riformulazione della posizione dell’artista nei confronti di una tradizione sentita quale componente vitale e di un presente sempre più incalzante, possa far emergere il rimosso e il disomogeneo che lo abitano.
RAISC
31.07–31.08.2016
Centrale Elettrica Gadera, La Villa (località Altin, sentiero degli artisti)
Domenica–venerdì, 15.00–18.00 H
Foto (c) Gustav Willeit: (1) Roberta Sottara; (2) Fabian Feichter; (3) Gustav Willeit; (4) Ursula Tavella; (5) Michael Moling; (6) Helmut Pizzinini; (7) Maria Pezzedi; (8) Guido Tavella.
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