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April 15, 2013

Malih Fallah: la Siria non è poi così lontana. Basta tendere la mano e rendersi utili

Anna Quinz

L’incontro con Malih Fallah è uno di quegli incontri che lasciano una traccia.
Ci troviamo mercoledì mattina abbastanza presto, davanti a un bar in piazza Walther. Ci eravamo sentiti solo al telefono e non sapevo come ci saremmo riconosciuti, ma alla fine ci siamo riusciti e ci siamo messi subito a chiacchierare, fitto fitto. In realtà è Malih a parlare, io ascolto, profondamente colpita dallo sguardo e dalle parole di questo piccolo (per statura, di certo non per altro) uomo di 61 anni che arrivato 33 anni fa a Bolzano dalla Siria, ora in Siria torna spesso, per portare aiuto concreto, umano, profondo a tanti bambini (e adulti) che vivono in questo momento una tragedia immensa.

8La questione siriana, ora di assoluta attualità su tutti i media, è nota a chiunque. Non voglio entrare nel merito qui delle questioni politiche che muovono questa guerra orrenda, voglio però entrare nel merito delle parole di Malih, dei suoi racconti, del suo aprirsi con una sconosciuta come me per raccontarle tutto il bene che sta facendo, e tutto il malessere che prova nel vedere la sua patria così ferocemente e brutalmente martoriata.

Malih dicevo è scappato dalla Siria 33 anni fa, perché, da studente di matematica, si era – insieme ad altri – opposto al regime del padre di quello che oggi tiene la Siria sotto un medesimo governo totalitario. Ha scelto a Bolzano perchè suo fratello, medico, era già qui da un po’. In Alto Adige ha trovato una casa, si è fatto una famiglia (anche sua moglie, insegnante di arabo, è siriana come lui) con ben 5 figli, tutti maschi, tra gli 8 e i 33 anni. Malih a Bolzano sta bene, è ormai casa sua quasi più della Siria. Ma come si fa a dimenticare le proprie origini? Come si fa a non sentire un legame forte e indissolubile con la propria patria? Sopratutto quando questa patria è in pericolo, i suoi cittadini – civili – e i suoi bambini vengono privati di ogni dignità, vengono torturati e uccisi, vengono trattati in modo inumano, togliendo anche il più piccolo briciolo di speranza per un futuro? Non si può far finta di nulla, nè noi che non siamo – o meglio, non ci sentiamo – direttamente coinvolti nella questione siriana, nè tantomeno Malih, che lì ha la sua terra e le sue radici.

9Ecco perchè questo grande uomo, ha deciso di partire, di tornare in Siria, la sua Siria. Per dare una mano, per essere vicino con amore ma anche con “cose” concrete, alle persone che stanno soffrendo pur non avendo nessuna colpa per ciò che succede, vittime doppie di una crudeltà voluta e disegnata da chi sta sopra di loro e che non possono combattere, se non con la forza della sopravvivenza. Malih è stato in Siria, dunque, più volte negli ultimi anni, in un campo profughi che sta al confine con la Turchia. Qui all’inizio c’erano 3000 sfolati. Oggi dopo non molto tempo sono 25000. Persone che non hanno più nulla. Né una casa né del cibo, né vestiti né acqua, nè scarpe né latte per i loro piccoli. È qui che prima di tutto Malih ha portato sorrisi. Il primo genere di sostentamento necessario per chi ha perso tutto, ma non la voglia di restare al mondo e sperare che le cose possano cambiare.

Sono tantissime le cose che Malih mi racconta, tantissime le storie che condivide generosamente con me, perchè solo passando di voce in voce di parola in parola, si può combattere contro tragedie come queste. Non sono le armi a salvare le persone, ma i piccoli gesti, come quelli di Malih, quei gesti che allungano la mano invece che tirarla indietro o usarla per caricare un fucile pronto a sparare.

La mia chiacchierata con Malih è lunga, ho registrato tutto, e ora potrei sbobinare e riportare qui ogni singola parola ascoltata, mentre i suoi occhi erano pieni di speranza e i miei commossi e pieni di rispetto e gratitudine. Ma forse preferisco lasciar parlare queste impressioni a caldo, che ho sto scrivendo ora, dopo che una giornata è passata e ancora quel caffè con Malih resta impresso nella mia memoria. Quella è stata anche la giornata del Dalai Lama, e mi pare che le cose si incastrino bene, in una coerenza casuale che rende il messaggio del fare non violento ancora più forte. Tutti possiamo fare, anche qualcosa di piccolo. Per esempio aiutare Malih nella sua battaglia contro l’orrore. Le sue parole nella mia testa si confondono con quelle del monaco tibetano, e sono parole che prima di tutto ricordano a me, cittadina privilegiata di una parte privilegiata di mondo, che le cose si possono cambiare. Mahil avrebbe potuto rimanere qui, nella pacifica bolzano, a soffrire in silenzio e a distanza per il suo paese martoriato, invece a sue spese ha deciso di partire, di andare sul campo, di “sporcarsi” le mani lì dove il suo paese chiedeva il suo aiuto. Malih è stato anche mediatore per i giornalisti italiani imprigionati dai ribelli siriani – ora liberati – e mentre parlavamo attendeva con ansia una telefonata che segnasse una svolta.

5E tutte queste cose, una insieme all’altra, unite all’educazione pacifica e sana che ha trasmesso ai suoi 5 figli, fanno sì che Malih sia una persona preziosa per la Siria sofferente di oggi e preziosa anche per la sua nuova casa, Bolzano. Non le guerre intestine, non le bombe, non la violenza: saranno le persone come Malih a riportare un pò di pace lì dove la pace è il desiderio più grande e l’arma più potente.

Per aiutare concretamente Malih, potete aderire al progetto “Syrian Children Relief”: con 50€ al mese, potreste aiutare un bambino rimasto orfano a vivere. Più info le trovate scrivendo a syrian.rf@gmail.com

Photo by http://www.escapista.net

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