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July 20, 2012

Bolzano Danza al Colle: IO torno a gorgogliare

Jimmy Milanese

Quante volte facciamo i conti col disordine che regna tirannico nella nostra mente, e non ci prendiamo cura di noi? Quante volte siamo di fronte a un bivio e non ci riesce di capire quale sia la strada giusta? Quante volte abbiamo la sensazione come se le persone non ci conoscessero affatto, sapendo benissimo di avere fatto tutto il possibile per nascondere ogni barlume della nostra essenza? Quante volte non troviamo il coraggio di piangere di fronte al dolore o ridere di fronte alla gioia, invece, mastichiamo le dita, arrotoliamo capelli e scribacchiamo su fogli bianchi che ben altro s’aspettano da noi?

Il volto del nostro profondo inconscio è una camera degli specchi, dove rimbalziamo in forme e dimensioni diverse. Poi arrivano le storie, quelle importanti, un figlio e siamo adulti senza mai avere imparato ad essere bambini. Dobbiamo trasferire le nostre emozioni e le nostre esperienze a creature fatte esattamente per quello, quando ancora siamo li alle prese con noi stessi.

Forse con queste sensazioni, Roberto Castello ha nutrito il suo spettacolo itinerante attraverso i boschi «Vede più lontano un vecchio seduto che un giovane in piedi», presentato all’interno del Festival di Danza a Bolzano, in replica stasera alle 22 e alle 23 al Colle di Bolzano.

In questo tentativo ben riuscito di creare un connubio tra arte e natura, proprio perché in fondo la madre di tutte le arti è la natura stessa delle cose, Castello guida un gruppo di 50 persone alla volta attraverso un tunnel definito da terra, alberi, rocce e cielo. Ogni tanto, in questo percorso di un’ora scarsa, appaiono delle figure: uomini, ragazze e bambini che riportano quel nostro IO, infangato da troppi anni di compromessi, alla sua situazione primordiale, dove le nostre capacità psicomotorie erano null’altro che un vagito misto a movimenti del tutto casuali.

Un bambino che corre, un uomo che gorgheggia, una donna che stride, un gruppo di ragazze che torva a fatica il coordinamento delle proprie miserie, l’incapacità di mantenere un equilibrio stabile in un mondo pieno di traviamenti e, infine, bambini che a cavallo delle loro fantasie ci lasciano con in mano un mucchio di suoni che riecheggiano tanto nella nostra pancia quanto nella nostra mente.

Se stasera non avete nulla di meglio da fare che tornare bambini, qualche seggiolino sul treno per il paese dei balocchi è ancora disponibile (Biglietterie del Teatro Comunale – 0471 053800)   

Foto Julian Rizzon

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There is one comment for this article.
  • lucia munaro · 

    Non un commento all’articolo, ma altre impressioni di una spettatrice itinerante al Colle

    Uno pensa alla magia del bosco notturno, ai fruscii, agli squarci di cielo buio da luna nuova in alto tra i rami, anche se lo sguardo è captato più dalle cose vicine, preso a sviscerare le tenebre che ti toccano lì a fianco. Sarebbe quasi un rito religioso, se tutti gli spettatori itineranti, saliti al Colle con la funivia per lo spettacolo di Roberto Castello Vede più lontano un vecchio seduto che un giovane in piedi, rispettassero più rigorosamente la regola del silenzio, richiesta dagli accompagnatori muniti di torce prima di mettersi in cammino (un’ora comprese le tappe).
    Resta il teatro, anzi la danza di corpi e voci condensate in nove stazioni che via via prendono vita ai lati del sentiero e ammutoliscono (quasi) il gruppo raccolto a guardare. A fare da sipario l’insieme degli alberi e l’oscurità notturna, poi per brevi momenti le luci di scena esplorano gli angoli del bosco o di un prato e la prima scena indistinta a emergere dalla notte sembra quella dello svago di un bambino che corre e gioca, mentre voci lontane si fanno eco di tenere memorie possibili.
    Poi alla prossima un Diogene canuto emerge da quella che sembra una botola e augura con voce modulante buona sorte ai viandanti, ovvero a noi che lo guardiamo e proseguiamo il percorso, o forse è la personificazione del fato per la storia che verrà. Una storia a ritroso che si srotola mano a mano che si avanza lungo il sentiero, con un vecchio o una vecchia la cui saggezza muore in bisbetica saccenteria a coprire le pene del corpo cadente e via via altre età della vita: l’accoppiamento, le giovani donne piumate di bellezza, l’uomo insulso di gioventù e le fanciulle catturate in un’isteria collettiva, ninfe alla soglia di una vita già vissuta.
    E ancora l’età adolescenziale, l’unica ancora veramente orgogliosa e innocente che può permettersi di danzare break dance con la vita. Sempre a ritroso si torna all’origine forse: un gruppo di persone con piccoli, metafora forse di un’umanità che produce, si riproduce, consuma e lascia rifiuti di plastica. Qui sono i grandi, non ancora vecchi, a portare in groppa gli infanti. Lo stridio della plastica ammucchiata e calpestata si confonde col vento che muove i fogliami, a fare da colonna sonora a uno spettacolo suggestivo, ma intelligente.
    Vi si legge una regia attenta, vivace. L’idea di danza totale di Castello lascia danzare anche le voci degli interpreti per fornire allo spettatore indizi sonori, non solo cinetici, al fine di dare un nesso alla storia rappresentata. Il coreografo e regista resta sobrio, anche se le facili suggestioni sarebbero lì a portata di mano. Con intelligenza lascia che l’ambiente evocativo del bosco resti una perfetta scenografia, per quanto integrante, allo spettacolo dei corpi danzanti. Nessuna scorciatoia ad effetto, gli interpreti, le danzatrici e danzatori di Aldes e Alps Move insieme agli altri partecipanti diretti magistralmente da Castello, offrono uno spettacolo virtuoso che resterà memorabile nella storia di Bolzano danza.