Music
September 13, 2013
Mellow Mood @ SotAlaZopa, l’intervista a Jacopo “Jacob” Garzia
Marco Bassetti
Sono la band reggae del momento, quella che negli ultimi anni più si è imposta a livello internazionale. Radicati nel profondo e musicalmente vivissimo nord-est, i Mellow Mood nel giro di soli due album hanno dimostrato non solo di essere una realtà artisticamente molto solida, ma anche di sapersi superare ogni volta, pezzo dopo pezzo, evolvendosi coerentemente verso uno stile originale e innovativo. Uno stile capace di catturare diverse sonorità e tendenze, ma senza mai perdere di vista il proprio, personale punto di vista sul mondo. Con il terzo album in cantiere, abbiamo scambiato due chiacchiere con Jacopo, carismatico frontman del gruppo oltre che autore delle liriche, alla vigilia della loro esibizione a SotAlaZopa 2013: questa sera, 13 settembre alle 21, prima del concerto dei concittadini e compagni di etichetta Tre Allegri Ragazzi Morti.
Partiamo dal vostro nuovo singolo, appena uscito, “Dig Dig Dig”. Anticipa l’uscita del vostro nuovo disco, giusto?
Sì, fa parte del nuovo disco che dovrebbe uscire a febbraio. Non sappiamo ancora come sarà, né come si chiamerà, né cosa ci sarà dentro. Però sappiamo che ci stiamo lavorando con grande passione! Il nostro è un gruppo che ha un’attività live molto intensa, ma è anche molto prolifico in termini di produzione.
Il singolo è accompagnato anche da un bellissimo video, dove l’avete girato?
Quella che si vede nel video è la laguna di Marano, anche se non sembra neanche di essere in Italia. È stato girato insieme a dei ragazzi di Gemona, una crew che si chiama Uponadream. È stato molto divertente!
Naturalmente le immagini giocano con il significato della canzone… Nel video ci sei tu ch scavi nella sabbia, ma per arrivare dove?
Dovrebbe essere una metafora. Il testo, infatti, parla della necessità di scavare dentro te stesso per cercare qualcosa che ti appartiene, che è tuo, per conoscerti meglio. Una volta che hai scavato dentro te stesso e hai vinto i tuoi nemici, perché i nemici si nascondono dentro di te ancora prima che nel mondo esterno, allora ti ritroverai come una persona nuova.
Nel frattempo comunque il precedente album Well Well Well (2012) non finisce di sfornare singoli. A giugno è uscito “Try baby”, che dell’album è uno dei pezzi, a mio avviso, più belli…
È uno dei pezzi più vecchiotti dell’album ed è frutto della collaborazione con MoyMoy, bravissima artista hip-hop inglese che avevo scoperto per caso su Yotube. L’avevo contattata ed era venuta in Italia per fare insieme questo pezzo. Il pezzo racconta di una storia d’amore che ad un certo punto finisce… le relazioni sono esperienze e bisogna accettare che abbiano una conclusione. Il legame tra le persone rimane, deve solo assumere una nuova forma.
Come la stragrande maggioranza delle band che fanno reggae, portate avanti la scelta di cantare in inglese, un inglese che si avvicina e si mischia con il patois giamaicano. Una scelta vincente per quanto riguarda la musicalità, che può però rappresentare una barriera, in termini di comunicazione, verso il pubblico italiano. Cosa ne pensi?
Non è stata una scelta strategica o meditata, semplicemente questa è la lingua con cui abbiamo conosciuto questa musica. Noi abbiamo conosciuto il reggae con Marley, quando abbiamo fatto il primo disco conoscevamo solo quel tipo di reggae, eravamo del tutto ignari di cosa ci potesse essere al di fuori di quello. In effetti può rappresentare una barriera, perché molta gente in Italia e non solo in Italia non la capisce, però penso che per noi finora non lo sia stata e anzi ci abbia aiutato ad aprirci all’Europa. Abbiamo avuto molte occasioni di suonare all’estero e questo è una grande fortuna. Poi penso che il nostro modo di esprimerci e di comunicare arrivi alle persone anche se le persone non capiscono le parole.
Qual è il messaggio di fondo che volete comunicare?
Noi siamo un po’ slegati dagli argomenti topici della musica reggae nel mondo. Noi guardiamo il mondo con i nostri occhi e parliamo di quello che vediamo con i nostri occhi. Cerchiamo sempre una certa originalità nei contenuti, non per essere diversi dagli altri ma solo per essere noi stessi.
Si percepisce infatti una grande attenzione ai contenuti e una volontà di allontanarsi da certi stereotipi che oggi incrostano anche la tradizione della musica giamaicana. Oggi vanno di moda certe allegre baracconate che con il reggae hanno poco a che fare, penso ad esempio al progetto Major Lazer dietro cui si nasconde il genio commerciale di Diplo…
Diplo dal punto di vista della produzione mi interessa molto perché rappresenta una rivoluzione, anche se dal punto di vista dei suoni non sono certo la persona più esperta. Ma al di là di questo, penso che la musica reggae sia stata maltrattata, nei contenuti e non solo, prima di tutto dagli stessi giamaicani, influenzati potentemente dalla musica degli Stati Uniti e dal mondo che vi gira intorno. Ciò che ha rovinato la musica giamaicana sono il razzismo, l’omofobia, il sessismo e la mania per soldi, macchine, eccetera. Quando la musica reggae, che è la musica più suonata nel mondo, si riduce a parlare delle solite quattro cose, allora c’è un problema perché si rimane inchiodati sempre alla solita visione. L’artista invece è colui che riesce a condividere con le altre persone una visione nuova, una visione coerente, una visione utile, del mondo, della vita, delle cose.
Ad esempio?
La maggior parte degli artisti reggae oggi promuovono l’uso della marijuana come sostanza meditativa. Noi promuoviamo l’uso del cuore.
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