Music

May 8, 2014

Anansi a Bolzano @ ArtMaySound: “Volevo mollare tutto, ma sono tornato”

Marco Bassetti
Appuntamento venerdì 9 maggio in occasione di ArtMaySound al Museion di Bolzano. Anansi presenterà il suo nuovo disco “Inshallah”: “È il risultato di tanti momenti bui, ma anche di momenti di luce”.

A tre anni dall’uscita di “Tornasole”, Anansi è tornato sulle scene con “Inshallah”. Un album multiforme e complesso, un album da molti punti di vista sicuramente più completo e maturo, che segna un importante cambiamento rispetto alla produzione precedente sia in termini di sonorità che di approccio. È il frutto di un lungo periodo passato lontano dalle scene, durante il quale Anansi ha smarrito i suoi punti di riferimento: “Non ho avuto l’appoggio dell’entourage che mi ha sostenuto durante la fase precedente della mia carriera – racconta Anansi nel corso dell’intervista qui sotto – ho pensato di mollare tutto”. Questo, per fortuna, non è avvenuto e di questo non possiamo che essere contenti, perché  “Inshallah” è davvero un gran bel disco: schietto e diretto, a tratti oscuro, capace di esplorare con grande disinvoltura le diverse facce della musica black, dal blues al rap fino all’amato reggae; un disco contraddistinto, poi, da quella cura nei testi che non può che avvicinare il “nuovo Anansi” alla grande famiglia dei cantautori italiani, vecchi e nuovi. Sarà dunque un piacere vederlo all’opera venerdì 9 maggio nell’ambito di ArtMaySound 2014, il festival altoatesino all’incrocio tra musica, fumetto, creatività e intrattenimento.

Fin dai primi pezzi dell’album, si sente una forte aria di cambiamento che riflette un cambiamento interiore. Cosa è successo in questo periodo?

Beh questo album esce dopo tre anni in cui sono stato inattivo dal punto discografico. In questo periodo non avuto l’appoggio dell’entourage che mi ha sostenuto durante la fase precedente della mia carriera e inizialmente, di fronte a questo atteggiamento, ho reagito male. Questo sentimento si è riversato anche nell’album, il primo pezzo esprime quasi un senso di rinuncia: riflette un periodo in cui ho pensato di mollare tutto, pensavo di lasciar perdere, ero frustrato perché non riuscivo ad arrivare ai risultati cui dedicavo tutto il mio impegno. 

Per fortuna hai cambiato idea…

Sì sono riuscito un po’ alla volta a uscire da questa crisi… Non riuscivo più a trovare degli input validi per continuare ad andare avanti, vedevo che quello che io davo alla musica, la musica poi non lo restituiva indietro. In realtà la colpa non era neanche della musica in sè, erano alcuni meccanismi dello show business che si erano arrugginiti e non giravano più come avevano girato fino a poco tempo prima. Poi è stato il supporto degli amici e di persone nuove che sono ora al mio fianco a portarmi a lavorare al nuovo disco.

Tutto questo percorso ha avuto delle ripercussioni a livello compositivo, si tratta di un album molto personale, molto diretto, molto vero.

Sì, nel disco si percepisce questo ripiego molto personale. In questo disco c’è un po’ più di Stefano e un po’ meno Anansi. È il risultato di tutto questo cose, di tanti momenti bui, ma anche di momenti di luce.  

Questo desiderio di allontanarsi dal “vecchio Anansi” si è tradotto anche nel taglio dei dreadlocks…

Sì, anche se a questo aspetto non darei troppo peso. Purtroppo nel mondo dello spettacolo conta sempre di più l’immagine che la sostanza, ovvero la musica… Certo il taglio dei dread è stato percepito come un segnale di cambiamento ed effettivamente un cambiamento a livello musicale c’è stato, ma non lo vedo come un cambiamento così netto: ho sempre cercato di mischiare tanti generi diversi fra loro. È vero che negli album precedenti c’erano più pezzi reggae, ma non ho mai fatto album reggae. In questo album c’è sicuramente più ricerca.

Del resto le tue radici rimangono ben salde nella tradizione black…

Le mie passioni musicali rimangono sempre quelle: certo Bob Marley e Peter Tosh, ma anche Marvin Gaye, Stevie Wonder, Michael Jackson… fino ad arrivare a Mos Def, Tupac Shakur, eccetera.

Dal punto di vista testuale, nel desiderio di mettersi a nudo ed indagare dentro se stessi, è poi evidente un approccio più cantautorale. La tradizione della canzone d’autore italiana rientra nei tuoi riferimenti?

L’album è molto autobiografico ed è il primo lavoro interamente in italiano: anche questa è una piccola svolta. Ho iniziato a farmi una cultura sulla tradizione cantautorale italiana purtroppo solo qualche anno fa… In questo sono io un po’ cretino, perché mi sono sempre concentrato sugli artisti internazionali. Oltre ai vari De Andrè, Guccini, tra i miei punti di riferimento ci sono Daniele Silvestri, Nicolò Fabi, Max Gazzè, i primi Tiromancino…

Qua e là nell’album ho percepito qualcosa di Ivan Graziani, rientra nei tuoi ascolti?

Sì, Graziani mi piace tantissimo e mi fa piacere sentire questo accostamento. Tra l’altro ho buttato giù per gioco una cover di “Lugano Addio” che volevo inserire nell’album come bonus track però poi ho lasciato perdere perché il mio falsetto lasciava un po’ a desiderare.

Invece “Uno”, l’unico pezzo di matrice reggae, è un pezzo meno introspettivo e più politico. Con chi te la prendi?

Pensa che in un’intervista mi hanno chiesto “ma hai fatto l’inno dei 5Stelle?”. No, mai e poi mai. Non c’è alcun riferimento a partiti o movimenti vari, è più in generale una riflessione sulla situazione politica italiana. C’è un anche continuo riferimento a 1984 di George Orwell… Il fatto è che negli ultimi anni siamo sempre più considerati dei numeri e sempre meno delle persone. Il messaggio della canzone è che, al di là delle differenze e al di là di tutto quello che succede intorno a noi, dobbiamo sentirci tutti parte dell’“uno”,  dobbiamo essere tutti uniti nel combattere chi ci vuole divisi. 

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