Music

October 19, 2012

Il grande ritorno dei Planet Funk a Bolzano, l’intervista ad Alex Uhlmann

Marco Bassetti

Alex Uhlmann ha l’aplomb e la precisione vocale di una cantante confidenziale. Come un crooner d’altri tempi interpreta le parole facendole traboccare di emozioni, immergendole nelle stratificate linee sintetiche che i suoi compagni di avventura sapientemente gli apparecchiano. Il risultato è un mix colorato e moderno, dall’appeal giovane e internazionale, sorprendentemente capace di incarnare il suono di un’epoca come solo i “classici” sanno fare. In occasione del grande ritorno dei Planet Funk a Bolzano (Halle28, sabato 20 ottobre), dopo il botto del 6 gennaio scorso, abbiamo scambiato due parole con Alex. Gentilissimo, affabile, in perfetto italiano.

Tornate a suonare a Bolzano dopo poco meno di un anno. Fu una grande serata, il locale pieno zeppo di gente. Che ricordo hai di quella serata?
Siamo alla fine del The Great Shake Tour, abbiamo ancora 4 o 5 date in programma, e abbiamo scelto di tornare in alcuni posti in base anche all’esperienza dell’anno scorso. Infatti di Bolzano abbiamo un bellissimo ricordo e, per questo, abbiamo deciso di tornarci, siamo molto contenti di questa nuova data nella vostra città.

Nel frattempo, al di là del tour, avete avuto modo di collaborare con la Reebok allo spot per la riedizione della Classic Leather, nata nel 1983, scarpa simbolo della della sneaker culture. Raccontaci questa esperienza.
Per me personalmente è stata un’esperienza molto coinvolgente ed emozionante, perché lo spot è basato sulla mia storia personale. L’idea di raccontare senza giochi e senza finzione una storia di vita vissuta ci è piaciuta subito molto e ci ha convinto a partecipare al progetto… Io ho vissuto per tre anni a Parigi e mi è capitato di trovarmi proprio in quella zona lì a pensare al mio futuro. Facciamo molto attenzione alle nostre scelte e questa ci sembrava molto naturale. Non avremmo mai prestato la nostra immagine per vendere un prodotto se la cosa non ci avesse convinto fino in fondo. Poi la sinergia tra le due squadre, la nostra e quella di Reebok, molto giovani e molto creativi, è stata molto positiva. Non vedo l’ora di vedere la nostra scarpa finita!

Sì, perché non avete partecipato solo allo spot, ma anche al design di una scarpa…
Stiamo lavorando alla realizzazione della Classic Leather Planet Funk, che uscirà all’inizio dell’anno prossimo. Si tratta di una Classic Leather “limited edition”, personalizzata Planet Funk. Per noi è stato tutto molto eccitante perché siamo stati coinvolti direttamente nelle diverse fasi del progetto

Una scarpa, originale del 1983, viene riproposta oggi come un classico. La vostra musica, che in qualche modo affonda anch’essa le radici negli anni Ottanta, ha assunto ormai i caratteri del classico. Vedi anche tu questa sintonia?
In molti ci dicono che i Planet Funk suonano “classici” e questo non può che renderci orgogliosi. Facciamo musica molto moderna, come quella dell’ultimo album, musica adatta ai nostri tempi in cui molti possono riconoscersi. Forse in questo sta la nostra “classicità”. I riferimenti agli anni Ottanta che tu senti non sono frutto di una scelta premeditata, il processo creativo fluisce sempre in maniera molto naturale, mettendo insieme diverse storie e sensibilità. Personalmente, la scena musicale che più mi ha influenzato, avevo 13-14 anni, è stato il “brit pop” ed è la ragione per cui poi sono andato in Inghilterra a formarmi come cantante. Più tardi poi ho riscoperto gli anni Ottanta, epoca dal punto di vista musicale assolutamente rivoluzionaria. Joy Division, New Order, The Cure sono gruppi fondamentali.

A proposito di “classici”, nel 2011 avete registrato la cover di un super-classico degli anni Sessanta, “These Boots Are Made for Walkin’” di Nancy Sinatra, per il film “La kryptonite nella borsa” di Ivan Cotroneo. Come è avvenuta questa scelta?
Anche in questo caso, ci siamo un po’ caduti dentro (risate)… Un nostro amico, il regista del film, voleva questo pezzo per il suo film e ci ha proposto questa cosa. L’abbiamo registrata in due o tre ore, in maniera molto spontanea. Secondo me il pezzo è uscito bene, registrando le sensazioni del momento. A dire la verità all’inizio non ero molto convinto di questa proposta, molto lontana dal nostro mondo, ma Ivan ci aveva visto lungo. Abbiamo preso il pezzo e lo abbiamo “planetfunkizzato”, siamo molto contenti del risultato.

Ritornando alla tua storia, sei partito giovanissimo influenzato dal brit pop, hai fatto diverse esperienze in giro per l’Europa, poi, nel 2011, sei arrivato in Italia con i Planet Funk. Ora, dove lo vedi il tuo futuro?
Mi trovo molto bene in questo gruppo e non penso proprio al futuro. È da un anno e mezzo che siamo in giro con il tour e mi sento come in una famiglia, l’ultima cosa al quale penso ora è di lasciarla. Sono del Lussemburgo, ho vissuto otto anni in Inghilterra, poi sono andato a Berlino, poi a Parigi e ora sono qui. La mia prima ragazza era italiana, ho sempre avuto amici in Italia e, adesso, è qui che ho le mie radici.

E infatti il tuo italiano è perfetto!
Da un po’ di tempo mi trovo più a mio agio con l’italiano perché lo devo parlare ogni giorno. Però stranamente sul palco mi viene difficile, ogni tanto ci provo ma mi è più naturale l’inglese.

Insomma parli sei lingue, sette con l’italiano, e hai girato l’Europa in lungo e in largo. Con la tua visione cosmopolita, che disco consigli ai lettori di franz?
L’ultimo disco di Max Herre, un rapper tedesco davvero bravo. Molto, molto bello.

www.planetfunkband.com

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