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September 25, 2012
People I know: Stefania Surace e il fascino antico del mestiere di liutaia
Anna Quinz
Ci sono mestieri che, solo a menzionarli, riportano alla mente tempi e atmosfere antiche. Uno di questi mestieri è il liutaio. Forse, il genio di tanti musicisti, non sarebbe stato la stesso, senza il lavoro meticoloso e attento di questi artigiani dalle mani fatate. E queste mani, oggi come ieri, continuano a lavorare il legno, per farne strumenti che in altre mani fanno la bellezza della musica. Oggi, appunto, Stefania Surace, 29enne bolzanina fa la liutaia e le sue mani ogni giorno creano dal nulla violini e viole. Da poco sposa di un altro liutaio, Stefania vive in quei tempi e quelle atmosfere antiche, pur rimanendo una donna del nostro tempo che dopo una giornata in laboratorio, esce nel mondo e vi si immerge, insieme al suo quasi marito, anche lui, naturalmente liutaio di professione.
Come nasce in una giovane donna l’idea di fare un mestiere così particolare?
Fin da piccola sono sempre stata attratta dalla musica classica e dagli strumenti in generale. Gli strumenti ad arco in particolare mi hanno affascinata,non solo per il suono ma anche per la loro estetica. Quando avevo 18 anni – frequentavo il liceo artistico di Bolzano – una mia amica è andata a Parma a ritirare la sua prima viola fatta da un liutaio, e mi ha chiesto di accompagnarla, e io ci sono andata, piena di curiosità. Quel giorno ho conosciuto il Maestro Desiderio Quercetani, che in poche ore ha cercato di spiegarmi a grandi linee come si costruisce un violino. Sono ovviamente rimasta molto colpita, ma la cosa che mi ha toccato di più è stato sentir suonare la mia amica lo strumento che era stato costruita per lei. Da qui il mio interesse nello scoprire le antiche tecniche di costruzione della liuteria italiana, tramandate da secoli attraverso il passaparola, da liutaio a liutaio.
Quale il percorso formativo necessario per diventare liutai? Quale il suo, nello specifico.
Ho frequentato la scuola “Bottega di Parma ” del Maestro Quercetani. La scuola dura 2 anni, sette ore al giorno di sola pratica, dove ho potuto fin dal primo giorno costruire il mio primo violino. Io sono stata particolarmente fortunata, perché durante il primo anno di studio ero l’unica allieva, quindi seguitissima dal Maestro. Lì ho potuto apprendere a pieno le tecniche di costruzione di strumenti moderni e barocchi, come la Viola da gamba e la Viola d’amore.
Anche il suo compagno è liutaio, incuriosisce una vostra giornata tipo.
Passiamo la maggior parte del nostro tempo in laboratorio, non esistono sabati o domeniche, per noi non c’è alcuna differenza perché viviamo entrambi il nostro lavoro come una passione e quando non siamo in laboratorio si continua a parlare di liuteria.
Solitamente ognuno lavora al proprio strumento. In questo periodo mi dedico alla verniciatura di un violoncello per tutta la mattinata, durante il pomeriggio invece riesco ad andare avanti con la sbozzatura di una tavola da violino, mentre il mio compagno, il Maestro Simone Diana, ha appena iniziato la costruzione di un contrabbasso. A differenza mia, Simone si è specializzato nella costruzione di contrabbassi e ogni tanto sviluppiamo nuovi modelli adatti sia per la musica classica che per il jazz.
Lei lavora per i musicisti, ma nel privato, qual è il suo legame con la musica?
Mentre lavoro per me è fondamentale ascoltare la musica classica, è lì che trovo la mia ispirazione e la tranquillità per svolgere un lavoro così meticoloso e certosino. Adoro ascoltare la musica su disco, il vecchio vinile, dove si possono ancora assaporare i respiri e i silenzi reali che intercorrono tra un pezzo e l’altro. L’aver costruito dei contrabbassi mi ha portato all’ascolto del jazz. Da qui ho capito le esigenze diverse che può avere un musicista che non suona musica classica.
In tempi di crisi un mestiere come il liutaio è a rischio estinzione? Crede che professioni come questa possano dare un impulso a nuove forme di rinnovamento, nel mondo del lavoro e della creatività?
Nel mio campo non si vive una vera e propria crisi, dato che il nostro prodotto finale si differenzia ampiamente da un prodotto industriale di fabbrica, e rimane comunque inserito in un mercato di nicchia. L’artigianato artistico italiano è sempre stato apprezzato a livello mondiale, mestieri antichi come il mio, ancora resistono. Non so però se mestieri come questo possano dare nuovi impulsi di rinnovamento, certo è che per l’ evoluzione della musica colta servirà sempre qualcuno in grado di costruire strumenti che soddisfino le esigenze dei musicisti contemporanei.
Non vive più a Bolzano, ma a Parma, qual è ora il suo rapporto con la sua città e l’Alto Adige?
A livello professionale il mio rapporto con l’Alto Adige è sempre stato positivo,fin dagli inizi ho sempre trovato un ambiente musicale di alto livello, questo per me è stato stimolante perché ho potuto interagire anche con grandi musicisti. In Val di Fiemme poi, vado a scegliere i legni da lavorare. È una valle conosciuta in tutto il mondo per all’abete rosso risonante usato in liuteria. Il mio rapporto con l’Alto Adige,, dunque non può che essere positivo.
Pubblicato su Corriere dell’Alto Adige del 23 settembre 2012
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