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September 18, 2012

Minotaurus: va di nuovo in scena la scommessa dell’inclusione

Marco Bassetti

La Compagnia Lebenshilfe/Teatro della Ribalta torna a emozionare con Minotaurus, a Bolzano il 21 e a Vipiteno il 22 settembre,  portando sul palco le ‘diversità’. Viganò: “Siamo una testa d’ariete per spalancare nuove porte alla creatività, si investa su di noi anche in vista della capitale della cultura”.

“Se il mio udito potesse percepire tutti i rumori del mondo, io sentirei i passi del mio redentore. Mi portasse a un luogo con meno corridoi e meno porte”. Con queste parole si apre Minotaurus, ultima opera della Compagnia Lebenshilfe/Teatro la Ribalta (di Antonio Viganò e Julie Anne Stanzak, regia di Antonio Viganò), presentata sotto forma di studio al Festival Bolzano Danza 2011 (che lo ha prodotto) e andata in scena a Bolzano il 13 dicembre scorso nell’ambito della rassegna L’Arte della diversità, curata da Viganò stesso. Si tratta di un brano tratto dal racconto di Borges La casa di Asterione,a cui si aggiunge, come naturale conclusione, una frase di Melanie Goldnerr, uno degli attori diversamente abili protagonisti dello spettacolo: “Per essere non più unico, ma unico tra gli unici”. Sentenza che in qualche modo racchiude la sintesi dello spettacolo, e forse la poetica stessa della rassegna volta a raccontare in varie forme l‘incontro con l’altro, le sue difficoltà e potenzialità.

“La frase di Melanie – riflette Viganò – per me è stata una rivelazione. L’ha colta lei, questo mi fa credere che abbiamo seminato bene, grazie al percorso fatto insieme siamo riusciti a tirare fuori delle cose”. Lo spettacolo Minotaurus prende spunto dall’omonima opera di Dürrenmatt ed è il frutto di un lungo lavoro di ricerca e sperimentazione sul linguaggio del corpo, avvenuto all’interno del laboratorio permanente tenuto da Viganò con i ragazzi della Lebenshilfe, associazione Onlus per persone con handicap. Il corpo che si fa gesto e racconto, scoperta di sè e comunicazione con l’altro al di fuori delle convenzioni. “Con Minotaurus – racconta Viganò – volevamo dare seguito al lavoro fatto con i ragazzi della Lebenshilfe. Il tema del minotauro ce lo avevo già in testa da tempo. Il minotauro è l’archetipo della diversità, essere bestiale rinchiuso dentro un labirinto, un luogo senza via d’uscita, dove non ci sono porte, dove non ci sarà mai porta. Lo dice lo stesso Borges nella poesia Labirinto: “Non sperare che la durezza del tuo cammino | che ostinatamente si biforca in due | che ostinatamente si biforca in due | abbia fine”. L’azione teatrale si svolge dentro un impianto scenografico dominato da un piano inclinato che impedisce agli attori qualsiasi possibilità di fuga. Rinchiusi in un labirinto coperto di terra, quattro attori-danzatori (Alexandra Hofer, Mattia Peretto, Manuela Falser e Melanie Goldner) raccontano attraverso la potenza del gesto e poche enigmatiche parole, la storia di un’esclusione. E di un incontro. Una foresta molto densa di simboli capace di attrarre su di sé lo sguardo per quasi un’ora, una danza sognante solcata di segni, aperta ad una molteplicità di letture come solo le grandi opere d’arte sanno essere. “Con Julie Stanzak lavoro già da tanti anni, dal ’91 – racconta Viganò – condividendo un’idea di base. Che dentro al corpo ci sia la nostra memoria, il nostro futuro, il nostro modo di relazionarci col mondo. In un gesto molto contratto, anche solo lo stringersi la mano, c’è la mia relazione con l’altro, mentre un gesto decontratto può raccontare un’intera vita. Penso che il corpo alcune volte possa mentire meno della voce, più vincolata com’è ad un codice. Osservare dei corpi e lavorarci sopra, scoprirne la vita attraverso le posture, questo è quello che ci interessa fare”.

Antonio Viganò, autore, attore e regista, nasce come artista negli anni ’70, Milano e dintorni. “I gruppi di base, il Terzo Teatro, Grotowski…”. Poi la formazione alla Scuola del Piccolo Teatro di Milano e all’Ecole Jacques Lecoq di Parigi, e quindi, sotto la guida di Carolin Carlson, la scoperta della danza: “la scoperta più bella della mia vita”. Nel ’83 fonda

il Teatro la Ribalta, e dall’84 è artista associato in una compagnia a Lille, in tournèe per la Francia per quasi tredici anni (“esperienza molto formativa dal punto di vista culturale e politico”). Infine l’incontro con Pina Bausch del Tanztheater Wuppertal, e quindi con Julie Stanzak. Dall’incrocio di queste esperienze si sviluppa in Viganò la passione per una ricerca autentica, all’intersezione tra teatro e danza: un lavoro assiduo di indagine e sperimentazione sul corpo e i suoi linguaggi, che si fa comunicazione e pratica artistica. Che confluisce in un racconto, aperto, trasversale, partecipato. “Julie è bravissima a costruire il vocabolario coreografico a partire dalla gestualità degli attori, – racconta Viganò – io do un tema e chiedo agli attori di rispondermi con un gesto. Julie coglie questi gesti e li compone all’interno di frasi, in modo da dare al tutto un senso armonico. Dobbiamo produrre diecimila per utilizzare cento, è un po’ come avere tanti colori a disposizione per realizzare un quadro. Ma poi gli attori, al momento dell’esecuzione, si ricordano dell’emozione originaria che hanno messo dentro a quel gesto”.

Per la realizzazione di Minotaurus il lavoro con i ragazzi della Lebenshilfe è stato lungo. Un lungo lavoro sul campo, fatto di studio, prove, impegno, sudore. E grande professionalità. “Abbiamo lavorato fino a otto ore al giorno nella sala prove del Teatro Comunale. Con Julie Stanzak che lavorava cinque ore sul corpo, i ragazzi sempre molto organizzati e puntuali, con grande padronanza degli spazi, grandissima disciplina. Molto bello perché dietro c’è una grande forma di piacere”. Unire lavoro, arte e piacere in una forma di inclusione sociale vera, concreta, capace di strappare il diverso dal labirinto dell’esclusione: questa la scommessa. Perché il teatro è una forma di comunicazione autentica, in grado di svelare l’unicità nascosta all’interno di ogni essere umano. “Passiamo da una condizione che è quella dell’handicap – spiega Viganò – alla comunicazione. Se riesco a fare sì che quella condizione e l’essere sul palcoscenico diventino comunicazione, allora modifico lo sguardo che il mondo ha su di loro”. Una scommessa altissima, culturale ed insieme sociale e politica, quella lanciata da Viganò. E vinta, insieme ai ragazzi della Lebenshilfe.

Una scommessa lanciata nel futuro. Perché Viganò è uno che non si ferma mai, progetta, crea, immagina. Pensa al futuro di questi ragazzi, lavora al futuro di Bolzano. “Qui c’è un strada interessante da percorrere – scandisce Viganò – battuta in Europa solo da l’Oiseau-Mouche a Roubeaix e dal RambaZamba a Berlino. Una grande possibilità per Bolzano e per tutti, di costruire qualcosa di importante, per dare alla nostra attività una forma professionale. Se Bolzano vuole diventare Capitale europea della cultura, lo deve essere per tutti, e questa potrebbe essere una buona carta da giocare. Una testa d’ariete per spalancare nuove porte alla creatività”. Concretamente, a cosa pensa Viganò? ”Abbiamo voglia di fare una casa aperta a tutti. Ci piacerebbe venisse Franz, Teatraki, Musica Blu e tanti altri. Una casa dove lavorerebbero in maniera integrata il Teatro la Ribalta e la Compagnia della Lebenshilfe, con dei laboratori quotidiani. Potremmo chiamarla l’Accademia delle arti della diversità. Siamo in contatto con figure professionali di importanza internazionale come Julie Stanzak, ma vorremmo anche coinvolgere altri danzatori del Tanztheater Wuppertal e persone come Marco Baliani e Gabriele Vacis. Uno spazio aperto, liquido, aperto alla sperimentazione e alla creazione teatrale, ma anche alla musica, alle arti plastiche… Non in competizione con le realtà già presenti, ma in sinergia. Una grande possibilità per Bolzano”. Di più, una responsabilità per tutti quelli che hanno a cuore il suo futuro.

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