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October 12, 2023

SEDOTTIeABBANDONATI
Memoria e identità dei luoghi dell’abbandono

Stefania Santoni

“I luoghi abbandonati non muoiono mai. Si solidificano nella dimensione della memoria di coloro che vi abitavano, fino a costituire un irriducibile elemento di identità. Vivono di una loro fisicità, di una loro corposa e materiale consistenza. Si alimentano di uno spessore doppio e riflesso. Pretendono non la fissità, ma al contrario il movimento, il percorso fisico e mentale di una loro continua riconquista.”

Sono parole di Vito Teti, contenute nel saggio “Il senso dei luoghi”. E proprio di spazi e luoghi che rimangono per sempre, al di là del loro utilizzo e abbandono, si occupa il progetto SEDOTTIeABBANDONATI, promosso dal Collegio degli ingegneri del Trentino, che si pone come obiettivi primario quello di generare interesse per il tema degli edifici abbandonati e indurre così nuove riflessioni su un fenomeno molto discusso nel nostro Paese, ma non ancora completamente riconosciuto: la presenza massiccia sul territorio di infrastrutture ed edifici la cui realizzazione non si è mai conclusa o che,  se conclusa, sono stati successivamente abbandonati. Di questo e altro ho avuto il piacere di parlare con Roberta Re, ingenera che fa parte di questo meraviglioso progetto. 02.MontecatiniRoberta, mi racconti come nasce SEDOTTIeABBANDONATI?

Io faccio parte del collegio degli ingegneri del Trentino, che di fatto è l’associazione madre di questo progetto e che quindi nasce in un ambiente di natura tecnica. Essendo la nostra realtà un’associazione culturale che vuole praticare e fare cultura, ci siamo interrogati nel 2020 sul metodo in cui avremmo potuto approcciarci al tema degli edifici abbandonati perché ci siamo resi conto che erano davvero tantissimi sul nostro territorio. L’approccio all’abbandono è stato fatto seguendo due punti di vista: uno più romantico e storico, che sicuramente mi appartiene moltissimo (da sola, infatti, sono sempre andata a fotografare edifici abbandonati perché trovo affascinante ricercare questi luoghi un po’ “sospesi”: essendo visitabili vuoti, liberi da tutto, regalano la possibilità di percepire la dimensione dello spazio in maniera inusuale, aprendo la riflessione su come si possa entrare in relazione con l’ambiente creando scenari davvero suggestivi); dall’altra il fatto che spesso questi edifici – come ad esempio quelli pubblici con una storia legata alla comunità – abbiano una qualità architettonica davvero notevole. Penso alla zona di Arco o a quella di Riva del Garda che ospita ex-sanatori per la TBC e ville tedesche che erano delle vere e proprie case di cura, dal fascino sontuoso e decadente, luoghi dalla storia stratificata. A questo punto sorge spontanea una domanda: che cosa possiamo farne?03_Montecatini A seguito della tua domanda, vorrei sapere che cosa si propone di fare l’associazione con questi luoghi abbandonati. 

La prima volontà del progetto è di rimanere nell’osservazione laica di ciò che c’è attraverso la realizzazione di una mappatura fotografica per tutti e tutte: non solo per tecnici, quindi, ma proprio per chiunque veda un edifico abbandonato e ci mandi la rispettiva fotografia. Il nostro compito è di localizzare questo luogo sulla mappa, rendendolo visibile e riconoscibile con un simbolo, un puntino. Questa mappatura fotografica è stata davvero dirompente rispetto a ciò che ci immaginavamo, perché moltissime persone ne hanno preso parte, persone che non solo amano fotografare ma che desiderano tenere viva la memoria dei luoghi, così da dare uno spazio di ricordo e d’identità ai nostri territori. Per non essere autoreferenziali e narrare questa sorta di fenomenologia dell’abbandono solo in Trentino, abbiamo inoltre pensato di uscire dai confini del nostro territorio organizzando quattro conferenze online così da esplorare questo tema anche in altre zone d’Italia come la Puglia o in città quali Ravenna, Rimini, Milano. Avevamo un profondo interesse nel capire quali approcci siano stati seguiti per avvicinarsi a questo tema, quali siano stati gli elementi che abbiano funzionato e quelli che invece non siano stati efficaci. In questo modo siamo entrati in una rete un po’ più ampia. Durante queste conferenze sono stati condivisi progetti come la creazione di itinerari attraverso luoghi abbandonati: mi riferisco alla storia delle colonie nella zona della riviera Romagnola che identifica una parte di lungomare. A Bologna invece siamo andati a conoscere i ragazzi dei Giardini Margherita, ambiente dove sono riusciti a far coesistere la natura con spazi di coworking e di un asilo solidale, quindi sposando una multidisciplinarietà circolare in grado di far rivivere un luogo attraverso la strada del recupero. 04_Appartamenti DroC’è qualche azione progettuale specifica attualmente in atto? 

In questi mesi, grazie al sostegno della Fondazione Caritro, stiamo operando su due fronti: da un lato stiamo mettendo in atto la schedatura di questi luoghi abbandonati, scegliendo per ogni territorio gli edifici pubblici o privati a uso pubblico di cui viene raccontata brevemente la storia (cos’era, a cosa serviva, da quanto tempo è abbandonato). È stata eseguita una ricerca bibliografica molto approfondita e ricca di fonti preziose sconosciute ai più all’interno degli archivi, che ha visto la collaborazione della Soprintendenza dei Beni Culturali e anche del Museo Storico. In alcune zone, come la Val di Non, sono state riportate anche fonti orali attraverso interviste ai locali: in questo modo è stato possibile dare rilievo a una narrazione del territorio scandita da un linguaggio più colloquiale. Dall’altra parte, invece, stiamo realizzando dei trekking col fine di esplorare e conoscere questi luoghi. I prossimi si terranno in primavera 2024, a  Trento e Rovereto, dove andremo alla scoperta di più luoghi come Foresta, Accademia di comunità e la stazione ferroviaria. Tutto il secondo piano della stazione è difatti vuoto, completamente inutilizzato; la parte che si trova a destra, dove un tempo venivano gestite le merci al piano terra, era totalmente abbandonata ma oggi grazie a un intervento del Comune di Rovereto questi spazi sono stati rigenerati a uso comunitario. Aspetto interessante è quindi il fatto che qui convergano molteplici realtà quali le stazioni ferroviarie, la rete ferroviaria italiana, il Comune e il collettivo che organizza moltissime attività. Insomma, una storia di abbandono che è andata a buon fine e che è in fieri, in continua evoluzione. 06_Galtarossa_TrentoUn’ultima domanda, Roberta. Quali sono i lughi abbandonati che hanno sedotto il tuo cuore?

Sicuramente la Collotta Cis e la storia della Val di Ledro. Ma sono molto legata anche al territorio dell’Alto Garda e ai suoi sanatori, in particolare all’ex “Quisisana” perché avendo scoperto la storia delle persone che hanno vissuto lì dentro con esperienze di malattia, sono riuscita a cogliere e a sentire al suo interno, in spazi molto eleganti, intimi, dei luoghi densi di umanità. Fino agli anni Settanta e Ottanta Arco era considerata “la Sputacchiera d’Italia” perché era un luogo dove tutti i malati del nostro Paese venivano a curare la TBC; le persone per tale ragione avevano quasi paura di visitare questa cittadina, anche solo di farci una passeggiata. Ora, invece, a cinquant’anni di distanza, tutto è cambiato e Arco è conosciuta per l’arrampicata: credo che quasi nessuno si ricordi la storia che aveva prima. Anche il periodo di fine Ottocento, quando questa cittadina era luogo di ricchezza e privilegiato dall’élite tedesca, è pressoché dimenticato. Ma se noi ricordiamo ciò che siamo stati, facendolo riaffiorare alla nostra memoria, possiamo comprendere che l’identità dei luoghi muta e può cambiare.

Credits: (1)  Sanaclero , Arco,  foto di Andrea Benuzzi – Associazione fotografica Il Fotogramma; (2) Montecatini, Mori, Sonia Calzà – Associazione fotografica Il Fotogramma; (3 )Montecatini, Mori,  Laura Zinetti – Associazione fotografica Il Fotogramma (4) Appartamenti centrale idrolettrica, Dro, Norma Todeschi – Associazione fotografica Il Fotogramma (5) Galtarossa, Trento, Sabrina Bortolotti.

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