More
March 28, 2023
Ecosistemi di benessere e qualità:
intervista a Irene Visentini di studio comune
Maria Quinz
“Gli esseri umani non sono problemi che attendono di essere risolti, ma potenziali che attendono di essere rivelati”. Frederic Laloux
Il mondo del lavoro è oggi una realtà sempre più complessa. Spesso, lo si vive come una strada in salita, alquanto accidentata e questo vale non soltanto per i giovani. A volte è un percorso ad ostacoli o un andare a tentoni, a volte, invece, ma sempre più raramente – al confronto con le generazioni passate - è una strada già battuta, che conduce a una meta più o meno certa. È comunque, sempre, un’esperienza in divenire, soggetta a mutamenti – sia quando il lavoro c’è, che quando non c’è; quando lo si cerca e lo si cambia, così come quando lo si lascia, per raggiunti limiti di età. È vero anche che molteplici fattori possono irrompere quotidianamente, cambiando le regole del gioco e la “qualità dell’aria” che si respira in un ambiente di lavoro “purificandola o inquinandola”, con conseguenze importanti sul benessere dei singoli e delle organizzazioni. Una dimensione esistenziale, quella del lavoro, non certo di poca rilevanza per la maggior parte degli individui, considerando che “al lavoro”, le persone dedicano gran parte delle loro vite.
E la domanda che non tarda ad arrivare, mentre ho il piacere di conversare su tali argomenti con l’amica Irene Visentini, una delle fondatrici (con Sofia Sanchez e Raffaela Constantini) di studio comune – cooperativa sociale che concentra il proprio ambito di interesse sui temi dell’innovazione, dello sviluppo e della collaborazione nelle organizzazioni - è un po’ questa:
Irene, come si può intervenire per migliorare il “clima” nelle organizzazioni e in che modo?
Si può fare molto e questo rappresenta uno dei principali obiettivi di studio comune fin dalla sua fondazione nel 2016: quello di favorire una nuova consapevolezza all’interno di ambienti di lavoro e organizzazioni, dove le persone possano riconoscersi, vivendo al meglio la loro dimensione lavorativa e personale. Esistono molti studi affascinanti sul tema. In particolare c’è un libro in cui abbiamo trovato diverse conferme e che ci ha molto ispirato ed è “Reinventare le organizzazioni” di Frederic Laloux, business thinker ed esperto di organizzazione aziendale. La sua teoria, esposta nel libro, evidenzia come i cambiamenti delle organizzazioni tendano a seguire quelli umani, sulla base dei salti evolutivi a livello sociale, generando modelli di riferimento sempre nuovi. Oggi nell’epoca post-pandemica il paradigma sta cambiando, così come è avvenuto in passato. Ragionando per metafore, se nella visione fordista le aziende erano pensate come “macchine” e le persone come ingranaggi ed in in tempi più recenti si è ricorso al paradigma dell’azienda come “grande famiglia” (con aspetti, potenzialmente, disfunzionali), oggi la metafora che ci sembra più calzante – ripresa da Laloux – è quella dell’ecosistema: un sistema vivente (fatto di persone), che, come tutti gli esseri viventi deve essere nutrito e curato per crescere, svilupparsi e adattarsi in modo dinamico a contesti e situazioni, ai soggetti che ne fanno parte e ai mutamenti in atto. L’attivazione di una nuova consapevolezza è spesso il punto di partenza su cui lavoriamo per innestare il cambiamento e il salto di qualità, sia negli ambienti di lavoro, come, per esempio, le aziende, che in altre organizzazioni come la scuola, le associazioni, le comunità ecc. Quali sono i principali strumenti che utilizzate per generare consapevolezza, per esempio, con i più giovani?
Lavoriamo molto con i giovani, sia con i bambini che con i ragazzi. Una delle nostre socie fondatrici, Raffaela Constantini lavora come insegnante nella scuola è il suo principale interesse nel fondare studio comune, era esattamente quello di portare queste tematiche all’interno della scuola. Lavoriamo molto con l’intendenza scolastica nell’ambito del piano di aggiornamento provinciale proponendo, ormai da anni, corsi per insegnanti e dirigenti, ma anche con singole scuole attraverso giornate pedagogiche, laboratori per alunni e alunne delle scuole primarie e secondarie, come anche dell’asilo. Vediamo che anche i più giovani partecipano con interesse alle attività collaborative proposte, anche perché usiamo diversi metodi di coaching, formazione e facilitazione come il gioco strategico, tra cui il LEGO Serious PLAY, ma anche le carte o il coaching game, giochi che creiamo a seconda dell’utenza e che riformuliamo, ispirandoci a varie fonti, per creare delle dinamiche in cui i ragazzi si sentano partecipi, sicuri e liberi di esprimersi, mettendo in campo anche aspetti più personali. Quali sono i temi – andando più nel dettaglio – su cui lavorate per “generare ecosistemi di benessere e qualità”?
Sono diversi: la gestione del tempo, la gestione dello stress, la comunicazione non violenta per la gestione dei conflitti, l’intelligenza emotiva, le intelligenze multiple, solo per fare alcuni esempi. Il coaching può avvenire quindi con metodiche e approcci differenti con l’obiettivo di sbloccare i paradigmi precostituiti e definire nuove dinamiche di relazione, passando anche attraverso una presa di consapevolezza della complessità che il mondo di oggi ci costringe a vivere. A partire da tale complessità si lavora insieme su cosa si posso fare in meglio per sé e per gli altri.
studio comune è a sua volta un’organizzazione, quale è “la formula” che fa funzionare il vostro gruppo?
Sicuramente c’è, da una parte, la diversità delle nostre formazioni e approcci, che si integrano tra loro, come anche, dall’altra, la condivisione degli obiettivi. Sofia Sanchez è antropologa, coach di formazione, ha studiato Filosofia e Servizi Sociali. Io ho alle spalle studi in Scienze Politiche, tanti anni di lavoro nello sviluppo di progetti formativi e specializzazioni in innovazione sociale e nella facilitazione di metodi e dinamiche. Sofia è più interessata alla parte teorica e di concetto, io sono più votata all’organizzazione, alla creazione di dinamiche di gioco e interazione. Ora abbiamo un nuovo socio di lingua tedesca – ci tenevamo a un’ulteriore diversità - Philipp von Hellberg. Philip ha lavorato molto come docente universitario sul tema della collaborazione digitale in ambito tecnologico all’interno dei gruppi e si è formato inoltre come facilitatore e mediatore di conflitti. Irene, ci spieghi qualcosa in più sul gioco strategico?
Il gioco è senza dubbio una modalità fondamentale di apprendimento; è una dimensione stimolante che permette di “metterci in gioco” più di altre, perché crea un contesto protetto in cui sperimentare. Giocando ci si diverte e questo coinvolgimento emozionale fa sì che comprendiamo meglio gli altri e partecipiamo alle situazioni a un livello diverso: a livello di intuizione, percezione, sensazione… Divertendoci attiviamo anche degli ormoni che ci stimolano all’apertura, alla spontaneità, ci permettono di aprirci. Il gioco è “strategico” perché è sempre orientato alle finalità del gruppo. C’è sempre un obiettivo alla base: per esempio, in una giornata di lavoro, il tema potrebbe essere lo sviluppo del team. Noi però non facciamo il cosiddetto team building, come si usa fare nelle aziende, organizzando per esempio delle scampagnate. Quello che facciamo a studio comune è lavorare sull’equilibrio all’interno di un’organizzazione con focus diversi: sulle persone, la struttura, i processi, gli obiettivi. Magari lo facciamo all’aperto, troviamo una dimensione piacevole dove stare, ma ci concentriamo sui temi specifici propri di quel team e su come si possa migliorare la collaborazione.
E cosa si può fare per facilitare quelle fasi di passaggio, spesso complesse, come il cambiamento e l’uscita dalla dimensione lavorativa?
Lavoriamo molto anche con persone da poco in pensione o in procinto di andarci. L’anno scorso abbiamo terminato un progetto pilota con la Provincia che si chiamava “Finalmente in pensione e a questo punto mi ripenso” e che stiamo proponendo ai comuni e a diverse organizzazioni. In questo caso, il tema è l’accompagnamento nella gestione del cambiamento alle persone che vanno in pensione, con tutto il bagaglio di paure, falsi idealismi, aspettative, situazioni di isolamento e solitudine che spesso si portano con sé. Con loro abbiamo fatto dei laboratori con il LEGO Serious PLAY, dove il gioco del lego con i suoi mattoncini, è usato per esprimere concetti astratti, immateriali, che aiutano a dare una sorta di tridimensionalità alle riflessioni, mettendole sul tavolo, davanti a tutti, in forma di costruzioni. Usando le mani anche il pensiero irrazionale trova spazio e forma e vengono fuori contenuti molto interessanti attraverso il racconto metaforico di ciò che questi modelli di lego possono rappresentare. Non mancano nel progetto piattaforme online dedicate e una seduta di coaching individuale per valutare insieme ai singoli partecipanti ciò che il territorio potrebbe offrire in base agli obiettivi prefissati; in modo che la formazione possa avere un impatto reale, stimolando le persone all’azione.
Per concludere mi accenni brevemente ai vostri progetti sull’agenda ONU 2030 per lo sviluppo sostenibile?
Questo è un altro tema su cui lavoriamo da tempo con progetti di sensibilizzazione sui 17 obiettivi individuati dall’Onu per lo sviluppo sostenibile. Abbiamo realizzato diverse iniziative negli anni, nell’ambito del Festival Asvis, con tanti partner a livello locale. Abbiamo attivato organizzazioni private, aziende, enti di ricerche, università, pubbliche amministrazioni, associazioni del terzo settore, anche con il coinvolgimento della cittadinanza: ognuno con il proprio punto di vista e la proprie attività, con l’obiettivo concreto di passare all’azione e pensare come contribuire allo sviluppo sostenibile. Adesso stiamo pensando alla prossima edizione ed è un tema che affrontiamo sia con gli studenti che con gli insegnanti, perché se vogliamo avere un futuro e uno sviluppo, dovranno essere sostenibili.” Credits; (1) Asia De Lorenzo (2, 4) Anna Michelotti (3) Stefano Albertini (5) Irene Visentini fotografata da Anna Michelotti.
Comments