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November 17, 2020

Koloko Street: le fotografie di Georg Zeller a foto-forum

Francesca Fattinger

“Eine Straße in „Silver Hills“. Das sogenannte Security Estate ist rund um einen weitläufigen Golfplatz angelegt und von hohen Mauern mit elektrischem Stacheldraht begrenzt. Um Einlass zur Community zu erhalten muss den freundlich lächelnden, schwer bewaffneten Wächtern am Eingang der eigene Fingerabdruck bekannt sein. Bei Gästen wird auch eine Einladung mittels persönlichem Zugangscode akzeptiert. Um hier leben zu dürfen, ist Geld der Schlüssel. Hautfarbe hilft auch”.

È così che Georg Zeller comincia a raccontare di Koloko Street, la sua prima mostra personale ospitata a foto-forum a Bolzano e curata da Stefano Riba. Inaugurata in modalità virtuale lo scorso mercoledì, sarà visitabile per alcune settimane, appena la crisi emergenziale lo permetterà.

Per adesso chi vive a Bolzano può andare a curiosare nella vetrina dello spazio, troverete una fotografia della serie esposta all’interno.

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In un momento come quello attuale in cui siamo costretti alla distanza sociale e al confinamento in casa, una mostra come questa non può che aiutarci a discutere insieme, ad aprirci gli occhi e aiutarci a essere critici; molto più spesso di quanto crediamo situazioni che appaiono lontanissime da noi o surreali, tanto sembrano incredibili, sono meno lontane dalla nostra quotidianità di quanto vogliamo raccontare a noi stessi. 
Le immagini realizzate dal filmmaker e fotografo Georg Zeller sono state scattate una sera durante uno dei suoi diversi viaggi nella provincia di Gauteng in Sudafrica e ritraggono le abitazioni all’interno di un agglomerato urbano nella “security estate” di Silver Hills. Koloko street è una delle strade al suo interno, in ogni angolo si è sorvegliati da centinaia di telecamere di sicurezza e sia alle entrate che all’interno ci sono presidi di guardie armate: tutto deve essere sempre sotto controllo.

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Stefano Riba nel suo testo curatoriale ci ricorda come le “security estate” non siano “una prerogativa solamente sudafricana, ma siano propri dei paesi dove la ricchezza è iniquamente distribuita e la società è estremamente polarizzata, per citarne alcuni: Brasile, Messico, Argentina, India, Israele, Indonesia, Thailandia, ma anche Stati Uniti, Gran Bretagna, Romania e Italia (Milano, Roma e in alcune zone di villeggiatura di lusso). Gli abitanti di questi luoghi vogliono che i soldi, le comodità e l’accesso alle risorse che possiedono siano protetti da chi sta fuori: persone povere, emarginate, senza accesso al welfare e per questo spesso pronte a combattere, rubare, uccidere.”
Per questo la mostra ospitata a foto-fotorum vuole contribuire a una discussione e riflessione più ampia e globale e ci invita a farlo costruendo un allestimento atmosferico che ricrea il buio della notte in cui le fotografie sono state scattate, per amplificare il senso di segregazione domestica, e con la loro retroilluminazione sembra invitarci a uno sguardo voyeuristico e curioso alla ricerca impraticabile di segni di vita al di là di muri, recinzioni e delimitazioni di queste grande prigione dorata. 

Koloko Street, foto allestimento foto-forum Claudia Corrent

Georg mi racconta ciò che ha vissuto nei giorni passati in questa “comunità recintata” che nelle sue fotografie sembra un insieme di “bunker, refrattari a ogni forma di empatia”, come “modellini di un plastico che presenta le abitazioni di un mondo distopico che invece è reale.” Come esterno Georg è potuto entrare solo perché invitato da residenti, trasferitisi all’interno perché impauriti da atti di sopruso in casa propria avvenuti quando vivevano al di fuori della security estate. Un esterno può avere il permesso di entrare solo dopo attenti controlli che non finiscono dopo l’accesso ma continuano, come per ognuno dei residenti, nei giorni successivi. Gli è capitato ad esempio di lasciare per qualche minuto incustodita la sua valigia all’esterno dell’abitazione e di essere chiamato immediatamente da una guardia per spiegarne la motivazione.

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Per vivere in queste spesso doppie prigioni dorate, una più grande della comunità, e una più piccola della propria casa protetta da muri, recinti e filo spinato, bisogna firmare contratti lunghissimi in cui sono descritti i comportamenti da tenere; ad esempio non poter disturbare i vicini con nessun rumore, nemmeno i pianti dei bambini. L’unico suono che si sente durante la notte, un momento in cui poter camminare più liberamente, è quello dei cani delle guardie che ringhiano al tuo avvicinarti.
Anche il colore delle abitazioni e la tipologia di piante del giardino devono seguire delle regole sottoscritte alla firma del contratto dei residenti: le case si distinguono per alcuni elementi stilistici personali, una colonna, un pilastro, una determinata scelta nel giardino, o più spesso una macchina di lusso o una barca a vela lasciata davanti alla porta di casa, che permettono a chi le abita di personalizzarle e lasciare una traccia di sé per farsi riconoscere.

Koloko Street, foto allestimento foto-forum Claudia Corrent

Georg sottolinea infine come “questi posti non siano comparabili ai quartieri di una città normali, conosci i tuoi vicini solo per le marche delle auto che guidano e per il numero di domestici che si possono permettere. Qui non si fa affidamento alle politiche o alle forze dell’ordine governative, ma si mette la propria sicurezza nelle mani di società private. È come vivere in una grande e lussuosa prigione.” Se vuoi fare qualcosa che non sia giocare a golf, fare jogging o portare in giro il cane, devi uscire e per farlo devi per forza prendere la macchina, se no vieni guardato male. Puoi recarti al centro commerciale per spendere i tuoi soldi, fare yoga o un altro sport e mangiare, ma sempre sotto gli occhi di forze armate di mitragliatrici. E se invece vuoi vedere un parco naturale sarai libero di andarci, ma potrai ammirare natura e animali solo attraverso le finestre del tuo SUV. Alla fine della giornata potrai ritornare nella tua prigione dorata e clic le luci si accenderanno appena la notte calerà e il buio invaderà Koloko street. 

 

Foto di Georg Zeller
Foto dell’allestimento di Claudia Corrent

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