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May 15, 2020
Designers made in BZ 02_Audrey Solomon
Claudia Gelati
Illustratori, designer del prodotto, grafici, social designer, fotografi, esperti di comunicazione… Personalità diversissime tra di loro che oggi ‘fanno cose’ e lavorano nei settori più diversi sparpagliati per tutta l’Europa, con il comune denominatore di aver fatto di Bolzano la propria casa almeno per un periodo, abitando le vie della città, decifrando lo slang locale ma sopratutto progettando e studiando negli atelier e nelle officine della nostra Facoltà di Design e Arti di Unibz. Designers made in BZ, appunto.
Andiamo con ordine: chi è Audrey Solomon, da dove viene (e dove va) e cosa fa oggi nella vita per mettere in tavola la famosa pagnotta?
Mi chiamo Audrey, ho 25 anni e vengo da un piccolo paese nelle alpi Svizzere, vicino a Lucerna. Lavoro come graphic designer e sono interessata principalmente al settore editoriale e archivi fotografici. Attualmente vivo a Zurigo e lavoro da 10 mesi come stagista per Lars Müller Publishers, una casa editrice specializzata in architettura, design, arte e tematiche sociali.
Da ex-studente della facoltà di Design e Arti di casa nostra: come sei approdata a Bolzano e ci sono degli insegnamenti, dei valori o un metodo che hai acquisito in Facoltà e che ancora oggi trovi utili nel tuo lavoro?
Una serie di elementi mi ha portato alla Facoltà di Design e Arti a Bolzano: il fatto che fosse in un posto piccolo con una scena culturale attiva, la possibilità di frequentare un corso multi disciplinare, la presenza di una comunità universitaria multiculturale e l’opportunità di acquisire una nuova lingua. Questa combinazione insieme all’incredibile infrastruttura delle officine mi ha convinto.
Del periodo passato a Bolzano mi sono rimaste impresse in particolare due cose: la prima è l’insieme di persone incontrate e le tante amicizie e connessioni create. Infatti ho vissuto Bolzano e in particolare la facoltà, come un posto dove si incontrano culture, opinioni e storie improbabili. Il mix di persone provenienti da diversi background crea una piccola comunità molto ricca e stimolante, con la quale conservo tuttora i rapporti. La seconda è il fatto di aver studiato sia comunicazione visiva che design del prodotto. Questo binomio dà la possibilità di non limitarsi ad una sola disciplina, ma di vedere il design come settore più ampio, nel quale convergono diverse discipline che si connettono e lavorano insieme. Questo rappresenta un enorme vantaggio, se sfruttato bene.
Con la fine del percorso universitario come ti sei sentita? Sapevi già cosa avresti voluto fare e quali esperienze hai fatto nel mentre?
Non avevo un’idea precisa su cosa fare, ma non credo che quello sia il punto di una triennale. È improbabile sapere esattamente cosa si vuole fare dopo soltanto tre anni di studio. Per quanto mi riguarda ho finito gli studi con un’enorme curiosità e voglia di scoprire ambiti nuovi e diversi; mi sono permessa, e tuttora continuo a permettermi, di prendere del tempo per esplorarli attraverso progetti personali, collaborazioni, tirocini e altri studi. Questo, insieme alla fortuna di aver incontrato tante persone davvero generose e disposte a darmi la possibilità di crescere, mi ha portato a percorrere una strada ricca di esperienze.
Terminati gli studi, dopo essermi rilassata e dedicata al mio portfolio, ho lavorato in Facoltà come assistente di progetto nel corso di design del prodotto con gli studenti del primo semestre. Successivamente ho continuato con una breve collaborazione con Rorhof, una casa editrice/studio con sede a Bolzano, e poi ho deciso di tornare in Svizzera. Oltre a lavorare presso Lars Müller Publishers, collaboro come ricercatrice per un progetto editoriale con Atelier Éditions, una casa editrice specializzata in libri artistici e fotografici. Quest’estate frequenterò una Summer School tipografica dell’artista e graphic designer Dafi Kühne e a Ottobre inizierò una magistrale in editoria alla University of Arts a Londra. Nonostante il settore editoriale mi permetta di coltivare più interessi (grafica, tipografia, storia e fotografia, ecc.) voglio rimanere aperta all’apprendimento di altre discipline, integrandole al design in un mercato del lavoro che ci richiede di essere sempre più flessibili e capaci di adattarci.
Dai ora puoi anche dircelo, tanto non ci legge nessuno: cos’è il design per te e qual’è la tua visione, il tuo credo progettuale.
Per me il design è comunicazione e interazione tra noi e il nostro ambiente. Può essere un’interazione tra una persona ed un’oggetto, uno schermo, una informazione così come interazione con la natura oppure con altre persone… Il nostro lavoro consiste nell’osservare, analizzare e intervenire in questo processo e proporre delle soluzioni per migliorarlo, facilitarlo, criticarlo o semplicemente raccontarlo da un punto di vista nuovo.
Tra i progetti e/o collaborazioni che hai seguito, raccontacene uno che ti sta particolarmente a cuore e che non possiamo non conoscere. Progetti futuri o al quale stai lavorando al momento?
Un progetto a cui tengo particolarmente è The Pigeon Photographer, un libro fotografico creato in collaborazione con Nicolò Degiorgis durante il mio stage a Rorhof e pubblicato nel 2017. Attraverso materiale storico come fotografie, giornali e disegni tecnici, accompagnati da un essay dell’artista Joan Fontcuberta, questo libro racconta la storia di Julius Neubronner che all’inizio del XX secolo ha sviluppato una macchina fotografica per i suoi piccioni pensata per scattare fotografie aeree. È stato il mio primo progetto esterno all’università che, grazie all’incredibile fiducia e generosità di Nicolò e del team di Rorhof, mi ha permesso di entrare nel mondo editoriale e fotografico, aprendomi varie porte. Tanti dei miei interessi e dei valori legati al mio metodo di lavoro sono il frutto di questo progetto e di questa preziosa collaborazione. Una delle porte aperte, mi ha portato a collaborare con il team di Atelier Éditions sul progetto Spaghetti Western che esplora il fenomeno della cultura Westerne Native American in Europa nel XX secolo attraverso la fotografia d’archivio. Il progetto è ancora in fase di ricerca ma è una collaborazione stimolante che mi permette, accanto al mio lavoro da graphic designer a Zurigo, di coltivare la mia passione per gli archivi fotografici.
Attualmente stiamo vivendo una situazione molto particolare, che forse mai avremmo pensato di dover fronteggiare all’albadi nuovo decennio. Una situazione in cui, ci sono lavori più urgenti, più necessari di altri. Come ècambiato il tuo lavoro a causa del Covid19? Pensi che anche il design possa dare un contribuito importante? Se si, quale?
Devo dire che, a parte il lavoro a distanza obbligatorio, il mio ritmo e la mia mole di lavoro non hanno subito particolari cambiamenti. Le persone hanno più tempo da dedicare alla lettura e ai libri. Riguardo al contributo del design in questa circostanza, credo che possa risultare determinante in maniera positiva o negativa, se consideriamo il fatto che esso tocca tutti gli ambiti della nostra vita, dai prodotti alle interfacce, dalle infografiche ai sistemi sociali… e colpisce proprio quelle interazioni che stanno alla base del nostro lavoro. Credo sia il momento giusto per fermarsi un attimo e capire, in quanto designer, il modo in cui poter agire e reagire, oggi e in futuro, a situazioni come questa. È un’occasione per ritrovare l’essenza del nostro lavoro progettando con la consapevolezza di avere un impatto serio sul nostro mondo.
Ti lasciamo tornare al tuo lavoro, o a guardare Netflix o magari ad annaffiare le piante, ma prima dicci un po’…
Quel libro che non può mancare nella libreria di un designer o di un creativo:
Un dizionario, perché esprimersi bene è gran parte del nostro lavoro, e una copia di Alice in Wonderland con le illustrazioni originali di John Tenniel. Questo libro mi ricorda sempre quanto la logica e il nonsenso, la razionalità e i fattori imprevedibili ed emotivi siano strettamente legati e di come il design debba essere pensato sempre in funzione di entrambi. E magari la sua essenza più importante per un designer o qualsiasi creativo è come la curiosità stia alla base di ogni avventura.
Due strumenti, attrezzi o aggeggi che non possono mai mancare nel tuo astuccio o zaino
(1)una penna a inchiostro nero, per quando si scarica (2) il cellulare.
Tre account Instagram must-follow:
Non must-follow, solo una scelta di quelli che guardo con una certa coscienza
– le notizie locali/internazionali (per me @tagesanzeiger @bbcnews @nytimes)
– @historyphotographed
– @thisisaposterarchive
Photo credits:
1. Portrait by Audrey Solomon
2. 2018, As You Were Here, Progetto di tesi AS
3. 2018, As You Were Here, Progetto di tesi AS
4. 2017, Rorhof, The Pigeon Photographer, edited and designed with Nicolò Degiorgis, photo credits @rorhof
5. 2020, Lars Müller Publishers, Mutation and Morphosis, designed with Integral Lars Müller and Helene Leuzinger
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