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February 10, 2014
Muori.
Codice Ivan torna a Bolzano ad aprire gli Altri Percorsi del Teatro Stabile
Anna Quinz
Codice Ivan è un collettivo che ormai conosciamo bene (guarda per esempio qui). Codice Ivan sono Benno Steinneger (l’altoatesino del gruppo), Anna Destefanis e Leonardo Mazzi. Sono una delle compagnie che più ha fatto parlare di sé negli ultimi anni, per ciò che riguarda la ricerca e la sperimentazione nel teatro. Oltre a questo, Anna Benno e Leonardo sono persone squisite, dalla profonda intelligenza, con le quali è sempre un piacere dialogare e confrontarsi. Come mi è successo ancora una volta ora, quando in una lunga telefonata si sono raccontati senza riserve. Leonardo non c’era, ma Anna e Benno sono riusciti a farmi entrare nello spettacolo che porteranno a Bolzano per l’apertura degli Altri Percorsi del Teatro Stabile (con 3 spettacoli – compreso questo – sui 4 previsti provenienti dalla fucina creativa della Fies Factory di Centrale Fies), mercoledì 12 febbraio: “Muori. Liberamente ispirato al Requiem di Mozart”. Uno spettacolo complesso, anche per chi conosce bene Codice Ivan, uno spettacolo in cui non è facile entrare (anche per me che ho visto lo studio 2 anni fa e quest’estate la versione “finita”, sempre a Drodesera a Centrale Fies). Eppure Muori è uno spettacolo che ti prende, che ti tocca nel profondo, che porta il pensiero a muoversi frenetico. E quando questo succede, allora si può dire che il teatro abbia raggiunto il suo obiettivo.
Benno, da dove parte Muori, e dove arriva?
Siamo partiti dal Requiem di Mozart, da questa musica che per un dato tempo ci ha accompagnato nelle nostre singole biografie. Cosa abbiamo trovato – noi tre insieme – nel requiem? Abbiamo trovato una musica forte e coinvolgente, che è comunque piena di vita, nonostante sia l’accompagnamento a una messa funebre. Dunque vita e morte stanno insieme nel Requiem ed è questo che ci ha interessato. Perché a noi che siamo in vita interessa la morte? Perché confrontandoci con essa possiamo trovare qualcosa che fa stare meglio nella vita. Ti racconto un aneddoto. Ho lavorato con una poetessa molto anziana che un giorno mi ha detto “se non avessi un continuo dialogo con la morte, sarebbe grandissimo problema per me”. Lei dunque cerca un dialogo per vivere meglio, nonostante sia proprio vicina alla morte ma anzi, questo intensifica per lei il confronto. Perché questo? Perche anche in Muori, una parte è incentrata sul far morire una parte di se stessi per trovare un altro sé. Per esempio, nel mio percorso personale corporeo nello spettacolo, io mi porto fisicamente allo stremo, vado per terra e non ne posso più. In quel momento però accade qualcosa: mi abbandono, mi lascio andare, non cerco più di controllare tutto ma mi affido all’ignoto, perché non ho altra scelta, e scopro qualcosa di nuovo. Come diceva Peter Brook: “ quando lavoro con gli attori il 90% del tempo lo impegno per stancarli, solo così poi sono pronti per lavorare bene”.
Dunque, lavorando sulla morte, avete imparato a vivere meglio?
Benno: Certo. Per me Muori è strettamente collegato alla mia biografia, non posso prescindere nella creazione artistica dalla mia vita privata. Ho iniziato un percorso personale di autocoscienza, cercando di conoscermi meglio, e Muori è capitato a fagiolo. Ma probabilmente non per caso. Mi ha spinto ad andare avanti in questa ricerca e posso dire di stare meglio. Che non vuol dire che io abbia risolto la vita, ma qualcosa di certo è andato avanti.
Anna: Io prendo la questione da un altro punto di vista. Muori è stato un lavoro difficile, perché il tema è complesso, e anche come gruppo non è stato facile confrontarcisi. Ha provocato dei mutamenti nel nostro modo di stare insieme come collettivo. Siamo partiti da Requiem, che è però qualcosa di più rispetto concetto dalla morte. Non a caso a maggio usciremo con il progetto “Esperimenti per un Requiem”, dove la morte consiste nella morte dell’autorialità – non totale – il lasciarsi andare del gruppo ad altro e ad altri. Una conseguenza di Muori insomma. E mi piace pensare a questo spettacolo come a qualcosa che ci mette in crisi a livello drammaturgico, di pensiero, e che ci sta portando a un cambio di pelle, a una metamorfosi. Una morte non negativa, che porta invece a un profondo rinnovamento.
Muori è uno spettacolo che si allontana molto dai vostri progetti precedenti…
Anna: Qui abbiamo attivato una nuova ricerca, che ci mette in crisi. Abbiamo giocato tanto in questi anni su alcune strategie teatrali, abbiamo approfondito l’ironia, cercando un nostro codice dentro a questo rapporto diretto con pubblico. Dopo “What the hell is happiness” il desiderio che è nato è stato quello di sottrarre, portando l’attenzione sulla drammaturgia, qualcosa che ha a che fare con la presenza e che mette il corpo in scena con più responsabilità. Per noi questa possibilità di rischio è molto importante. Di certo però, Muori è un lavoro molto difficile per il pubblico, anche per quello che ci conosce.
Infatti. Io che sono avvezza ai linguaggi della sperimentazione e che conosco il vostro lavoro, ho fatto fatica a capire Muori. Allo spettatore che arriverà mercoledì senza precise aspettative, potreste dare qualche chiave di lettura, un tag, un aiuto?
Anna: Quello che mi piacerebbe chiedere a chi si siede in sala è di concedersi una libertà di lettura personale. Noi siamo alle rese con la costruzione di un nuovo codice e alfabeto, cercando di capire come altri linguaggi rispetto ai precedenti possano funzionare. Dunque suggerirei di darsi la possibilità di sedersi e cercare di creare un dialogo con se stessi. È chiedere tantissimo, lo so, perché gli incipit sul palco sono tanti, ma rarefatti e meno narrativi e diretti di quelli degli spettacoli precedenti. Abbiamo preso questo rischio per aprire totalmente l’attività di pensiero in chi guarda. Dando letture soggettive e personali.
Benno: Sono d’accordo con Anna, lo spettacolo diventa un confronto con se stessi, nella logica di Duchamp che diceva che l’opera d’arte diventa tale attraverso lo sguardo del visitatore. Nel nostro caso dello spettatore. Noi poniamo sul palco una forma, mettiamo un corpo, un testo, delle immagini che possano dare qualcos’altro, che permettano allo spettatore di costruire i propri paesaggi, storie ecc.
Ovviamente abbiamo asciugato tanto e queste cose funzionano meglio quando forme sono più minimali. Ci troviamo in una situazione ibrida, dove le vecchie formule di Codice Ivan sono ancora presenti e le nuove stanno emergendo. Credo che questo per lo spettatore possa essere interessante.
Già così pare un lavoro complesso e stimolate per lo spettatore. Qualche altro suggerimento?
Benno: Sì, c’è un’altra chiave di lettura possibile. Noi qui ci confrontiamo anche con il dispositivo teatro. Di cosa è fatto? Di testo, corpo in scena, immagini che si creano. Abbiamo diviso questi tre elementi e ciascuno di noi in scena si assume la responsabilità di uno o dell’altro. Leonardo scrive. Io faccio un percorso corporeo che comporta un cambiamento fisico. Anna raccoglie immagini che non si possono vedere, sposta lo sguardo da visione generale a visione particolare, anche metaforicamente. Insomma, è uno spettacolo complesso che si può leggere a tanti livelli e che forse può essere anche troppo complesso, perché magari lo spettatore non vuole seguirci. E va benissimo. Certo è che per noi si inserisce in un percorsi di ricerca profonda, ed è per questo che è più radicale.
Lo spettacolo è arrivato perfino in Cina. Essendo basato anche sul linguaggio, come avete fatto a farvi capire, come avete creato una relazione con il pubblico?
Benno: Gli organizzatori che ci hanno invitato erano effettivamente spaventati perché pensavano che il pubblico non fosse pronto, anche se abituato alla ricerca. Però il pubblico ha risposto molto bene. C’è grande attenzione verso ciò che succede fuori dalla Cina e dunque una grande disponibilità da parte loro. il pubblico era in gran parte giovane, con un grande interesse di confrontarsi con l’altro da sé. Una cosa utile è stato l’incontro con il pubblico dopo lo spettacolo. Avevano tante domande e potevano farle e questo ha chiarito tanto. Lo faremo anche a Bolzano.
Anna: È stato uno scambio molto interessante per entrambe le parti, perché nel lavoro che facciamo si dà attenzione anche al contesto e abbiamo sentito la necessità e l’urgenza di mettere mano allo spettacolo, trovando nei nostri interlocutori uno spazio ampio di analisi, chiacchiera, visione.
Qualche aneddoto da raccontare sull’esperienza cinese?
Benno: Abbiamo scoperto che c’è un detto popolare cinese che dice “se nella tua vita capisci la morte, vivrai meglio”. E infatti loro hanno visto lo spettacolo, e hanno capito, perché questo concetto è già nella loro tradizione. Per loro magari è più strano confrontarsi con Mozart e quel tipo di musica.
Anna: Ti racconto una cosa buffa che ci è successa. Durante uno dei dialoghi post spettacolo un signore ha alzato la mano per parlare. Ha raccontato che lavora nelle pompe funebri e che aveva costantemente a che fare con la morte. Non è uno che normalmente va a teatro, ma visto il tema dello spettacolo era curioso, anche di capire se poteva dargli spunti utili per il suo lavoro. Ci ha rivelato che all’inizio faceva fatica a capire, ma poi a un certo punto, ha capito: ha capito che la persona seduta alla scrivania (Leonardo) era Steve Jobs. E tutto per lui da lì è diventato chiaro. Ha dato una lettura totalmente soggettiva, ed è stato interessante vedere come abbia trovato una chiave di lettura tutta sua.
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