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September 11, 2013

People I Know: Chiara Gius, ricercatrice a Toronto su migrazione, media e femminicidio

Anna Quinz


Chiara Gius ha 33 anni, è nata a Genova da padre bolzanino e madre genovese, e quando aveva 2 settimane è arrivata a Bolzano dove è cresciuta e ha vissuto fino all’adolescenza, per poi trasferirsi a Trento prima e a Bologna poi, per studiare Comunicazione all’Università. Da lì è iniziata la sua carriera accademica, già scritta nel destino visto che suo nonno era direttore didattico e la nonna maestra. Inizialmente Chiara sognava di fare la giornalista, per la sua passione profonda per i temi della giustizia sociale, trasmessale dalla sua famiglia. Poi, con il passare del tempo, ha compreso che esistevano altre vie per contribuire a raccontare e spiegare i mondi sociali in cui viviamo e ha iniziato a pensare alla ricerca. Al momento Chiara si trova a Toronto, dopo varie tappe nel mondo, dove è visiting researcher e dove svolge una ricerca su migrazioni e genere. L’anno scorso invece si è occupata della rappresentazione nella stampa del femminicidio in Italia. Insomma, una vita dedicata allo studio di temi sociali importanti, che ogni giorno la fanno crescere, come donna e come professionista.

Chiara, com’è vivere a Toronto?

È una città interessante e per la quale provo una fortissima simpatia. E’ una città piena di diversità ma ciò nonostante il livello di conflitto è veramente molto basso. Penso che mi abbia conquistata soprattutto grazie alla sua capacità di rappresentare un punto di compromesso tra due città che hanno avuto un ruolo determinante nella mia vita: Bologna e San Francisco.

Che rapporto hai invece con la tua terra d’origine?

L’Alto Adige è una terra che amo e che rappresenta per me il legame con l’età magica dell’infanzia. Nonostante il mio stile di vita abbastanza erratico, ancora oggi quando mi domandano da dove vengo, rispondo “Bolzano”.  Ricordo la città in cui sono cresciuta come un luogo speciale, che concedeva moltissimo in termini di libertà e di scoperta ai bambini che la abitavano. Sono particolarmente affezionata ai miei ricordi dei carnevali sul Lungo Talvera e a quelli delle settimane di puro divertimento passate a sperimentare percorsi di vita possibili alla Città dei Ragazzi.

Tra i tanti ambiti di ricerca nei quali ti muovi e ti sei mossa, quale quello che ti ha appassionato di più e perché?

In questi ultimi anni ho lavorato a diversi temi, dalle migrazioni alla violenza contro le donne, passando per il modo in cui i giovani italiani impegnati nel volontariato raccontano e rappresentano il Sud del mondo. Sono tutti argomenti a cui sono molto legata e sono tutti – seppur nella loro diversità – temi che alimentano il mio interesse per lo studio di quei margini attorno ai quali è possibile costruire.

 “Migrazioni/genere, prospettiva dei nuovi media” è il tema della tua ricerca attuale. Puoi spiegare meglio?

La ricerca che sto conducendo in Canada si concentra sulla migrazione delle donne in contesti di migrazioni multiple. Sto raccogliendo racconti di vita di donne immigrate in Canada dopo aver vissuto come migranti in altri contesti nazionali. La ricerca però talvolta è anche serendipità e mi è quindi accaduto di “inciampare” su alcuni usi interessanti dei social media in contesti migratori. Questo “inciampo” probabilmente influenzerà il proseguo della mia ricerca portandomi ad esplorare nuovi aspetti dei fenomeni migratori.

Questo tema si lega in qualche modo alla tua origine altoatesina, terra multiculturale ancora in conflitto?

Quando vengo interrogata sulle mie origini altoatesine spesso mi ritrovo a raccontarne le vicende a partire dall’annessione dell’Italia. In particolare mi soffermo a raccontare delle politiche di italianizzazione dei toponimi, argomento che, seppur a ruoli inversi, è ancora paradossalmente  attuale. Essere cresciuta a Bolzano mi ha senz’altro offerto il grande vantaggio di dare subito per assodato che non esiste un solo punto di vista sul mondo, una sola cultura o anche una sola lingua.

Altro tuo argomento di ricerca sono le prospettive femminili nei media…

E’ il titolo del corso che insegnerò nell’università canadese in cui lavoro. Per me rappresenta una bella sfida sotto molto punti di vista: da un lato, è il primo corso che mi trovo a insegnare da sola, per di più in una lingua straniera. Dall’altro gli argomenti del corso mi toccano molto da vicino, perché parlare in maniera critica delle relazioni di genere significa contribuire a portare avanti un discorso sulla distribuzione e l’uso del potere che ritengo centrale se si vuole anche solo cominciare a indirizzare i temi della giustizia sociale.

Come donna, ma anche come ricercatrice, qualche pensiero sul femminicidio in Italia, tema sul quale hai lavorato molto?

È senz’altro uno dei temi più ricorrenti nei media italiani negli ultimi anni.  Questo perché il numero di donne ammazzate per mano dei propri cari è alto, ma anche perché l’argomento sta riuscendo a stimolare un dibattito importante su questo particolare aspetto delle relazioni di genere. Purtroppo, devo osservare che la gran parte della discussione portata avanti nel nostro paese non riesce ancora a focalizzare chiaramente la chiave del fenomeno. Mi riferisco al fatto che i femminicidi raramente vengono letti per ciò che sono, ovverosia l’espressione di una cultura ancora fortemente patriarcale in cui il rapporto uomo/donna implica una posizione di dominio del primo sulla seconda. Di conseguenza spesso ci si dimentica che per stimolare il cambiamento, a differenza di quanto viene comunicato, è sì necessario sostenere le donne che intendono uscire dai percorsi di violenza, ma è ancor più necessario lavorare con gli uomini per arrivare a definire modelli di maschilità alternativi.

 

 

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