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August 21, 2012
People I know. Matteo Vegetti: prima l’ingegneria, poi il mondo
Anna Quinz
Immaginate un giovane e talentuoso ingegnere elettronico, che per anni lavora per una grande azienda come Fiat, in giro per il mondo. Immaginatelo in giacca e cravatta ogni mattina nel suo ufficio a Parigi o a Melbourne. Questo ingegnere di successo è Matteo Vegetti, 34 anni originario di Borgo Manero (Novara). Ma questo è Matteo prima. Prima di un viaggio che gli ha cambiato la vita e che lo ha portato a lasciare dietro di sé la cravatta per sostituirla con uno zaino e un biglietto solo andata per il Vietnam. Per un anno intero, Matteo ha girato l’est del mondo in lungo e in largo, scegliendo per sé un nuovo lavoro, la fotografia, e un nuovo modo di vivere. E così, oggi, dell’ingegnere che fu c’è poca traccia, dietro lo sguardo attento e vispo, la risata sempre pronta, e i lunghi capelli scuri sempre legati sulla testa. E il Matteo di ora, un anno fa, invitato da un’amica bolzanina, è arrivato in Alto Adige, per un reportage fotografico su Egon Rusina, artista gardenese che vive isolato tra le montagne. Durante questa parentesi, ha incontrato l’amore, e così, eccolo a Bolzano, città che per lui – dice – è una buona base da cui partire, per tanti nuovi viaggi di scoperta, laggiù, nel grande mondo.
Visto ciò che è e fa oggi, viene da chiedersi, come mai l’ingegneria?
Mio padre era un appassionato di fantascienza, sono cresciuto tra astronavi e viaggi spaziali. Avevo un ideale romantico dell’ingegneria, e dato che a scuola avevo pessimi voti in matematica e fisica, ho pensato di voler approfondire, negli studi universitari, questi argomenti. Poi penso che l’ingegneria elettronica sia un ottimo corso di cultura generale, che insegna molto sul mondo di oggi. Nel tempo però non mi sono mai pentito di aver lasciato quel lavoro e quella vita.
Perché un “uomo in carriera” come lei, decide a un certo punto di mollare tutto e partire, zaino in spalla, per il mondo?
Sono stato molto fortunato a lavorare sempre all’estero, ma a un certo punto mi sono accorto che nella mia vita mancava uno scopo, volevo darle un senso più alto, prima viaggiando poi cercando di fare qualcosa di più significativo, come raccontare storie, per capire meglio il mondo in cui viviamo. Quando sono partito, volevo innanzitutto vedere due paesi che richiedono un certo tempo per essere scoperti e capiti, l’India e la Cina. Sono rimasto lì alcuni mesi, poi sono passato il Tibet, Turchia, Libano, Giordania, Iran e molti altri posti, per poi, attraverso i Balcani, tornare verso casa.
E la fotografia, oggi la sua professione, come e quando è arrivata?
Durante il mio viaggio, tenevo un blog, dove raccontavo le mie esperienze e inserivo le mie foto. Inizialmente lo facevo soprattutto per dare mie notizie a parenti e amici, poi ho iniziato ad avere lettori affezionati e alcune mie foto sono poi state pubblicate su riviste di viaggio. Così, oltre a capire che non sarei mai più tornato al lavoro di scrivania giacca e cravatta, ho cercato di trasformare la fotografia – che era una grande passione – in un lavoro.
Che tipo di viaggio è stato? Cosa ha scoperto e portato con sé da quell’esperienza?
Ho quasi sempre viaggiato da solo, anche se in questo tipo di viaggio, non sei mai veramente solo, incontri sempre nuovi e interessanti compagni di viaggio. Mi sono reso conto che, senza essere banale, c’è un intero mondo da scoprire, per aprire i propri orizzonti culturali. In Italia viviamo in una bolla, poi parti e scopri che tutto è davvero diverso da come ce lo immaginiamo visto da qui. Abbiamo un’idea dei paesi stranieri che è quella che ci è data dai loro governi. La gente che però si incontra per strada è completamente diversa. Ad esempio, mi ha colpito molto la simpatia e l’accoglienza degli iraniani. E se penso all’immagine che qui abbiamo di quel paese… Penso che dovrebbe essere obbligatorio, per noi italiani, prendersi un anno di tempo per viaggiare nel mondo, farebbe molto bene a tutti. E poi, in un anno di viaggio, ho speso meno che se fossi stato a Milano sul divano a guardare la tv!
E poi, perché la decisione di tornare?
Perché dopo 12 anni che stavo all’estero, ero un po’ stanco di sentirmi uno straniero. Sentivo che era venuto il momento di stare più vicino alla famiglia e di iniziare a costruire qualcosa di concreto per il futuro. Tutto sommato poi, mi sentivo di dovere qualcosa al mio paese, e una volta tornato, ho fatto il fioretto di non lamentarmi mai dell’Italia, e di cercare di cambiare le cose, anche se solo nel mio piccolo. E per ora ci sto riuscendo, almeno a non lamentarmi. E in questo devo dire, stare a Bolzano aiuta.
Dunque, attuale tappa finale del viaggio Bolzano. Che ne pensa della sua nuova città, quali i progetti per il futuro?
Bolzano mi è piaciuta quasi subito, e avendo deciso, sicuramente non con facilità, di tornare in patria, mi sono accorto che stando qui la cosa mi pesava meno, vista la diversa apertura verso l’esterno che dà, rispetto al resto delle città italiane. Dunque, per ora, ho intenzione di restare, ho alcuni progetti qui, ma anche nel mondo, ovviamente, come una spedizione fotografica in Vietnam.
Pubblicato su Corriere dell’Alto Adige del 12 agosto 2012
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