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January 30, 2012
West di Fanny&Alexander. La potenza di Dorothy apre gli Altri Percorsi
Anna Quinz
Altri Percorsi/Nuovi linguaggi è l’azzeccato titolo della rassegna “off” del Teatro Stabile di Bolzano che partirà domani 31 gennaio con lo spettacolo “West” di Fanny&Alexander, una delle più note compagnie italiane di teatro di ricerca. Cosa significhi teatro di ricerca, cosa siano – a teatro – i percorsi altri, e quali i suoi nuovi linguaggi, l’abbiamo chiesto a Luigi Da Angelis, che insieme a Chiara Lagani ha scritto e diretto lo spettacolo di domani sera. A Farla da padrona sulla scena sarà la bravissima attrice Francesca Mazza, che interpretando una inattesa Dorothy (ricordate la bambina de Il Mago di Oz?), eseguirà gli ordini che le verranno impartiti, in diretta davanti agli spettatori, da due voci fuori campo. Cosa ne uscirà, oltre a una strepitosa prova d’attrice, a voi scoprirlo domani.
La rassegna del Teatro Stabile che inaugurate, si chiama Altri Percorsi/Nuovi Linguaggi. Cosa significa per voi a teatro la sperimentazione oggi, il percorso “altro”? Quali i nuovi linguaggi nel vostro lavoro e in particolare in quello che presenterete a Bolzano?
Sono un po’ in difficoltà nel rispondere a questa domanda perché trovo un’assurdità tutta italiana la separazione coatta dei generi e in particolare quella tra un cosiddetto teatro di prosa, “classico” e un cosiddetto teatro di “ricerca”, di sperimentazione. Per me la distinzione può essere solo tra opere che si pongono una domanda, e quelle che non se la pongono. Se una domanda genuina, veritiera è il motore della creazione di un regista, di un attore, di un musicista, di uno scenografo, di un tecnico… allora l’opera può vibrare e essere condivisa dal pubblico se egli sa accoglierla e riverberarne la vibrazione. Non è questa tensione nient’altro che una ricerca, una sperimentazione? Non sta “ricercando” anche Cesare Lievi quando crea, non sta mettendosi in gioco di fronte a un pubblico? Credo che bisognerebbe cominciare a considerare “altro” chi crea soltanto per confezionare e vendere un prodotto da consumare, rispetto a chi pone una domanda vibrante al centro del proprio operato. E’ ovvio che poi subentra un discorso di qualità e di esperienza a creare un ulteriore spartiacque. Una distinzione possibile rispetto al nostro lavoro potrebbe essere a mio avviso quella dell’illustrazione. Esiste un’abitudine del teatro italiano dall’ultimo secolo fino ai nostri giorni all’illustrazione, al racconto orrizontale di storie mediante l’avvicendarsi di scene, vere e proprie illustrazioni in cui lo spettatore è accompagnato per mano e in modo rassicurante, visivamente e linguisticamente dall’inizio alla fine. Questa pratica ha dato risultati eccellenti, ma è una delle tante possibilità del teatro. Posso affermare che West, lo spettacolo che presentiamo qui a Bolzano non sceglie la via dell’illustrazione classica, ma prova altri canali, cercando di creare un’architettura delle scelte per lo spettatore, vale a dire di porlo al centro di un dispositivo che possa coinvolgerlo sia sul piano rilfessivo che quello istintivo e emotivo. In questo caso è letteralmente sperimentale perché l’attrice è sottoposta a un vero e proprio esperimento… e di riflesso lo spettatore. La tecnica al centro di questo spettacolo è in realtà la sapienza più che trentennale di un’attrice straordinaria, Francesca Mazza. Inoltre non c’è nulla da riconoscere, West non appartiene a un repertorio da consumo, in questo senso lo si viene a vedere alquanto ignari, innocenti.
Dorothy nello spettacolo ha 53 anni. Dalla bambina che tutti conosciamo, com’è arrivata fino a questo punto?
Dorothy è la domanda alla base di West. Per noi Dorothy è un avatar, una persona nel senso antico di maschera, una possibilità in levare per l’attrice. Ha 53 anni come potrebbe averne 88 oppure 17. Qui è l’attrice che conta, sono il suo vissuto, la sua sapienza, la possibilità che essa si rispecchi nella Dorothy che tutti conosciamo. La domanda andrebbe posta a lei… I suoi 53 anni si notano solo per la sua notevole esperienza d’attrice, senza la quale West non avrebbe potuto esistere. Il percorso di esperienza di Dorothy, una vera e propria discesa agli inferi è parallelo nella favola/mito del Mago di Oz e nelle storie raccontate in prima persona dall’attrice. Solo che qui la scintilla scaturisce di fronte a un pubblico, frontalmente, nello spazio e nel tempo della rappresentazione, proprio nel momento in cui lo vediamo, non in una proiezione e sta qui la crudezza di West. Potrebbero esserci 100, 1000, 10000 Dorothy, noi ci soffermiamo su Dorothy/Francesca Mazza e sulla sua capacità di affondo e di resistenza.
L’attrice in scena esegue gli ordini di una voce da un auricolare. Quali i significati di questa azione inconsueta, teatralmente parlando? Quali le reazioni già raccolte da parte del pubblico a questo espediente?
Ci sono due persuasori occulti, Chiara Lagani e Marco Cavalcoli, che impartiscono tutti i testi e gli ordini di movimento all’attrice in scena durante tutto lo spettacolo, dalla consolle. Sono due burattinai, suggeritori/carnefici. “Petulanti voci amiche”, li ha definiti Franco Quadri. Francesca Mazza entra in scena vuota e si fa riempire istante per istante. Per l’attrice significa utilizzare il proprio bagaglio esperienziale in maniera istintiva, senza avere il tempo di usare come al solito la parte riflessiva del cervello; è un’esperienza panica, animalesca. Di solito si recita avendo il controllo di sé e della scena tramite l’utilizzo della memoria, qui bisogna abbandonarsi a forze esterne, lasciarsi guidare e mettere in primo piano la propria sapienza animale, reinterpretando nell’istante gesti e testi. Per il pubblico la possibilità è la stessa: i nostri neuroni/specchio ci stimolano continuamente a compiere micro gesti similari a quelli che vediamo eseguiti sulla scena, senza che ce ne accorgiamo, lo stesso vale per le emozioni. È stato studiato che in una partita di calcio mentre un giocatore sta per tirare in porta, si attivano nel nostro cervello le stesse aree che gestiscono i muscoli utilizzati per quel movimento. Da qui l’immedesimazione a teatro… Anche lo spettatore deve farsi vaso, per potere accogliere le forze esterne. L’architettura delle scelte di West permette di evidenziare questa potenza insita nei meccanismi del teatro.
Sogni e icone che si sgretolano. Dissezione dell’immaginario occidentale. Con queste definizioni è stato raccontato il vostro spettacolo. Ma quali speranze rimangono, se ne rimangono?
Rimangono il teatro e la sua capacità di essere allo stesso tempo comunità e luogo a metà strada tra lo stato di veglia e quello di sonno. Per farci resistere.
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