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April 12, 2012
Il percorso analitico di Stroj e Schwaighofer all’ar/gekunst di Bolzano
Aaron Ceolan
“Non trovi le persone, ma soltanto la loro immagine, il loro spettro, trovi i baccelloni, gli ultracorpi, gli ectoplasmi”. È significativa questa immagine di Luciano Bianciardi, tratta dal suo romanzo La vita agra del 1962.E intanto, alla galleria ar/ge kunst di Bolzano, ci vieneofferta un’attenta riflessione sul tema dell’esistenzialismo oggi, un’opportunità per capire l’andamento delle cose che ci sprona ad intendere i cambiamenti che stanno avvenendo in Europa in questo specifico momento storico. Fino al 26 maggio, nello spazio espositivo di via Museo, si possono ammirare le prime personali in Italia degli artisti Misha Stroj e Pascal Schwaighofer. Il primo, austriaco nato nel 1974, vive e lavora a Vienna; il secondo, nato in Svizzera nel 1976,invece vive e lavora tra Mendrisio e Rotterdam. Il direttore di ar/ge kunst, nonché curatore dell’esposizione Luigi Fassi, ha trovato il giusto equilibrio tra questi due artisti, fondendo le loro opere in maniera attenta e precisa, in modo da installare un dialogo aperto, che interroghi la consapevolezza di ogni osservatore e che miri a salvaguardare gli aspetti migliori della cultura occidentale. La maggior parte delle opere esposte, sono state appositamente create per l’occasionebolzanina. Gli elementi fisici presenti in galleria dei due giovani artisti, si tengono quasi per mano e condividono un metodo assolutamente analitico, che vuole a tutti i costi far partecipare in modo attivo lo spettatore, che deve quindi far funzionare al meglio la propria materia grigia, per riuscire a districarsi tra i significati delle opere d’arte. L’operare da artista di Misha Stroj, è caratterizzato da un approccio totalmente contemporaneo. Tenendo in considerazione i momenti chiave della storia recente del nostro vecchio e caro continente, Stroj li rielabora in uncontesto attuale. Si rifà ai rapporti economici e materiali che caratterizzano la nostra società, o meglio che hanno fatto sì, che si arrivi a delineare nel modo che tutti noi conosciamo, la popolazione europea nell’anno 2012.Riferimento costante del suo lavoro, è l’opera già citata,La vita agra di Luciano Bianciardi. In questa specie di autobiografia, l’autore narra la vicenda del protagonistache inevitabilmente diventa vittima, preannunciando ciò che accadrà dopo il boom economico, di quel pericoloso rapporto tra produzione e consumo, le cui conseguenze si fanno sentire proprio in questo periodo di crisi sulla pelle di ognuno di noi. Stroj sottolinea dunque, quanto sia attuale l’opera di Bianciardi e lo fa in mostra, grazie a delle interessanti metafore. Ad esempio, un calco del ginocchio dell’artista intrappolato all’interno di una colonna d’acciaio, alta quanto è alto Stroj. La materia, l’acciaio si riferisce al mondo industriale, e di conseguenza il giovane austriaco crea una specie di autoritratto ironico, inteso a sottolineare il tempo di crisi che immancabilmente colpisce ogni campo industriale, dandogli il titolo Die Säule mit dem Knie. L’opera è un richiamo alla memoria industriale del Novecento, che fa però contemporaneamente emergere un sentimento di spaesamento, essendo intrappolato all’interno di questa società, società d’acciaio, da cui non è facile trovare unagiusta via d’uscita. Di conseguenza, ciò che sopravvive, è un individuo ambiguo ed esausto, uno spettro, l’immagine soltanto, come accuratamente descritto daBianciardi, di una persona. Quella di Stroj però, è una speranza viva, positiva, l’uomo deve uscirne più forte di prima. Va preso in considerazione, che l’Europa sta cambiando, cerca di evolversi, l’arte stessa si staevolvendo, basta interrogarsi sul come. Emblematica è in questo senso l’opera tratta da una frase di Mario Monti, pubblicata recentemente su un quotidiano, Il testo non si tocca, e ripresentata da Misha Stroj. L’artista spinge noi spettatori, a interrogarci su cosa sta realmente cambiando e come ne può essere influenzato il lavoro d’arte contemporanea. Accanto alle creazioni di Stroj, troviamo le diligenti riflessioni di Pascal Schwaighofer, il quale rompe le frontiere e vola verso mete ignote del mondo orientale. L’artista svizzero ci porta ad analizzare la cultura giapponese, consigliandoci di non aggrapparci a barriere temporali. Atlas (Theatrum Orbis Terrarum), è una proposta di semplici immagini cartografiche. Cartine geografiche di luoghi a noi familiari, o comunque conosciuti, come si trovano in ogni atlante basilare. Ciò che ci spiazza, che ci fa perdere l’orientamento e non ci fa riconoscere immediatamente la pianta geografica, è il trattamento che Schwaighofer applica su tali sfondi. Si tratta dell’antica tecnica giapponese “Suminagashi”, una decorazione cromatica su carta, vera e propria trasmutazione che nasconde le mappe sottostanti. Quello che viene a crearsi è un codice di lettura completamente nuovo. La sensazione di appartenenza vieneassolutamente messa in discussione da questa creazione di nuovi mondi. La nuova percezione del colore entra nella mente dello spettatore lasciandolo incredulo e incapace di orientarsi, scombussolandone il personale hicet nunc. Si tratta di una presa di distanza da parte dell’artista, il quale grazie alle linee dolci e sinuose del trattamento, ci fa conoscere dimensioni nuove eimmaginarie, dove poter riflettere sulla nostra attuale condizione mentale. È forse possibile condurre la cultura occidentale verso nuovi orizzonti, verso nuove esperienze? Va forseripensato il consumo delle immagini nel corso del sec.XXI° nelle società occidentali, come ci consiglia di fareSchwaighofer, ripescando dalla tradizione giapponese quelle di Hokusai? L’esposizione da ar/ge kunst, fa senzaalcun dubbio riflettere sulle condizioni attuali non solo dell’artista contemporaneo, ma della società nel suo complesso. Lo spettatore viene scosso dal linguaggioanalitico dei due artisti, in modo che sia egli stesso a contribuire al cambiamento del quale la cultura occidentale ha fortemente bisogno.
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