Culture + Arts > Visual Arts
March 15, 2024
Lica Covo Steiner: femminista e designer, raccontata da Chiara Alessi
Stefania Santoni
“Il personale è politico” diceva Carol Hanisch. I problemi e le questioni personali sono collettivi e hanno bisogno di soluzioni collettive; per tale ragione riguardano tutti e tutte, nessuna persona è esclusa.
Questo motto calza a pennello con la storia di Lica Covo Steiner, una staffetta, femminista e designer la cui storia è stata raccontata da Chiara Alessi nel libro “Vorrei far vedere una strada che va all’infinito. Lica Covo Steiner” che verrà presentato oggi, 15 marzo alle 18 nella sala conferenze del Mart all’interno della rassegna “Vento Forte”. Si tratta di un progetto volto a esplorare la Resistenza delle Donne, quella parte della nostra storia lasciata per troppo tempo ai margini, al di là della memoria collettiva e identitaria della nostra civiltà (perché la storia – scritta da uomini – ha sempre preferito essere ego-riferita raccontando solo una parte della realtà). Parlare di Resistenza delle Donne significa raccontare le vicende di protagoniste che, non solo sono state attive facendo opposizione al nazifascismo, ma che hanno promosso azioni di protesta, ribellione e lotta per la parità dei diritti: queste donne, mosse dal desiderio di riscatto, di emancipazione e autodeterminazione, si sono fatte portavoce di battaglie non tanto individuali quanto collettive perché – come dicevamo poc’anzi – “il personale è (sempre) politico”.
Lica fu moglie del grafico Albe Steiner. Entrambi hanno segnato la storia del design e della grafica a livello internazionale. Furono loro a progettare i Convitti Rinascita, luoghi di formazione per i figli di partigiani rimasti orfani, i fazzoletti dei partigiani della Val d’Ossola durante la repubblica partigiana durata quaranta giorni e quelli dell’Anpi. Le pagine scritte da Chiara Alessi raccolgono le testimonianze della figlia di Lica Covo Steiner: Anna Steiner. Quando ci siamo sentite per parlare della presentazione del libro all’interno della rassegna Anna mi ha raccontato della sua”sorpresa” alla notizia della pubblicazione di un libro dedicato a sua madre Lica. Un testo inserito all’interno della collana di Electa dedicata alle donne professioniste nel campo delle arti visive. Anna è felice di questa possibilità, di poter finalmente restituire alla madre una narrazione che lei ha sempre voluto, cioè quella di donna professionista, in questo caso di designer (Lica e il marito Albe sono infatti considerati gli iniziatori della grafica, due pietre miliari del design). Anna mi racconta che la madre Lica (diminutivo che viene da Masal, nome ebraico corrispondente a Matilde, da cui Masalica) lavorò sempre, in prima persona, con suo padre Albe: tutti e due erano impegnati nella loro attività di grafica e illustrazione in egual misura tant’è che tutti i progetti portavano sempre il nome di entrambi, ma col tempo sono stati attribuiti solo al padre (“benché Lica e Albe si firmassero sempre insieme, nelle bibliografie, nei documenti e nei registri sono sempre indicati solo col nome del marito”, si legge nel libro). Il nome di Lica era presente sempre di striscio anche in tutte le mostre dedicate ai loro progetti grafici dove, di fatto, solo il padre di Anna veniva di fatto celebrato. È così che il nome di Lica è andato scomparendo e per questo le pagine di questo nuovo libro a lei dedicato vogliono rivendicare il suo ruolo lavorativo (“La vita della mia mamma era il lavoro, tutto il resto contava tantissimo, contavano le persone di famiglia, gli amici che contavano di più della famiglia, erano famiglia ed erano tanti, ma la sua vita era il lavoro” scrive Chiara Alessi). Ma non solo: anche l’impegno civile, l’essere stata una partigiana, una staffetta, una femminista sono aspetti della vita di Lica che emergono chiaramente tra le pagine di Alessi. È stata questa un’occasione preziosa per Anna che ha così potuto raccontare quanto, come figlia, abbia avuto modo di godere delle lotte e delle rivendicazioni della madre nell’ambito della responsabilità e al tempo stesso della presenza sociale delle donne. Lica, fin da giovanissima, ha difatti contribuito a rendere consapevoli le donne di una condizione di sottomissione al mondo maschile di cui era perfettamente cosciente.“Il carattere collettivo, quasi anonimo, la partecipazione all’iniziativa non di alcune creature eccezionali, ma di molte, Lica lo abita proprio dai tempi della Resistenza. Questo è precisamente l’ambito in cui cresce il suo femminismo e, forse, riletto in questa chiave, si motiva più coerentemente anche la sua ritrosia verso un sistema di potere di origine patriarcale che implica l’“esserci” come nome, e quindi, nel suo futuro, come firma”- scrive Chiara raccontando la dimensione femminista di Lica e delineando il maternage collettivo della Resistenza. Quest’aspetto legato al carattere sociale nella storia di Lica Steiner -mi racconta Chiara- sta a significare un particolare tipo di adesione della nostra protagonista rispetto alla lotta per l’emancipazione delle donne in quegli anni all’interno della Resistenza; a riprova di ciò basti pensare che nelle pagine de “La Compagna2, il giornale di Unità Socialista Proletaria Femminile, gli articoli non erano mai firmati in maniera individuale ma attraverso una voce plurale (perché il noi per Lica è sempre stato più importante dell’io sia nella sua visione politica che lavorativa). “Le donne erano più numerose degli uomini probabilmente perché avevano due battaglie da combattere: quella contro il nazifascismo e quella della loro personale liberazione. Infatti, il fascismo aveva segnato un passo indietro sulla via dell’emancipazione e della parità” – leggiamo nel libro.
Quest’aspetto di sorellanza fondato sul principio di equivalenza e sul bisogno di un riscatto universale fa emergere ancora una volta quanto le donne non fossero alla ricerca di una legittimazione da parte degli uomini: non desideravano un riconoscimento egotico ma quello di una causa molto più grande, di tutte. La partecipazione collettiva delle donne ha saputo invece mantenere una visione di solidarietà e non di ideale bellicista ed eroico che invece si confà a un principio virile. Non a caso è in quegli anni che si apre anche la questione della definizione della figura femminile non necessariamente antagonista del maschile ma che si definisce attraverso dei caratteri propri e non in relazione alla legittimazione o alle parole del lessico patriarcale. Tant’è che nel manifesto di “Rivolta Femminile” del 1970 Carla Lonzi, Carla Accardi ed Elvira Banotti scriveranno:
La donna non va definita in rapporto all’uomo.
Su questa coscienza si fondano tanto la nostra lotta quanto la nostra libertà.
L’uomo non è il modello a cui adeguare il processo della scoperta di sé da parte della donna.
Una storia di coraggio e di sorellanza, di professionalità e di resistenza è quella di Lica Covo Steiner. Una storia che grazie alle parole di Chiara Alessi e alla testimonianza di Anna Steiner potrà ispirare tantissime bambine e ragazze incoraggiandole a rompere il soffitto di cristallo che ancora oggi le intrappola in gabbie sociali.
Credits: (1,2, 4, 5) Ritratti di Lica Covo Steiner (3) Copertina del libro “Vorrei far vedere una strada che va all’infinito”, Electa.
Comments