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February 23, 2024

The Bouvet Island:
l’installazione di Stefano Cagol per Villa Giulia a Roma

Stefania Santoni

Stefano Cagol è uno dei miei artisti contemporanei del cuore. Vuoi per il messaggio ecologico e pieno di umanità di cui si fa portavoce la sua arte. Vuoi per la genialità con cui sceglie di plasmare i suoi concetti trasformandoli in opere incredibili. Quando ho saputo che era stato selezionato per portare un suo lavoro a Villa Giulia, al Museo Etrusco di Roma (uno dei luoghi della mia personale “Carte du Tendre”) non ho potuto fare a meno di raccontarmi da dove nasce l’installazione che Stefano ha scelto di realizzare appositamente per questo spazio. E così ho scoperto che si tratta di un lavoro che si inserisce in un progetto più ampio, volto ad appianare le disuguaglianze sociali ed economiche, contrastando l’esclusione e gli ostacoli all’integrazione con tutti i mezzi che abbiamo, quindi anche attraverso l’arte. Stefano infatti lavora nei campi dell’Arte Concettuale, Arte Ambientale, Eco-Art e Land Art, con l’intento di riflettere su confini, influenze, energia e ambiente, creando una sinergia tra etica ed estetica. 

Per questa nuova incursione, AAC Platform con la curatrice Camilla Boemio ha scelto l’opera di Stefano Cagol “The Bouvet Island” e deciso di collocarla al centro dell’architettura cinquecentesca a effetto della villa, nel cortile centrale tra il portico a emiciclo progettato da Jacopo Barozzi da Vignola e la loggia, concepita da Bartolomeo Ammannati come una quinta scenica. Si dà così vita a uno spazio che utilizza temporaneamente una sedimentazione di linguaggi e di sollecitazioni. Le contraddizioni, gli ossimori fanno parte di una narrazione estetica che si rivela di forte etica. Andiamo a scoprire più da vicino di che si tratta.1 The Bouvet Island Stefano Cagol 20 Febbraio 2024 Stefano, mi racconti come nasce l’opera “The Bouvet Island”?

L’opera per Villa Giulia a Roma è stata creata in maniera site-specific, modellata da me a mano direttamente sul posto, pochi giorni fa. Eppure fa parte di una serie che affonda nelle origini della mia ricerca. Da un punto di vista formale ho iniziato a sperimentare questo tipo d’installazioni in alluminio piegato a mano quando ancora ero all’Accademia di Brera, anni in cui iniziavo anche ad affrontare concetti che oggi come allora, restano fondamentali nel mio lavoro: penso alla bomba atomica, in particolare. A quel tempo eravamo agli inizi degli anni Novanta, quando venivano ancora effettuati degli esperimenti nucleari su atolli tropicali. “The Bouvet Island” parla proprio di questo, di un tema che ahimè è estremamente attuale, viste le guerre e la fame sempre più crescente ed insaziabile di energia.

Quali sono i messaggi e significati di cui si fa portatrice la tua opera?

Quella di Bouvet, oltre a essere una formidabile metafora, è un’isola: uno spazio della mente, un’isola mentale, ma soprattutto esiste: esiste realmente. Si trova nell’Antartide ed è considerata il luogo più remoto del pianeta, perché il più distante dalla terraferma abitata e da altre isole. Si tratta di uno sperone di roccia ricoperto di ghiacci, per noi alieno e inospitale, come potrebbe essere un asteroide che vaga nello spazio cosmico. Eppure anche questo luogo lontano e incontaminato, vergine, è stato raggiunto dal nostro impatto devastante. È difatti stato scenario dell’esplosione atomica più misteriosa e assurda perché ancora mai rivendicata: il caso Vela degli anni Settanta. Quest’isola e l’opera a essa ispirata divengono simbolo del contraddittorio rapporto dell’essere umano con l’ambiente, aggressivo, dirompente, distruttivo, incontenibile.6 The Bouvet Island Stefano Cagol 20 Febbraio 2024

In che modo l’opera si mette in dialogo con il Museo Etrusco di Villa Giulia?

L’opera innesca un dialogo intenso con l’architettura di Villa Giulia, divenendone addirittura fulcro. Si scorge e brilla già dall’esterno, posizionata nel mezzo del cortile centrale. Guardandola da un lato, le fa da sfondo il portico a emiciclo progettato da Jacopo Barozzi da Vignola, dall’altro, la loggia concepita da Bartolomeo Ammannati come una quinta scenica, con lo splendido ninfeo. E tutt’attorno si ergono i pini marittimi dei giardini. C’è poi un altro livello di relazione con il museo, innescato dal colore oro dell’opera. Come dicevo, fa parte di una serie, ma la “Bouvet Island” dorata è davvero rara. In ambito spirituale questa colorazione è solitamente connessa alla luce e quindi al divino: si dice che meditando e basando le visualizzazioni sul colore oro diventi possibile instaurare un dialogo con la divinità. È qui che sta il richiamo all’idea di tempo e di passato. Inoltre l’oro è un colore da sempre associato al sole e quest’opera “vive” riflettendo i raggi solari, da sempre la massima fonte di energia. Al tempo stesso l’oro rievoca anche l’idea di forza e ricchezza, condividendo così un legame con alcuni dei concetti più tipici del nostro materialismo, come la vanità dell’essere umano.

Ha Un’ultima cosa. All’interno del museo è esposta un’opera con cui vedo un legame particolare. Sono delle lamine d’oro del VI secolo a.C. provenienti da Pyrgi e che ricordano una dedica votiva, ma sottendono anche un retroscena di potere e di dominio del territorio, come a ricordarci le origini dell’Antropocene e ad ammonirci che siamo, in fondo, sempre gli stessi: una specie splendida e terribilmente arrogante allo stesso tempo.

Credits: (1,2,3,4,5) Stefano Cagol e su concessione del Ministero della Cultura – Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia

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