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June 10, 2015

Cresce l’impatto creativo di Rosengarten. Anche hmc arriva nel quartiere

Anna Quinz
Mauro Sperandio
Il quartiere creativo di Bolzano - Rosengarten - si allarga, cresce per sviluppare il suo potenziale. Da poco anche hmc, agenzia di comunicazione guidata da Paolo Ferretti, si è trasferita in questa vivace area urbana, arrichendola ancora di più e rendendo la rete di creatività sempre più fitta e vitale.

 C’è chi va e c’è chi viene, chi resta e chi magari si sposta ma con testa e cuore resta ben ancorato lì, in un angolo di città in pieno sviluppo. Questa è la storia di Dodiciville – il quartiere di Bolzano che noi di franz abbiamo ribattezzato Rosengarten e riposizionato nel panorama urbano, delineandone le forme e le potenzialità di “quartiere creativo”. Creativo perché davvero qui si concentra un gran numero di realtà imprenditoriali che di creatività vivono ogni giorno. Ci siamo stati anche noi, per 5 anni, ora siamo fisicamente altrove, ma per franz Rosengarten rimane “casa” e un progetto su cui costruire e investire risorse e progettualità. Sopratutto quando i segnali che arrivano dal quartiere stesso danno conferma che il lavoro fatto fino ad ora, funziona. Un evento significativo infatti è stato l’arrivo da pochissime settimane in una delle vie nodali del quartiere di hmc, agenzia di comunicazione tra le più grandi e note a Bolzano e in regione. Guidata da Paolo Ferretti, imprenditore curioso e sempre in cerca di nuovi stimoli, hmc porta a Rosengarten 24 teste che stanno già entrando in efficace comunicazione con il vicinato, sia per quanto riguarda le primarie necessità (mangiare, bere un caffé…) che le possibili relazioni tra creativi. Un passaggio significativo, un allargamento della forza narrativa di Rosengarten, un ulteriore punto a favore della rete tra professionisti che si interfacciano tra loro creando collaborazioni efficaci e fruttuose. Rosengarten cresce, e con lui la città tutta.
A parlarci di questa scelta logistica, e del potenziale di questo territorio (ma non solo) è lo stesso Paolo Ferretti, dalla nuovissima sala riunioni del nuovissimo studio a Rosengarten: un open space grande e pieno di fascino, che fa quasi pensare agli spazi lavorativi metropolitani. Perché poi, in fondo, Rosengarten proprio questo vuole essere: una piccola realtà metropolitana e contemporanea, nel cuore di Bolzano. 

Paolo, perché questo trasferimento? E perché proprio in questa zona?
Quando fai un lavoro come il mio, ti domandi spesso perché senti continuamente il bisogno di cambiare. Alla fine la risposta che mi sto dando è che, in generale, mi piacciono i progetti-sfida. Anche Rosengarten per me è un progetto interessante, una sfida da sostenere. Ovvio che non mi muovo solo per il gusto della sfida, non sono incosciente, ma mi piace avvicinarmi a progetti con un potenziale di sviluppo, di crescita, di innovazione e collaborazione.

E in Rosengarten, quale sfida hai visto?
La riqualificazione di una zona di Bolzano come questa è una bella sfida, ma credo che l’area abbia sicuramente delle potenzialità, oltre a permettere a imprese come la mia di trovare spazi abbastanza grandi. Quando ho iniziato a pensare di trasferirmi, cercavo spazi di 300/400 m² che in centro a Bolzano sono ingestibili ed economicamente non sostenibili. Nel frattempo ho capito che qui c’era un progetto interessante e ho pensato che questa zona fosse ideale anche per noi. Lo spazio che ho trovato, secondo me, è perfetto per lavorare nella comunicazione. A Copenaghen ho visitato un’agenzia in centro città, al piano terra, affacciata sulla strada come un negozio; ho parlato con il titolare e da quel momento ho iniziato a pensare a un concetto di agenzia diversa, più in relazione con la città. Non la classica agenzia al sedicesimo piano del mega-building, separata dal contesto urbano e sociale. In questo senso Rosengarten mi è sembrata l’area adatta.2Cosa significa per te questo passo? La tua ormai è un’impresa radicata e investire in un cambiamento – anche se solo logistico – non è scontato. Soprattutto di questi tempi…
Questo trasferimento mi ha fatto riflettere. La capacità di trasferirsi, aprire, fare impresa, iniziare un nuovo percorso è primaria e fondamentale. Anche per la mia azienda, il momento di apertura di qualcosa di nuovo, una nuova prospettiva imprenditoriale, il segno che la società è viva, si muove, ha voglia di intraprendere, fare. Quindi è il momento più importante di un’impresa, anche se spesso è sottostimato. L’inaugurazione è un momento cruciale, significa che qualcuno ha creduto in un’idea che vuole far crescere, sviluppare. Indirettamente penso che già la volontà di venire qui con 24 persone, voler creare nuovi rapporti umani e impostare possibili collaborazioni tra vicini, porterà sviluppo e conoscenza, un potenziamento della mia impresa ma indirettamente anche della zona. Teniamo conto che hmc è sicuramente l’agenzia più grande di Bolzano gestita da un unico socio, avere una realtà del genere in un distretto come Rosengarten porterà senz’altro un accrescimento dell’area.

Parli di un’impresa privata e di come essa si rapporti con l’ambiente circostante, che è pubblico. Che percezione hai di questi due ambiti?
Ormai il mondo non è più diviso fra privato e pubblico, spero che questa contrapposizione sia ormai superata. In questi giorni -penso ad Expo- vediamo come le multinazionali possono, devono e vogliono partecipare oltre il confine del privato. Io nel mio piccolo osservo il contesto e penso a cosa può fare un imprenditore e cosa il settore pubblico. Il privato è sempre stato fondamentale per lo sviluppo culturale. Un progetto di investimento come la Fondazione Prada (da poco aperta a Milano) arriva solo ora in Italia, ma il sistema sarà sempre misto tra pubblico e privato e in continua evoluzione. Io sono favorevole a questo tipo di progettualità, anche qui ci sarebbero grandi potenzialità. Ci sono imprenditori privati che si impegnano nell’ambito culturale, ma a volte sono stati attaccati, sono finiti sui giornali, hanno perso la voglia. Quindi a mio avviso bisogna stare molto attenti a criticare un privato che si muove a livello culturale e sociale, anche se lo fa per fini privati. Avere l’opportunità di sfruttare determinate conoscenze, opere, collezioni per la propria cultura personale è un arricchimento. Bisognerebbe riuscire a trovare agevolazioni più concrete per i privati, in modo che riescano ad allestire le proprie collezioni. Però, a mio avviso, il privato si muove a prescindere, perché appassionato, collezionista, perché ha voglia di investire in quel settore e spesso ha anche voglia di condividere. Il mio ragionamento è: agevoliamo questi momenti di condivisione, se c’è la possibilità; non critichiamoli, non andiamogli contro.

Qual è oggi il ruolo della comunicazione creativa?
Pensare alla realtà della comunicazione come ad un organismo semplice è un grande equivoco. In esso convivono svariate realtà che svolgono innumerevoli attività diverse: c’è chi vende mezzi, chi produce, chi lavora nei social, chi fa campagne pubblicitarie, chi si occupa soltanto di stampa. A mio avviso, il mondo delle agenzie pubblicitarie è un sistema troppo complicato, per questo penso che ci si debba proporre, orientando così il cliente, come partner privilegiato nella comunicazione, declinando le strategie di marketing in strategie di comunicazione. Questa è stata la direzione in cui mi sono mosso io. Scegliendo di agire nell’ambito della comunicazione creativa, ci si pone in una posizione che nella società è di importanza strategica, perché non considerare quest’ambito crea un muro tra l’impresa ed il cittadino. Ci sono nel nostro territorio moltissime imprese che svolgono benissimo il loro compito, che usano prodotti eticamente corretti, ma che ancora adesso non comunicano in maniera efficace. Con la mia impresa ed i miei creativi posso favorire non solo lo sviluppo commerciale di queste imprese, ma anche lo sviluppo sociale, portando beneficio a tutta le comunità. La creatività viene dunque messa a servizio di progetti eticamente corretti, diventando utilità.1Nelle tue parole si intende una consapevolezza etica…
Spesso, quando si parla tra pubblicitari, ci si dimentica di questo aspetto. Come accadeva negli anni ’70/’80 si tende ad imporre ed usare la comunicazione subliminale del microsecondo, dello spot, sistemi che risultano ormai di efficacia discutibile. Comportarsi in maniera corretta, utilizzare una campagna di comunicazione ben pensata, strategicamente ragionata, richiede grande impegno, ma -per fortuna- è molto più efficace.

Questo momento storico non è economicamente il più felice, in che modo il tuo settore ne è stato influenzato?
Nel nostro territorio le incertezze e le difficoltà di questo periodo le abbiamo sentite pochissimo rispetto al resto d’Italia e ad altri Paesi d’Europa. Per quanto mi riguarda ci siamo sempre arrangiati, grazie anche alla nostra bravura. I giovani creativi del nostro settore sono quello di cui abbiamo bisogno, la loro realtà è qui ed ora, vivono la società e ci stimolano a viverla in maniera diversa. Il limite di questi giovani è l’inesperienza, la presunzione di sapere già gestire ed interpretare la comunicazione. Quando la nostra esperienza di persone più mature e la conoscenza del campo si sposa con la loro volontà di intraprendere, di interagire e di fare si crea un mix vincente. Personalmente sono molto ben disposto ad assumere e collaborare con giovani, perciò, chi ha la voglia e la tenacia di dedicarsi, ci riesce.5Spesso i creativi difettano di razionalità, avendo poca dimestichezza o attitudine all’aspetto economico dei progetti…
Come sapete anche voi di Franz (per chiudere come abbiamo iniziato,) la volontà di portare avanti un progetto personale anche creativo, anche molto innovativo, anche giusto, non è attuabile, se non è sostenibile. Non voglio dire che il business sia Satana, che non bisogna farlo. Il business bisogna farlo! E qui mi rifaccio al discorso dell’interconnessione tra tutti gli elementi e la volontà di collaborare tra privato e pubblico, sociale, volontariato. Il business deve esserci, ma per portare avanti i propri progetti, per realizzare la propria volontà.

Le tue parole e le tue scelte imprenditoriali sembrano descrivere una vocazione più che una professione…
Crescendo ho visto che il proprio modo di interpretare la vita può aver successo se si continua a mantenerlo sostenibile. Dieci, quindici anni fa avrei potuto intraprendere un’altra strada, avrei potuto mettermi in società con qualcuno ed avere molti meno impegni. La fatica è stata tanta, ma pensare e improntare la mia attività alla sostenibilità, stando bene con i clienti, facendo crescere i miei collaboratori, modificando l’idea di impresa e creatività, mi ha portato delle soddisfazioni e delle conquiste che altrimenti non avrei neppure potuto immaginare. Spesso entro in contatto con aziende scettiche, che poi però si affezionano e che senza di me e il mio team non riuscirebbero ad andare avanti per quanto riguarda la comunicazione, anche questo ti fa continuare a crescere e a generare business. Spesso però i giovani pensano che la creatività possa stare in piedi da sola, senza badare all’aspetto economico, confondendo fine e mezzi.

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