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April 27, 2013

Il Collettivo Contorti porta l’orto in piazza: semi di resistenze

Kunigunde Weissenegger

Un gruppo di amici e anche professionisti che si unisce per realizzare progetti di ecologia, ambientale e sociale. Seminano semi tradizionali, ma anche semi di resistenza. Con il Collettivo Contorti di Bolzano abbiamo scambiato due chiacchiere.

Un orto in una piazza? Cosa succederà il 28 aprile in Piazza Matteotti?

Si, un orto in una piazza. L’orto di Piazza Matteotti riunisce una serie di caratteristiche: è innanzitutto un orto urbano (perché è stato fatto dentro la città), e come tutti gli orti urbani tende a ricreare una situazione di ruralità, per cui qualcosa che è in contrasto con la città stessa. È stata anche un’azione (forte) di riappropriazione di uno spazio pubblico che ha coinvolto all’incirca 400 persone di età e cultura diversa. Un’azione partecipata che ha riscritto una piazza e il sistema di relazioni delle persone che vivono o hanno gravitato casualmente in quel luogo in quest’ultimo mese. Domenica, 28 Aprile, sempre in Piazza Matteotti ci sarà inoltre un incontro con i rappresentanti di alcune esperienze di agricoltura urbana di alcune città italiane, a conclusione del progetto “Semi di resistenza” per il festival delle Resistenze contemporanee. Gli orti urbani non sono qualcosa di particolarmente eccezionale: ci sono in tutte le città italiane… solo che nella maggior parte dei casi non si vedono… e normalmente non si fanno in piazza! Gli ortolani, soprattutto quelli di una certa generazione, sono piuttosto “riservati”, e gelosi del proprio pezzo di terra (a ragione: nella maggior parte dei casi gli orti sono dei veri e propri piccoli paradisi terrestri, dei gioielli). Per tutti quelli che invece non hanno la possibilità di avere un pezzo di terra si sono studiate forme alternative di coltivazione: l’orto comunitario temporaneo ideato per “Semi di resistenza” in Piazza Matteotti è una di queste. Nel mese di Aprile chiunque ha potuto partecipare ad un progetto di orto collettivo, e imparare a coltivare il proprio piccolo orto a partire da piccole cassette della frutta (o della verdura) riciclate.

Che cos’è un orto collettivo? Quali obiettivi ha?

Ci sono un numero indefinito di persone che iniziano a coltivare un numero indefinito di piante per una serie indefinita di motivi: ecco un orto collettivo. Tra gli obiettivi, non da ultimo, c’é il piacere di condividere in compagnia di sconosciuti (o meno) una pratica semplicissima e antica quanto il genere umano: coltivare il proprio cibo. Forse dietro a questo piacere c’è una gratificazione dovuta all’indipendenza dei consumi, al sentirsi liberi. Forse no: si tratta di una questione di risparmio. Oppure di guadagno, o profitto. È uguale. In tempi di crisi, coltivare qualsiasi cosa con qualsiasi tecnica, ma sempre e soprattutto secondo natura (cioè biologicamente), è piacevole e gratificante a prescindere dall’obiettivo per cui si coltiva. 

Quando, come e perché è nato il vostro Collettivo Contorti?

Il Collettivo Contorti è nato dall’esigenza di un gruppo di amici, ma anche professionisti, di unire le forze e sviluppare progetti in comune su temi che ci sono cari individualmente, e che in ultima analisi possono essere raggruppati sotto la definizione di “ecologia”, ambientale e sociale.
Chiunque sa che dietro alle forme possibili di associazionismo c´é odore di vecchio, e che quelle forme non rispondono più alle contemporanee esigenze del vivere e condividere in comune, ovvero la base dell’associazionismo. Si tratta di pensare ed esercitare forme di organizzazione non gerarchica che permettano la partecipazione attiva dei componenti del gruppo. Noi abbiamo scelto, come forma, quella del collettivo, che non si istituzionalizza in una forma chiusa (piramidale) ma mantiene una certa dinamicità garantendo sufficiente libertà di azione a tutti i componenti. Come esigenza del collettivo c’è quella, forte, di ripensare le dinamiche di potere all’interno dei gruppi, il nostro prima di tutto, e di ripensare l’idea di istituzione e le istituzioni come espressione dell’esercizio di quel potere. È una questione un po’ contorta… da cui il nome : )

Quali semi seminate (oltre a quelli tradizionali)?

Nell’attuale agricoltura il problema non viene dai semi tradizionali, piuttosto dalle modifiche a quei semi. Noi seminiamo e coltiviamo, individualmente e come Collettivo Contorti, qualsiasi seme tradizionale soddisfi le nostre esigenze: in Italia, d’altronde, grazie alle condizioni climatiche favorevoli, avremmo una varietà e una biodiversità “tradizionalmente” immensa, e, da questo punto di vista, un patrimonio che non è calcolabile in nessun termine. Noi seminiamo, raccogliamo e trasformiamo le stesse officinali, aromatiche o medicinali che gli antichi romani coltivavano, raccoglievano e trasformavano 2000 anni fa. Questa è buona tradizione.
Invece, ed è stata una questione di mercato, dopo 12000 anni in cui come genere umano ci siamo cibati delle diverse varietà di cereali, negli anni ’60 questi sono stati modificati per garantire maggiori raccolti e maggiore apporto di alcuni valori nutrizionali. Lo scopo di questa modifica (al grano per esempio) di cui ci si era cibati da millenni è stato puramente economico, e ha avuto come conseguenza (oltre all’arricchimento di pochi grandi produttori) l’aumento esponenziale di casi di intolleranza al glutine dei molti (cioè della gente comune). Questa non è buona tradizione, e non ha niente a che fare con una agricoltura biologica o naturale. Dal momento in cui crediamo fermamente nell’importanza della tutela della diversità sia biologica che culturale, supportiamo i contadini che moltiplicano e diffondono le sementi antiche, cioè quelle che non hanno subito modificazioni genetiche, impegnando noi stessi a diffondere e moltiplicare alcune di queste sementi in via di estinzione.

Ci raccontante anche un po’ la vostra esperienza personale di agricoltura biologica urbana?

Ognuno di noi proviene da esperienze e studi differenti, ha competenze di diverso genere, e automaticamente interessi e desideri diversi. Tra noi c’è chi si occupa di orti comunitari, interculturali e condivisi, chi di “critical gardening” o “guerrilla gardening”(azioni piú o meno strutturate di rinverdimento di zone dismesse e abbandonate), chi di spaccio di sementi (non necessariamente antiche), educazione ambientale, riconoscimento erbe spontanee e trasformazione, autoproduzione. Utilizziamo saperi e pratiche di agricoltura naturale e biologica nel contesto a noi più vicino (e se vogliamo anche più sfavorevole), che è quello della città. Un altro aspetto fondamentale è quello dell’informazione e della comunicazione, e del fare rete con le altre realtà agricole urbane o meno in Provincia, nazionali e internazionali.

Com’è, secondo voi, collegato il tema del Festival delle Resistenze “tessuto sociale” ai vostri obiettivi?

Nei nostri progetti inneschiamo idee e relazioni, e speriamo che queste germoglino. Il punto di partenza è una pratica che è incarnata nel nostro DNA emotivo, sociale e culturale, la semplicità della coltivazione agricola, e che a dispetto della sua semplicità, secondo noi, ha dei significati di senso che superano qualsiasi altra produzione culturale. Cerchiamo di portare nella città trame rurali, e con queste fare emergere il valore della differenza (di lingua, di costume, di cultura e coltura), della condivisione del lavoro e degli spazi di convivialità, dei beni e degli spazi comuni come autentici e reali beni di ognuno di noi.

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