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May 6, 2024

“Ehi, sei qui!”

Matteo YOMER Jamunno
Matteo Jamunno, in arte YOMER, torna a scrivere per franzmagazine portando i suoi diari. potevamo farne a meno? Certo, sicuramente. Ma ogni tanto è utile leggere storie da chi sta peggio di noi.

Sto per varcare il confine, un’altra volta. C’era un tempo in cui vivevo questo passaggio come una liberazione, un togliermi di dosso il peso di tutte le domande che avevo verso il futuro.

Al Brennero ci sono tracce di neve stantia, riposta negli angoli più bui di prati brulli e inospitali quanto i volti dei poliziotti meridionali che mi vengono regolarmente a chiedere la carta d’identità. Mi spiace per loro, vorrei davvero essere un criminale per dargli qualcosa da fare e invece no, manco con tutti sti tatuaggi sembro pericoloso. Al massimo sembro uno che ci prova un sacco a rimanere giovane.

Vivo a Vienna da così tanto tempo da ricordare quando gli inverni erano freddi. Quando aprile e maggio volevano dire nevicate a sorpresa e guanti in bici. Ecco da quanto manco, mentalmente, dal territorio sudtirolese. O altoatesino, chiamatelo come volete, scegliete voi in base ai vostri sentimenti e sensi di colpa, sempre di una conca afosa si tratta. La nostra conca afosa.

Ok, ho passato molto tempo a Bolzano in questi anni, lo ammetto. Ma perché mi piace tornare dove la gente si ricorda di me. Lo faccio per nutrire le mie insicurezze, quelle che Vienna e la psicanalisi non hanno ridotto e che mi hanno solo aiutato ad ammettere. Ammetto di essere un quarantenne che torna a casa perché gli manca sentirsi amato. O voluto bene, dai, non esageriamo. Ok, ok, solo accettato è già grasso che cola. Nemmeno quello? Facciamo notato? Volete proprio la verità, e allora eccovela. Sono andato via perché speravo mi si notasse di più.

Ogni volta che torno tutti mi chiedono “Ehi, sei qui! Ma come stai? Dove sei? Cosa fai?”.

Quando vivi all’estero tutti vogliono sapere che ti succede, anche cosa ti è successo data la faccia gonfia che ti ritrovi. Sarà pura curiosità o voglia di farsi i cazzi di qualcun altro perché sono finiti i cazzi concittadini dato il contesto molto piccolo e allora devi attingere a fonti esterne. Fondamentalmente, io torno per sentire di essere mancato a qualcuno.

Potevo anche non partire sul serio, risparmiavo i soldi del biglietto e l’affitto di una casa a Vienna. Salutavo tutti una sera dicendo che l’indomani sarei andato via, magari avrei pure organizzato un piccolo rinfresco, qualcuno avrebbe pianto, altri mi avrebbero detto di tornare presto quando in realtà sarei andato a nascondermi in una cantina con qualche libro (ma chi voglio sfottere, con una caterva di videogiochi e una buona connessione internet per i bisogni fisiologici primari) (siti porno) e avrei chiesto a mia madre di mantenere il segreto, portandomi da mangiare ogni giorno. Lamentandomi pure in caso il menù non fosse variato. Poi, dopo qualche mese di reclusione, quando un numero sufficiente di persone si erano scordate della mia esistenza, sarei uscito dalla tana come un orso finito il letargo e sarei andato per strada a fare una scorpacciata di “Ehi, sei qui! Ma come stai? Dove sei? Cosa fai?”.

Io ci ho provato a lasciare Bolzano, ma non ero un cervello in fuga o un promettente dj, non mi hanno offerto una cattedra e anzi, l’unico grande successo per cui ora sono conosciuto a Vienna è: come fare per essere un buon disoccupato a cui l’AMS non rompe eccessivamente le palle. Un successo meritato eh. Sono nato a Napoli ma siccome me la tiro, mi faccio mantenere da un’altra nazione, così quando i miei amici italiani mi dicono “Trovati un lavoro! Non voglio mantenerti con le mie tasse!” io posso rispondere che le tue tasse mica mantengono me, stai tranquillo manco mi sfiorano.

Sono passati una decina di anni dal mio ultimo articolo su Franz. Speravo che Anna si fosse dimenticata di me e invece no, mi ha chiesto di tornare a scrivere. Sarà l’istinto materno, non trovo altre spiegazioni. Mi guarda e pensa “Devo aiutare i giovani, loro sono il futuro” e io con che cuore le devo ripetere ancora che siamo quasi coetanei. Ma lei è fatta così. Il casino del tornare a scrivere per un magazine come Franz sta nel capire cosa diavolo potrei offrire di minimamente interessante. Ragionando, ho qualcosa di cool da condividere con il vostro pubblico? Boh, io ho un sacco di paranoie che in tutti questi anni si sono fatte più intraprendenti e adesso mica sono solo voci nella mia testa, eh no, sarebbe semplice quello. Hanno una bella stazza e sono passeggeri che viaggiano insieme a me ovunque vado.

Su questo treno ora, a pochi chilometri da Linz, mi circondano. Ho pure dovuto prenotargli il posto vicino altrimenti si agitavano. Discutiamo, ci prendiamo in giro, poi io mi prendo male e piango e le prego di lasciarmi in pace e loro, prima mi fanno credere di provare pietà, poi mi saltano sulla schiena svegliandomi.

Dormo male, dormo sempre meno. Quando torno a Bolzano dormo meglio perché sto a casa di mia mamma e mi sento meno solo. Vienna ha quasi due milioni di abitanti e sono tutti bravissimi a ignorarti. 

Siete interessati a sapere come sono stati questi anni fuori? Ci ho fatto tre stagioni di un podcast. Quindi qualcuno potrà pensare “Ehi ma allora sei stato produttivo!” alche io posso solo rispondere “Alla faccia del cazzo ho quarant’anni, non è che sia chissà che produttivo, avrò fatto due o tre cose nella mia vita ma siccome le ho parecchio dilatate nel tempo, ora che sto raccogliendo i frutti e le ammasso sembra ci sia molto tra le mia mani”.

La mia mente è come un campo fertile dove sarebbe stato sensato piantare almeno un centinaio di alberi di mele, giusto per avere qualcosa con cui sostentarsi, e invece ne ho messi tipo quattro, distanti trenta metri l’uno dall’altro, cosa che devo prendere una bicicletta per andare a controllare come stanno quando mi viene voglia.

Vorrei raccontarvi della vita notturna viennese, di quella volta che ero in un locale malfamato insieme al mio amico Aldo Giannotti, due ragazzi evidentemente alterati dalle sostanze stavano passando il tempo uno disegnando cerchi su un foglio mentre l’altro, con un coltello dalla lunghezza fraintendibile, giocava con la lama, puntellando la superficie in legno del tavolo, evitando come poteva le sue dita tozze sporche di sigarette. Una signora sulla sessantina era alla quinta birra, lo ricordo perché davanti a lei giacevano i resti delle quattro precedenti, alcune riverse al suolo avevano generato un Tigri ed Eufrate di Ottakringer. Lei stava nella Mesopotamia e lanciava sguardi promiscui verso tutti noi ma era il ragazzo con la lama ad affascinarla. Quando il sangue sul tavolo era troppo, lo convinse a seguirla, promettendogli cerotti e di prendersi cura non solo dei tagli ma pure di svariati ulteriori bisogni intimi. L’altro fattone non si accorse di nulla, perso com’era in quei cerchi che ora dal foglio si erano spostati sul tavolo e di lì a breve si sarebbero espansi fino ai miei vestiti. Ricordo che guardai Aldo e innocentemente gli chiesi “Questo è quello che Vienna ha da offrire?” e lui mi rispose “E guarda che tu sei arrivato ora che Vienna inizia a essere un poco interessante, cioè, dieci anni fa qua non c’era nulla”.

Ecco perché ho scelto questa città. Io non me ne sono andato per diventare figo o migliore, per realizzare chissà che sogno o perseguire la mia carriera. Io me ne sono andato per scappare dalle domande. No, non quelle superficiali tipo “Ehi, sei qui! Ma come stai? Dove sei? Cosa fai?”, intendo quelle vere, che spaventano tutti.

Cosa vuoi fare della tua vita? E del tuo talento? Come vuoi impiegare il tempo che ti rimane sul pianeta? Perché non metti la testa a posto? Perché non fai figli? Perché non hai soldi? Perché non compri casa? Perché la tua faccia è sempre più gonfia?

Posso rispondere solo all’ultima: un po’ è colpa del cortisone, un po’ dell’alcol, molto dalla mia totale incapacità di dire no ai dolci. Io per un tiramisù fatto bene venderei mio nipote. No scherzo, lo amo troppo. Al massimo venderei il mio gatto, o una delle mie paranoie. Ecco, non ho figli ma mantenere le mie paranoie, con tutto quello che mi costano in fatto di terapia e ore di sonno perse, può essere considerato un investimento scellerato simile.

A me queste domande terrorizzano perché so che le sto solo ignorando. Quando torno a Bolzano vedo che molti hanno trovato risposte. Alcuni hanno scelto cosa fare nella vita e stanno in un ufficio o in un negozio o in un loculo. Altri hanno preso il loro talento e l’hanno affogato negli alcolici e nelle droghe. Molti si sono sposati, sistemati, riprodotti, accoppiati, scambiati malattie come like su Instagram e così via.

A me prendere decisioni fa venire solo più dubbi.

E se stessi sbagliando? E se poi cambiassi idea?

Non possiamo vivere per sempre in questa condizione di instabilità, come se ci stessimo rivedendo dopo chissà quanto tempo, solo per un frangente minimo per cui non ha senso scendere a fare discorsoni pesanti, eh no, è meglio tenere tutto leggero e in superficie ché domani ho il treno presto e devo ripartire?

Voi vi aspettavate un articolo con chissà quali punti di vista innovativi e invece eccoci qua a tremare tutti insieme. Ma ora ve le pongo io delle domande e per favore, rispondete.

Perché siete andati via? E se siete andati via, perché siete tornati?

E se non l’avete mai fatto, perché non vi siete mai allontanati da qui?

Un bel ritorno eh? Non c’è che dire. La colpa datela ad Anna Quinz.

 

Foto by Yomer

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