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April 23, 2012
To Rome with love
Daniele Rielli
VOTO 5
ino a ieri sera ritenevo Silvio Berlusconi uno spiacevole episodio della storia Italiana, ma ora ai miei occhi l’ex premier ha una colpa molto più grave: 15 anni di autoritarismo, stupro sistematico della democrazia e l’aver trascinato un paese sull’orlo del baratro appaiono come l’innocuo gioco di un bambino rispetto all’aver coprodotto con la sua Medusa il più brutto film di Woody Allen che sia mai finito su pellicola.
D’altro canto a qualcuno bisognerà dare la colpa per questa specie di film dei Vanzina girato da uno dei più grandi registi della storia del cinema, così nel tentativo di salvare Woody dopo i primi 10, allucinanti, minuti di “In crociera a Roma con Woody Allen” ho provato a formulare diverse teorie complottiste per evitare di mettermi a piangere
1. Woody Allen non ha mai visto “ To Rome with love”. L’hanno costretto a firmarlo sotto la minaccia che Muccino scritturasse Soon-yi per uno dei suoi film sui 40enni in crisi esistenziale
2. Woody ha avuto un ictus ma l’hanno tenuto nascosto. A conferma di questa teoria due indizi: in tutto il film il regista ha un occhio più grande dell’altro e voci dicono che suo figlio detto “the trout” sedesse fino a poco fa nel consiglio regionale dello stato di New York
3. Woody ha fatto scrivere tutto il film agli autori di Panariello poi ha rimosso le scoregge e aggiunto 3 battute buone.
In “To rome with love” Il plot è inconsistente e il pressapochisimo etnocentrico è degno di un 17 enne obeso del Minnesota pronto a sterminare la sua classe dell’high school a colpi di lanciagranate dello zio John appena tornato dall’Iraq ,più che di un regista geniale la cui carriera nei tempi bui è stata salvata proprio dai suoi fan europei. L’Italia di Woody Allen sembra quella dei film anni 60 con un pizzico di escort d’alto bordo e tonnellate di pacchiano product placement in più.
Ad Allen sfugge che questo paese oggi è molto peggio di così, più moderno e feroce, meno innocente e ancora più invischiato e provinciale, una miniera narrativa straordinaria che invece Woody lascia totalmente inesplorata preferendo rifugiarsi nella caricatura della caricatura di qualcosa che non esiste più da 50 anni. Le sposine di provincia del 2012 battono per comprarsi le borse di Louis Vitton e i giovani maritini apprezzano la globalizzazione sui bordi delle tangenziali salvo poi dimenticarsene in cabina elettorale. Anche questa è l’Italia, altro che scenette da avanspettacolo e timori da canonica, rispetto alla realtà italiana il regista risulta così sfasato che alle prossime elezioni potrebbe essere il nuovo candidato del Pd.
Non tutte le colpe però sono di Allen, l’idea di doppiare i dialoghi in inglese ad esempio è semplicemente tremenda, si bruciano così tutte le incomprensioni linguistiche fra i personaggi e le loro conseguenze comiche, e il risultato è spesso pura insensatezza. Altra pecca grave, come detto, è l’insopportabile sovrabbondanza di product placement nel film, dalle auto del gruppo Fiat (l’episodio di Benigni è un’enorme spot Lancia) passando per i salami Beretta, il caffè Illy e le mutande di Intimissimi, in uno spot senza fine. Se alla fine del film avete voglia di guidare una Punto con indosso un tanga, strafatti di caffè e con un salame in culo, non vi preoccupate, è normale.
Le storie, come ormai persino quelli che nella vita credono che Mollica sia un critico cinematografico sanno, sono 4, spesso definite erroneamente episodi mentre in realtà sono trame che si snodano in contemporanea. La migliore da un punto di vista narrativo e battutistico è quella che vede impegnato Allen stesso, la trovata del tenore che riesce a dare il suo meglio solo sotto la doccia è forse l’unico guizzo all’altezza del Woody che fu. Nota dissonante in questo episodio la recitazione, se vogliamo chiamarla così, di Flavio Parenti che mima tutto con le mani tranne il gesto che dovrebbe fare: quello di andarsene. Nella seconda tutta americana Alec Baldwin e Jesse Eisenberg ripropongono lo schema di “Provaci ancora Sam” solo che questa volta la “Cattiva coscienza” del protagonista non è un Humprey Bogart manierista ma un cinico e disilluso architetto di centri commerciali, che è abbastanza saggio da decostruire la femme fatale a base di sesso e nevrosi intellettuali d’accatto interpretata da Ellen Page. Se come dicono la storia di Benigni è ispirata a “Un marziano a Roma” di Flaiano questo non basta a salvarla, sul tema fama arriva in ritardo di qualche decennio e non morde mai. I due ingressi della segretaria in ufficio poi sono così aberranti che da un momento all’altro ti aspetti che dalla porta esca Jerry Calà. Nell’ultima trama, quella degli sposini, Albanese e Scamarcio forniscono una buona prestazione, così come Alessandra Mastronardi. A proposito: portatevi dei fazzolettini perché Penelope Cruz in questo episodio è l’idea che Dio avrebbe della donna se si fosse ricordato di esistere. Il mio problema quando è apparsa nel suo vestito rosso è stato smettere di leccare lo schermo. Le musiche invece nella maggior parte dei casi sono semplicemente orribili: uno scimpanzé che sbatte le mani a caso su una tastiera Bontempi dopo aver lanciato il preset “ pizza pummarola” avrebbe fatto di meglio. Andando avanti il film migliora, ma rimane di gran lunga la peggiore opera di sempre di Woody Allen. E nel gioco di scoprire in quale dei personaggi si ritrovi più del Woody di oggi, credo sia necessario a guardare al ricco architetto interpretato da Alec Baldwin. Ha smesso di credere nei sogni perché ne coglie in pieno l’insidiosa ed effimera materia di cui sono composti e preferisce costruire centri commerciali. Magari targati Medusa.
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