Daniele Tamagni: la rivoluzione silenziosa dello stile
Il Mart porta alla Galleria Civica di Trento l'eredità di un fotografo che trasformato l'eleganza in atto politico

Daniele Tamagni_Vive la Sapé #2, 2008, stampa 2024_© Daniele Tamagni, Courtesy Giordano Tamagni
C'è un momento preciso in cui il vestito smette di essere semplice tessuto e diventa manifesto, un attimo in cui la scelta di un colore, di un taglio, di un accessorio si trasforma in dichiarazione d'intenti, in grido di libertà, in atto di resistenza. Daniele Tamagni lo sapeva bene e per questo ha dedicato la sua breve e intensa carriera a immortalare quel momento magico in cui "il gusto da radicalmente personale si trasforma in un messaggio destinato agli altri".
La mostra del Mart "Daniele Tamagni. Style Is Life", inaugurata il 17 maggio alla Galleria Civica di Trento dove rimarrà allestita fino al 6 luglio e la cui monografia omonima è pubblicata da Kehrer Verlag, non è solo un omaggio postumo a un fotografo scomparso troppo presto - aveva appena 42 anni quando la malattia se lo è portato via nel 2017 - ma piuttosto la celebrazione di uno sguardo che ha saputo rovesciare la prospettiva occidentale sulla moda, trasformando periferie dimenticate in capitali dello stile e comunità marginalizzate in avanguardie estetiche. Ottanta fotografie disposte in sei sezioni tematiche raccontano un percorso artistico che ha attraversato continenti e culture, unendo Brazzaville e La Paz, Johannesburg e Gaborone in un'unica straordinaria geografia dell'identità. Questo era Tamagni: un cartografo dell'anima che utilizzava l'obiettivo per mappare i territori inesplorati dell'espressione personale.


I protagonisti assoluti rimangono i Sapeurs, i dandy congolesi della SAPE (Société des Ambianceurs et des Personnes Élégantes) che dal quartiere Bacongo di Brazzaville hanno riscritto le regole dell'eleganza maschile. In quelle strade polverose, dove la povertà convive con una ricerca estetica maniacale, Tamagni ha trovato la sua Rosetta Stone: il codice per decifrare come lo stile possa diventare strumento di emancipazione sociale. "Le foto di Daniele Tamagni sono piccole macchine del tempo", spiega Chiara Bardelli Nonino, co-curatrice della mostra.
E, in effetti, guardando quegli scatti del 2009 che hanno dato vita al volume "Gentlemen of Bacongo" si percepisce la portata rivoluzionaria di uno sguardo quasi alieno nel panorama della fotografia di moda sua contemporanea. Quanto era bianco, eurocentrico, borghese il mondo della moda solo quindici anni fa? Basta sfogliare le riviste di allora per capire l'abisso che Tamagni ha contribuito a colmare.

Una sezione particolare è dedicata alla Dakar Fashion Week del 2012, evento che oggi rappresenta un caposaldo della fashion industry africana. Tamagni vi arrivò quando pochi fotografi internazionali si interessavano alla moda del continente, catturando l'intimità dei backstage e dei laboratori con la sua capacità unica di farsi accettare, di diventare parte della storia che stava raccontando. "Daniele non capiva perché i media occidentali fossero così poco interessati alla moda del continente africano - ricorda Aïda Muluneh, co-curatrice -. Ha continuato caparbiamente a celebrarne la bellezza, la creatività e la vitalità durante tutta la sua carriera". Oggi quelle immagini testimoniano un momento di transizione, quando Instagram non aveva ancora aperto le finestre sul continente e il vento panafricanista non soffiava ancora su quell'ecosistema creativo.


L'influenza di Tamagni va ben oltre il mondo della fotografia. La mostra offre una sezione alle contaminazioni: Paul Smith dedica l'intera collezione primavera/estate 2010 ai Sapeurs, aprendo la sfilata con il look inconfondibile di Willy Covary in completo rosa e bombetta rossa; Solange Knowles per il video di "Losing You" rende omaggio esplicito ai "Gentlemen of Bacongo", con Tamagni sul set a documentare l'energia contagiosa di quel momento; Stella Jean dalle Cholitas Luchadoras trae ispirazione per una collezione 2018 all'insegna dell'empowerment femminile. Non trascurabile l'eco accademica: decine di testi a cavallo tra storia della moda e sociologia si sono affidati al suo sguardo per comprendere fenomeni che altrimenti sarebbero rimasti ai margini della riflessione teorica.
"Voleva conoscere i suoi soggetti, intrecciare amicizie, scoprire perché si vestivano in un certo modo, cosa volevano comunicare e a chi", spiega ancora Bardelli Nonino. È questa dimensione umana il segreto di un lavoro che mescola fotogiornalismo, fotografia di strada e di moda con risultati irripetibili. Tamagni non era affatto il classico fotografo mondano. Chi lo conosceva lo descrive come "uno strano", poco incline alla vita sociale, ma con la macchina in mano si trasformava, sviluppando una capacità quasi soprannaturale di creare intimità e complicità con i suoi soggetti. Il risultato sono immagini che trasudano fiducia reciproca, spontaneità, energia vitale.
Laureato in Beni Culturali con un master in Storia dell'Arte all'Università Cattolica di Milano, aveva iniziato a fotografare solo in età adulta, conquistando subito riconoscimenti prestigiosi: il Canon Young Photographer Award nel 2007, l'ICP Infinity Award nel 2010, il World Press Photo Award nel 2011. Un percorso folgorante che lo aveva portato a esporre in istituzioni come LACMA, MoMA e Vitra Museum il suo sguardo "profondamente rispettoso e partecipe" che non impone interpretazioni ma lascia emergere la complessità e i paradossi dei fenomeni documentati.

La scelta di portare la mostra a Trento non è casuale. Il Trentino aveva accolto la famiglia di Tamagni per lunghi periodi, diventando una seconda casa per il fotografo milanese. Parallelamente a Dakar, una delle sue destinazioni lavorative predilette, si svolge una mostra gemella tra il Museo Théodore Monod d'Art Africain e l'Istituto Italiano di Cultura. Un doppio omaggio che riflette la duplice anima di un artista capace di muoversi con identica agilità tra le montagne del Bleggio e le metropoli internazionali, sempre alla ricerca di quella "comunità di spiriti affini" che emerge dalle sue fotografie più riuscite.
Oggi, quando il mondo della moda ha finalmente iniziato ad "allargare l'inquadratura" - per usare le parole di Bardelli Nonino - il lavoro di Tamagni assume una valenza profetica. Le sue immagini continuano a circolare sui social, a ispirare nuove collezioni, a comparire nelle retrospettive più importanti. E soprattutto continuano a raccontare una verità fondamentale: che la moda, quando è autentica, non è mai solo una questione di abiti.
La Daniele Tamagni Foundation, istituita dopo la sua scomparsa, porta avanti questa eredità sostenendo giovani fotografi africani attraverso il Daniele Tamagni Grant. Un modo per assicurare che quello sguardo rivoluzionario continui a trovare nuove voci, nuovi interpreti e nuove storie da raccontare. Perché, come suggerisce il titolo della mostra, per Tamagni lo stile era davvero vita. E la vita, quando è vissuta con passione e autenticità, diventa inevitabilmente arte.