Mentre tutti la chiamano la regina dei libri, lei pensa a se stessa come un architetto che progetta edilizia sociale piuttosto che ville. Con all’attivo più di 300 creazioni, Irma Boom è una figura chiave nella storia dell’editoria. Più che a tipografia e impaginazione, Irma si interessa ai concetti. Sono questi che propone ai suoi clienti e che poi traduce plasticamente in volumi infinitamente riproducibili a stampa e quindi democraticamente disponibili ad un folto pubblico di tattili lettori.
Prima di intervistarla ho ascoltato numerose delle sue interviste online e mi ha colpito che le sue risposte fossero quasi sempre identiche — mi sono chiesta se ci fosse qualcosa di diverso da chiederle per ottenere risposte differenti, aneddoti, opinioni inaspettate. Mi sono presto accorta durante la conversazione che abbiamo avuto insieme alla sua collega Anna Moschioni che i confini del mondo di Irma sono così ben definiti che anche cambiando le domande, alla fine è lei a tendere verso quelle stesse risposte di coerenza. Così come i suoi libri, anche le sue interviste sono infinitamente riproducibili: identiche, ma leggermente diverse, con qualche piccola modifica qua e là. Irma è diventata nel tempo come il processo stesso di stampa: repetita.

Ho incontrato per la prima volta la curatrice Cristiana Perrella durante la mia residenza alla Biblioteca Apostolica Vaticana qualche anno fa. Mi ha avvicinato dicendomi che aveva un progetto interessante per me. Molti lo dicono, ma nel suo caso era vero. Durante il nostro primo incontro, portò il catalogo della mostra del 1978, un sottile libretto che divenne l'ispirazione per la struttura del libro che ho poi progettato per la Fondazione e di cui ho mantenuto le dimensioni originali. La mostra degli anni Settanta fu un evento quasi invisibile, esposto per un tempo così breve che quasi nessuno poté visitarla. Anche la mostra a Bolzano è stata quasi invisibile perché la città è così difficile da raggiungere che il pubblico che ha potuto goderne è stato limitato. Farne un libro è l’unico modo per renderla visibile e accessibile, anche ora che non c’è più. Per restituire la dimensione dell’invisibilità ho utilizzato una carta leggerissima. La sua trasparenza permette di vedere sempre la pagina prima e quella dopo durante lo sfogliare, traendo significato dal processo di sovrapposizione nel tempo: il libro così si fa da sé. Una metafora materializzata che rende bene il concetto alla base della mostra stessa tenutasi alla Fondazione nel 2022.
La carta che hai utilizzato, tra l’altro, è stata prodotta apposta per te…
Il sogno di ogni designer di libri è poter realizzare una propria carta. La IBO01 (Irma Boom Office 01) è prodotta dalla manifattura tedesca Reflex Paper che mi ha concesso di realizzarla a patto che avessi già un progetto concreto a cui destinarla; e così è stato. È una carta diafana certificata fsc con una grammatura molto bassa di 65gr, quindi, è molto leggera e trasparente.
Parlando di trasparenze, che succede al libro in un’epoca di smaterializzazione?
Il libro diventa l'unica prova tangibile dell’esistenza di qualcosa. Durante il periodo che ho trascorso al Vaticano, ho capito che si fanno i libri solo per il futuro, non per il passato, non per il presente. Tutto ciò che è digitale è in costante flusso, il che è ovviamente uno stato interessante nel quale trovarsi, ma il libro è unico proprio perché sempre uguale a se stesso.
Nel volume per la Fondazione passato, presente e futuro sono rilegati insieme in un unico volume che ripercorre la storia di questa mostra semi-invisibile. Ai documenti degli anni Settanta seguono le fotografie dell’allestimento a Bolzano: il libro diventa un museo di carta.
I tuoi sono libri d’arte o libri d’artista?
Sono una book maker e mi interessa fare libri perché trovo interessante lavorare a partire dalle costrizioni del processo editoriale, soprattutto l’infinita riproducibilità. Se penso a me stessa come ad un architetto, direi che mi interessa l’edilizia popolare e non le ville. Anche quando faccio libri per clienti come Chanel o artisti come Sheila Hicks mi interessa che tutti possano poi acquistarne una copia. La tiratura limitata o la copia unica non sono di mio interesse.

Si può dire che il tuo approccio industriale alla produzione si inserisce all’interno della tradizione olandese del design?
Anche se sono stata cresciuta cattolica, si può ben dire che io abbia un approccio calvinista al lavoro che è la mia passione e che si radica fortemente in un contesto nordico di design sociale. Il sistema statale dei sussidi ha sempre concesso ai progettisti grande libertà di espressione nel mio paese. Il marketing non ha mai governato il design in Olanda. Per questo non mi è mai interessato fare un libro pensando al fatto che potesse o meno vendere. Quando in America mi chiedevano perché disegnassi libri bianchi senza nulla sulla copertina che non avrebbero mai venduto su una pagina online di un e-commerce dove non si sarebbero nemmeno visti, rispondevo che dovevano fidarsi di me. I numeri parlano da soli.
Quando la tua edilizia popolare viene messa in mostra in un museo diventa un’opera d’arte? E’ coerente secondo te?
Quando concepisco le mostre dei miei libri mi piace molto che questi siano esposti all’interno di plexiglass. Riconosco la frustrazione di non poter interagire con i volumi e mi rendo conto che sia controintuitivo rispetto all’idea di accessibilità di cui parlavo prima, ma trovo esteticamente bella la soluzione e penso anche che sia facile ovviare alla mancata interazione con i volumi esposti perché questi si possono facilmente comprare all’uscita della mostra nel negozio del museo o dell’istituzione ospitante.
Oltre a disegnare libri sei una collezionista, soprattutto di volumi del Seicento e degli anni Sessanta e Settanta. Se potessi possedere un libro che risale a prima dell’invenzione della stampa, quale vorresti?
Trovo che la fine del Quattrocento e gli anni Sessanta e Settanta condividano la stessa esperienza di libertà negli aspetti di produzione editoriale; da qui il mio interesse per questi due periodi.
Il libro che sceglierei invece è il manoscritto miniato di Rabano Mauro, un teologo e arcivescovo tedesco del IX secolo, conservato alla Biblioteca Apostolica Vaticana. Durante il mio soggiorno a Roma, i bibliotecari mi avevano concesso di consultarlo per cinque minuti, sono molto rigidi, ma alla fine l’ho tenuto due settimane. Si sono arrabbiati e mi hanno detto che non potevano più darmi fiducia. Ho quindi scritto una lunga lettera per spiegare il motivo del mio interesse per quello specifico volume. Mi hanno risposto che erano molto felici di aver ricevuto la mia apologia scritta, ma che comunque le regole erano le regole. Il libro di Rabano Mauro è incredibile perché mette in luce l’aspetto centrale del fare libri: la creazione di sequenze. La stessa che si vede continuamente rilavorata anche nei volumi di Manuzio, ad esempio. Ho inserito una pagina del manoscritto anche nel mio Book Manifesto in cui ho riportato una lamentazione sulla croce, una griglia di lettere all’interno di un quadrato che si possono leggere da tutti i lati e hanno sempre senso compiuto. Si dice che chi conoscesse il codice, leggendo il libro di Mauro, potesse comprendere i segreti dell’universo. E’ un libro estremamente concettuale, molto simile nel modo in cui è pensato a un volume degli anni Sessanta. Anche con i volumi che disegno solitamente è così: una volta colto il concetto, tutto diventa chiaro, accessibile.

Oltre alle copertine vuote e una cura particolare per i dorsi, hai altre ossessioni editoriali?
L’ossessione più grande è quella per la creazione in generale, per il fare. Sono convinta che i libri migliori siano quelli che propongono una sola idea, due sono già troppe. Ma per arrivare a questa idea bisogna lavorare duro: togliere, semplificare, ridurre. Mi piacciono i libri e non i magazine, ad esempio, perché trovo affascinante lavorare sempre ad un’idea unica che non si ripete e non si diluisce nel tempo, che rimane sempre identica a se stessa. La ripetizione è già quella della stampa, non ne servono altre.
Il prossimo progetto?
Una mostra per Muji in Giappone per la quale sto realizzando un’edizione ancora più grande del mio Book Manifesto.
Repetita…