"Altered Dolomia": anatomia di un paesaggio in trasformazione

Fotografare le Alpi #11. Intervista a Giorgia Archetti

"Altered Dolomia": anatomia di un paesaggio in trasformazione

Altered Dolomia, © Giorgia Archetti

Giorgia Archetti parla con la lentezza misurata di chi è abituato ad attendere e a catturare l'attimo. A 23 anni la fotografa bresciana di Iseo, trasferitasi a Milano dopo gli studi allo IED, ha già trovato la sua cifra stilistica: un equilibrio raffinato tra architettura e paesaggio che si declina nella sua ricerca personale. La passione per la fotografia è sbocciata durante il liceo, nei viaggi studio all'estero, evolvendosi da semplici scatti-ricordo a una visione più consapevole e strutturata. Oggi Giorgia si divide tra commissioni di studi di architettura, mostre quali la collettiva “Rethink” alla galleria BiM di Milano e progetti personali tra cui spicca “Altered Dolomia”, vincitore del terzo premio all'Annual Photography Awards 2022 nella categoria “Nature: Humans Impact & Conservation”. “È il primo riconoscimento ufficiale al progetto che ho realizzato per la tesi – confessa –. Ora è momentaneamente sospeso, ma l'anno prossimo si amplierà la produzione con un particolare focus sulle prossime Olimpiadi”.

Altered Dolomia, © Giorgia Archetti

Giorgia, come nasce questo progetto fotografico?
“Altered Dolomia” nasce da un'evoluzione della mia percezione della montagna. L’ho sempre frequentata fin da bambina come turista, soprattutto le Dolomiti della Val Gardena, avendo il privilegio di conoscerla come sciatrice e come camminatrice. Crescendo il mio amore per questi luoghi è rimasto intatto, ma ho iniziato a cogliere l'importanza e l'onnipresenza dell'insediamento umano. Parlando con la popolazione locale ho percepito la preoccupazione per gli interventi legati al turismo e ho elaborato il progetto di tesi di laurea con il mio relatore, ora mio mentore a livello lavorativo, Luca Rotondo. Ho creato un sito web – altereddolomia.com – con tutte le foto del progetto e una mappa interattiva dei luoghi immortalati, concentrandomi sulla zona Unesco delle Dolomiti e le cosiddette “zone buffer”, le aree cuscinetto, dal Veneto al Trentino all'Alto Adige. Dopo sei mesi di ricerca, tra aprile e maggio 2022 ho realizzato gli scatti, in bassissima stagione: volevo catturare queste strutture create per accogliere masse di persone ma vuote, per restituire un'immagine alienante e distopica. 

Come si declina il tuo progetto alpino?
È un lavoro scattato interamente in digitale, realizzato con lenti decentrabili tipiche della fotografia d'architettura. Ho scelto il formato del sito web perché è un progetto di documentazione su un tema estremamente attuale, basti pensare alle prossime Olimpiadi Milano-Cortina. Il web permette una diffusione capillare e la possibilità di inserire aggiornamenti: i 94 scatti iniziali verranno essere ampliati, ma funzionando come un archivio dinamico della memoria. Ho fotografato la vecchia pista da bob di Cortina, ora smantellata: poter documentare quella struttura in abbandono, che presto sarà sostituita da un nuovo impianto, è stata un'opportunità preziosa. Non volevo realizzare un progetto solo sul turismo, ma un lavoro di documentazione non necessariamente critico. La mia scelta stilistica bilancia sempre la componente architettonica con quella paesaggistica: offro i pezzi del puzzle, lasciando che sia l'osservatore a costruire il proprio ragionamento.

Quali le due immagini più "estreme", i due poli agli antipodi che lo racchiudono?
Ci sono due scatti realizzati al lago di Braies e alla diga del Vajont: due luoghi accomunati dal diverso utilizzo dell'acqua, che paradossalmente non si vede in nessuna delle due foto. Da un lato l'hotel-ristorante si impone sul paesaggio, simbolo dell'overtourism che ha portato a limitare gli accessi al lago alpino altoatesino. Dall'altro la diga del Vajont, dove la struttura immensa prevarica il paesaggio selvatico. In entrambe le immagini la presenza umana dà la “scala” delle strutture antropiche: vedere persone minuscole camminare sulla diga è impressionante. Fotografare il Vajont è stato emotivamente intenso: osservare questa struttura gigantesca con ancora i segni della montagna franata fa immaginare lo scenario apocalittico del disastro. 

Altered Dolomia,© Giorgia Archetti

Cosa rende riconoscibile il tuo stile fotografico?
Cerco di bilanciare sempre la sensibilità per il paesaggio con il rigore della fotografia d’architettura. Anche quando l'intervento umano appare forzato, voglio integrarlo nell'ambiente come un unicum coeso. In ogni scatto ricerco una componente paesaggistica e una antropica ugualmente importanti, inserendo, dove possibile, riferimenti di scala per dare la misura dell'intervento umano.

 
Come nasce il desiderio di indagare le Alpi?
È un panorama che mi è familiare, specialmente la Val Gardena con cui ho un legame emotivo profondo per averci trascorso tanto tempo fin da bambina. Da questo attaccamento affettivo con il territorio alpino ho allargato lo sguardo a tutte le Dolomiti: come area di studio, la zona dolomitica era la scelta naturale.

Riconosci un'evoluzione nei tuoi scatti alpini?
“Altered Dolomia” è l'apice di un cambiamento. All'inizio cercavo la fotografia “pulita”, escludendo l'intervento umano per raccontare il luogo nella sua dimensione più selvaggia. Gradualmente questa visione si è evoluta: ora cerco proprio la componente umana che si intromette nel paesaggio, perché è alla base dell'evoluzione e della percezione dell'ambiente. La natura incontaminata esiste ancora, per fortuna, ma non è più così estesa: l'impatto umano è ovunque, e voglio documentarlo e raccontarlo. 

Altered Dolomia, © Giorgia Archetti

Con quale approccio hai scelto di immortalare l’arco alpino?
È un approccio documentaristico che mantiene un'importante componente estetica: le fotografie devono essere belle in sé, anche quando ritraggono elementi non sempre gradevoli. Sul sito le immagini sono divise in sei categorie: edifici, impianti di risalita, elettricità, torrette, sport e viabilità, contenimenti. Non tutte le strutture fotografate sono futili: strade più ampie e sicure collegano paesini isolati alle valli e alle città, le infrastrutture elettriche sono essenziali per chi vive in montagna, ho scattato una piccola serie alle torrette dei ripetitori della linea elettrica che sono sparse ovunque. Solo gli impianti di risalita e le strutture sportive sono direttamente legati al turismo: il resto serve alla vita quotidiana di chi in montagna vive.

Cosa hai scoperto in questa tua indagine fotografica?
La scoperta più preziosa riguarda la mia nuova sensibilità sul tema che ho indagato. Andare sul campo alla ricerca dei luoghi da fotografare ha cambiato la mia percezione e ha contribuito all'evoluzione della consapevolezza della presenza umana in montagna. È qualcosa di molto emotivo e interiore, legato alla percezione del nostro impatto sull'ambiente come esseri umani. 

Com'è, oggi, il tuo rapporto con la montagna?
È vivo: resto una frequentatrice assidua, ma con molto più riguardo. Andare in quota è una liberazione: prendermi una giornata per camminare, staccare e prendere aria mi regala pace. Chiaramente noto sempre l’impatto umano, che è dappertutto, ma riesco ancora a godermi la natura e questi paesaggi meravigliosi. È un approccio sereno, come quando ero bambina.

Altered Dolomia, © Giorgia Archetti

Quale consideri il tuo scatto migliore?
La mia foto più rappresentativa ritrae una zona boschiva a Nova Levante, in provincia di Bolzano, mentre stavano costruendo il nuovo impianto di risalita di Tires. Nell'ultimo settore hanno disboscato molti alberi per posizionare i pali della cabinovia nonostante il progetto fosse stato studiato per evitarlo, scatenando proteste. Nell'immagine si vedono alberi a tutta altezza e, di lato, solo la zampa della torre metallica che sparisce dall'inquadratura, suggerendone le dimensioni mastodontiche. Avere una “scala”, anche qui, è una dinamica che ho ricercato. È il mio scatto preferito perché bilancia tutti gli elementi: la natura, la natura manomessa con i tronchi tagliati e l'intromissione umana che, pur essendo causa di sofferenza per il bosco, si inserisce con eleganza nell'immagine, fa parte dell'ambiente e per qualche ragione lo completa.

Altered Dolomia,© Giorgia Archetti

Senti il desiderio di catturare un’immagine ancora mai scattata?
Ho in mente uno scatto che non sono riuscita a realizzare perché ero in macchina, stavo guidando: sei o sette operai, vestiti in tute arancione fluorescente, arrampicati come camosci su una parete scurissima per posare reti paramassi. Il traffico stava riprendendo e non ho potuto fermarmi e immortalare questa situazione estetica che ho visto una volta sola e che non ho più ritrovato. Quell'immagine ce l'ho fissa in testa: è uno dei miei tormenti, perché in “Altered Dolomia” l'avrei inserita sicuramente. A volte alcuni istanti sono talmente speciali che scelgo di non fotografarli, ma questo attimo, con quel contrasto di colori così potente, avrei davvero voluto catturarlo.

Altered Dolomia, © Giorgia Archetti
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