The Wedding Enterprise. Part XIV. The Bureaucracy

E’ dai tempi della prima carta d’identità, che penso che la burocrazia è il nemico.
Carte, cartine e scartoffie, scadenze, urgenze, firme e modulistica varia, sono tra le cose che mi hanno fatto venire le peggiori pelli d’oca in vita mia. Anche perché se non sei – e io non lo sono – una preci setti che archivia tutto per benino, che ha tutte le cartelle in ordine e tiene l’agenda giornaliera delle scadenze, tutto diventa ancora più complesso, oneroso, drammatico.
E – ahimè – pure nelle vicissitudini matrimoniali, che dovrebbero essere tutta bellezza, creatività, romanticismo e cuoricini, non si può scappare dal nemico pubblico numero uno. Non si può – come la mia tendenza naturale porterebbe a fare – mettere la testa sotto la sabbia, le carte sotto il materasso e sperare che tutto si aggiusti per un miracolo di Sant’Antonio.
Certo, questa è una di quelle cose che a cuor leggero si potrebbe delegare allo sposo (che nel mio caso è pure un precisetti), però poi scatta il senso di colpa e di giustizia: ho voluto fare tutto io, comandare come un generale plurimedagliato, controllare ogni dettaglio senza lasciare troppo spazio alla conciliazione, e ora – che c’è da sbrigare la roba brutta – delego tutto all’ignaro promesso sposo? No, non è carino, non posso farcela. Amo il mio quasi marito, non gliela lascio questa rogna, a fronte della pazienza quasi santificabile fino ad ora dimostrata.
E così, una volta in possesso di tutte le copie di documenti necessarie, mi appresto con il cuore pesante e il poco slancio che si addice a queste situazioni, a farmi tutti i miei bei giri per uffici pubblici (e religiosi) vari.
Porta la carta di qua, riprendila di là, spedisci questo documento qui, ritira quell’altro documento lì. Uno strazio. Anche perché se ti sposi in chiesa le magagni burocratiche magicamente raddoppiano.
Prima c’è il corso prematrimoniale (che meriterebbe una puntata a sé, vedremo…), dove ti consegnano (dopo firme, moduli da compilare, richieste di certificati che risalgono all’anteguerra e via discorrendo) un “attestato di partecipazione”. Poi c’è l’esame prematrimoniale dal parroco (eh si, come tornare a scuola, l’esame per l’idoneità matrimoniale, che se per caso ti scappa la risposta politicamente non corretta, trac, in un secondo ti salta il matrimonio), che ritira l’attestato del corso, ti fa fare ancora qualche firma, compilare qualche modulo e che poi ti consegna i fatidici fogli per le pubblicazioni: lì in parrocchia, nella parrocchia dello sposo, in comune.
Che poi sta cosa delle pubblicazioni, a me ha sempre fatto piuttosto ridere. È un po’ come un salto nel medioevo, pensare che in chiesa e in comune viene esposto un foglio che dice “ci sposiamo”. Chiari i significati in passato (figli illegittimi, precedenti matrimoni segreti, altre amenità), ma oggi nell’era di internet, sto foglio appeso a me fa tanto old school, una roba arcaica che difficilmente mi spiego. Però, ovvio, quando le nostre pubblicazioni saranno esposte, me le andrò a vedere (già che tanto ci sono, almeno me le godo), le fotograferò e le pubblicherò su facebook. Perché sarà pure cosa medievale, ma io sono una donna moderna e mi autopubblico nel luogo pubblico più pubblico che – oggi – ci sia. Dovrebbero fare così anche il comune e la parrocchia, secondo me. facebook, e via. Ma non mi metterò certo ora a fare una battaglia per la modernizzazione della burocrazia, ho altre priorità, al momento.
Fatte le pubblicazioni che restano esposte per due settimane, se nessuno ha avuto qualcosa da dire e anzi tutti hanno deciso di tacere per sempre, il più è fatto. O mica tanto. Bisogna ancora prendere un foglio dal parroco, portarlo al parroco della chiesa dove ci si sposa, e fare pure la delega perché a sposarti non è né il parroco 1 né il parroco 2, ma un parroco 3 che entra in scena a questo punto. In tutto questo c’è anche un foglio da compilare sui testimoni, ovviamente e qualche altra scartoffia che di sicuro salterà fuori quando meno me lo aspetto (c’è pericolo di scenata sclerotica con qualche ignaro funzionario pubblico, che la sposa sotto stress, all’ennesima carta da portare dal punto A al punto B, potrebbe esplodere).
Da non dimenticare poi, naturalmente, l’altro nemico: la SIAE. Perché se c’è della musica, anche se è il vostro privatissimo matrimonio, la SIAE sta in guardia e va pagata. A meno che non vogliate la visita a sorpresa sul primo ballo degli sposi del funzionario incaricato pronto a rovinarvi la festa con una bella multa fuori programma (e decisamente fuori budget).
Con tutto questo, in teoria, dovreste aver finito. Il tutto tra marche da bollo, spese di cancelleria e varie ed eventuali, vi è costato una cifretta e un sacco di bestemmie contro il sistema. Ma se ce la fate – e io ce la farò, lo prometto a me stessa, allo sposo, allo stato e a tutti i parroci coinvolti – poi tutto andrà liscio. A meno che (a parte le firme d’ordinanza a fine cerimonia, di cui siete a conoscenza) non salti fuori un’ultima carta a sorpresa.
Meglio stare in guardia, il nemico ha lunghe braccia, ed è sempre in agguato.