Oltre lo scatto: quando la fotografia racconta il respiro dei ghiacciai
Le "Alpi in divenire" esposte a Palazzo Roccabruna

Mont Dent Blanche, Monte Cervino e gruppo del Monte Rosa dalla vetta del Monte Herbétet. Agosto 1894 © Vittorio Sella
In un'epoca in cui parlare di cambiamento climatico è diventato quasi un esercizio retorico, arriva a Trento una mostra che preferisce mostrare piuttosto che raccontare. "Alpi in divenire. Sguardi a confronto in Valle d'Aosta" approda a Palazzo Roccabruna dal 16 aprile al 17 maggio, portando con sé un'urgenza che va oltre il semplice richiamo ambientale.
L'esposizione rappresenta il compimento di un percorso quadriennale intitolato "L'Adieu des glaciers": un progetto coraggioso del Forte di Bard che varca ora i confini valdostani per interrogare anche il Trentino sul futuro delle sue vette, dove i ghiacciai costituiscono parte dell'identità territoriale. Ventisei opere, tra cui fotografie d'archivio e scatti contemporanei, compongono un dialogo visivo che ha il merito di evitare facili apocalittismi. Quella proposta non è la consueta e lisa sequenza di "prima e dopo" che documenta il ritiro dei ghiacciai, ma un racconto stratificato che intreccia estetica e scienza, memoria e proiezione futura. La montagna, simbolo di immutabilità nell'immaginario collettivo, diventa qui testimone di una trasformazione accelerata. I "Quattromila" valdostani - Monte Rosa, Cervino, Gran Paradiso e Monte Bianco - vengono ritratti nella loro maestosità fragile in un'esposizione curata con intelligenza da Enrico Peyrot, fotografo e storico della fotografia, e Michele Freppaz dell'Università di Torino.

"L'impatto emotivo delle immagini ci permette di confrontarci con i problemi che anche noi avvertiamo", ha commentato Andrea De Zordo, presidente della Camera di Commercio di Trento. Una frase che tradisce forse il vero valore dell'operazione: non tanto e non solo documentare un cambiamento, quanto permettere al visitatore di elaborarlo emotivamente. Colpisce, nelle parole della presidente del Forte di Bard Ornella Badery, il riferimento ai ghiacciai come a un "passato glorioso": c'è qualcosa di profondamente umano in questa personificazione della natura, come se queste distese di ghiaccio avessero una biografia propria, un destino che si intreccia al nostro. La mostra svela un aspetto meno noto dei ghiacciai: non deserti di ghiaccio, ma ecosistemi vivi che "ospitano una biodiversità unica, ora a rischio a causa del riscaldamento globale". Questa vita nascosta, invisibile ai più, è forse la perdita più significativa che rischiamo.


All'esposizione è collegata l'omonima pubblicazione che amplia il percorso espositivo, restituendo "il quadro complesso dello stato di salute dell'ambiente alpino valdostano nelle sue connessioni con l'attività dell'uomo". Un volume che non si limita a documentare, ma interpreta, coinvolgendo diversi studiosi.
E c'è qualcosa di paradossale nell'inaugurare questa mostra in primavera, stagione simbolo di rinascita, quando invece si parla di un lento addio. Ma forse è proprio questa la chiave di lettura: mentre osserviamo i ghiacciai che si ritirano, assistiamo contemporaneamente alla nascita di nuovi paesaggi, di terre e rocce che "costrette a trovare un nuovo equilibrio con l'atmosfera" raccontano un'altra storia possibile.

L'esposizione verrà inaugurata martedì 15 aprile alle 18 e rimarrà allestita fino al prossimo 17 maggio, con un'apertura ampliata durante il Trento Film Festival. A Palazzo Roccabruna il visitatore occasionale o intenzionale non troverà solo documenti di un cambiamento in atto, ma uno spazio di riflessione sul rapporto tra uomo e natura, sulla fragilità della bellezza e sulla responsabilità dello sguardo. Perché in fondo ciò che queste fotografie mostrano non è solo il ritrarsi dei ghiacciai, ma anche il nostro modo di guardare la montagna che cambia.