Collezione Antropocene
Quando la terra parla attraverso l’arte, il futuro si illumina di nuove possibilità: riflessioni sull’umano e la natura al MUSE

© Michele Purin
Nel cuore del MUSE, dove scienza e immaginazione danzano insieme, nasce qualcosa di unico: la prima collezione italiana dedicata all’Antropocene, un’epoca in cui l’essere umano si fa autore e spettatore delle trasformazioni che scolpiscono il pianeta. Non è solo una mostra, ma un viaggio. Un invito a osservare con occhi nuovi ciò che già conosciamo, attraverso video, sculture, fotografie e opere che raccontano storie di ghiacci che si sciolgono, foreste che sussurrano e mari che si alzano come antiche maree.
Da ieri il MUSE apre le sue porte a una collezione che non è solo arte, ma specchio e visione, eco e speranza. Ideata e curata da Stefano Cagol, questa raccolta intreccia i linguaggi di artiste e artisti provenienti da ogni angolo del mondo, come fili di un arazzo che intreccia esperienze e paesaggi, dal Kirghizistan ai boschi trentini, dalle rive del Mediterraneo ai deserti americani.
“C’era l’urgenza di avviare al più presto la prima collezione d’arte contemporanea in Italia focalizzata sulle questioni dell’Antropocene e rilevante è che sia stata fondata tra arte e scienza da un museo delle scienze, il MUSE, divenendo unica nel suo genere. Il focus tematico è coerente, pur nell’ampia varietà dei punti di vista offerti da artisti di culture differenti, dal Kirghizistan a Israele, agli Stati Uniti, del territorio, trentini e sudtirolesi di cultura italiana, ladina e germanofona, e di diverse generazioni, consolidati e under 35. Le quattordici opere acquisite grazie al prezioso supporto ministeriale sono state intercettate negli ultimi tre anni da MUSE attraverso la piattaforma “We Are the Flood”, noi siamo il diluvio, e ora MUSE consolida questo approccio per rispondere a sempre più veloci cambiamenti eco-culturali, meditare sulla crisi climatica e aiutare a immaginare futuri desiderabili, aprendo a nuovi confronti. Per me è un onore vedere tale coronamento al percorso avviato con MUSE” racconta Stefano Cagol nel corso dell’inaugurazione.

E proprio lì, in uno spazio che diventa quasi un confessionale della Terra, il dialogo si amplia: tra dicembre e gennaio, gli eventi collaterali trasformeranno il museo in un luogo d’incontro, un salotto di idee, dove si potrà condividere una tazza di tè con le autrici e gli autori, scoprendo le radici profonde delle loro opere.
La Collezione Antropocene non si limita a essere un archivio, ma diventa seme. Un germoglio destinato a crescere, espandersi, viaggiare, ospitando nuove prospettive e accogliendo, anno dopo anno, nuove voci.
Le 17 opere che compongono il nucleo della Collezione si presentano come un caleidoscopio di visioni e linguaggi diversi: dalla fotografia alle installazioni video, dalle sculture alle creazioni site-specific, nate da workshop, masterclass e residenze d’artista in museo. Ogni pezzo, pur nella sua unicità, racconta le conseguenze ambientali delle azioni umane e diventa voce di una chiamata volta all’azione per una trasformazione ecologica urgente. Scopriamone alcune.
Eugenio Ampudia, con Concierto para el Bioceno (2020), mette in scena un concerto in cui un quartetto d'archi suona di fronte a un pubblico particolare: 2.292 piante verdi. L’opera simboleggia un cambiamento di paradigma, proponendo il concetto di Biocene, dove la vita naturale diventa centrale rispetto all’impatto umano sull’ambiente.
Stefano Caimi, con Phytosynthesis - Antirrhinum Majus (2022), crea una pianta digitale attraverso un algoritmo che analizza la scansione fotogrammetrica di un fiore. L’opera rappresenta una visione artificiale ma sorprendentemente fedele della natura, riflettendo sull’evoluzione del nostro rapporto con l’ambiente mediato dalla tecnologia.
Hannes Egger, con Bivacco (transport) (2019), presenta una fotografia che ritrae un bivacco montano, simbolo di rifugio, immerso nell'acqua della laguna di Venezia. L'opera rimanda ai cambiamenti climatici, mettendo in discussione la nostra sicurezza e le certezze rispetto agli impatti ambientali.
Nezaket Ekici, con la performance Preview & Review (2022) sulle sponde del Lago di Ledro, interagisce con un tronco che evoca le antiche palafitte del luogo. L'artista libera il tronco, simbolo dell'interazione tra l’uomo e la natura, per poi lasciarlo andare in acqua, creando un gesto di riconciliazione con l'ambiente.
Angela Fusillo, giovane artista, esplora il futuro della Terra dopo l’estinzione umana, utilizzando l’intelligenza artificiale per creare un paesaggio generativo. Partendo da estratti di Heidegger, Warburg, Borges e Zolla, e utilizzando ChatGPT per sviluppare un racconto, ha poi generato le immagini di questo paesaggio con Midjourney. Il risultato è un’interpretazione della Terra radicalmente trasformata, dove la natura ha dato vita a nuovi organismi in risposta alle scorie industriali lasciate dall’uomo.
Micol Grazioli, artista trentina residente a Marsiglia, ha creato un’opera collettiva che esplora l’interdipendenza attraverso un disegno partecipativo. I partecipanti hanno disegnato contemporaneamente su un grande supporto, creando una topografia che simboleggia i movimenti geologici e le relazioni tra le persone.
Elena Lavellés, artista spagnola, con il video Pattern of Dissolution presenta il petrolio, il carbone e l’oro come metafore della voracità della società occidentale. Le immagini di queste sostanze, mosse in un flusso ipnotico, riflettono sul nostro sfruttamento delle risorse naturali e sulle conseguenze delle nostre scelte.
Silvia Listorti, con la scultura Ora, esplora l’acqua come elemento che connette i corpi e la natura. Utilizzando il vetro per rappresentare la fluidità e l’incontrollabilità, riflette sul nostro rapporto con l’ambiente e sulla nostra illusione di controllo.
Shahar Marcus, con il video Still Burning, affronta il tema dell’autodistruzione sociale, presentando una figura umana avvolta dalle fiamme. Il video evoca la fine dell’essere umano e le conseguenze del riscaldamento globale, in un rimando alla figura mitica del golem che, pur invincibile, non può salvarci.
Mary Mattingly, con l’installazione Lacrima, riflette sui delicati equilibri idrici del pianeta, ispirandosi al sistema alpino. L’opera, che include un orologio ad acqua e contenitori in terracotta creati in modo partecipativo, invita alla consapevolezza del nostro rapporto con l’acqua e l’ambiente circostante.
Giulia Nelli, con la sua installazione Tra radici sopite e arida pietra, utilizza collant neri di diverse densità per creare una rete che interagisce con lo spazio e fa riflettere sull'onnipresenza del petrolio nella vita quotidiana, evocando l'inquinamento e il degrado dei terreni.
Laura Pugno, nel video Over Time, esplora tre approcci diversi alla neve, tra cui un'indagine scientifica su un ghiacciaio e un'azienda che produce neve spray, mentre una persona cammina in un paesaggio innevato portando un busto in gesso, simbolo delle responsabilità umane. La musica è di Magda Drozd.
Hannah Rowan, con Tides in the Body, presenta un video in cui è distesa su un iceberg, simbolizzando la connessione con il ghiaccio in un contesto di surriscaldamento globale. L'opera enfatizza l’importanza dell'acqua ghiacciata per l'ecosistema.
Le opere di questa collezione, intrecciando arte, ambiente e riflessione critica, ci invitano a confrontarci con l’impatto umano sul mondo che abitiamo, stimolando una rinnovata consapevolezza e un urgente impegno verso la tutela del nostro paesaggio e delle sue risorse.