Marina Baldo si racconta

Dalla prima performance audiovisiva al lavoro di videomaker

04.11.2024

© Anna Cerrato

Intervistare designer e creativi in generale mi entusiasma sempre moltissimo. È come se avessi la possibilità di indossare un nuovo paio di occhiali e vedere il mondo da un’altra prospettiva, vivere un po’ la loro vita, anche solo per il tempo di una telefonata. Quando poi mi capita di dover intervistare persone a me care che fanno cose belle, allora il loro successo mi sembra anche il mio. 
È questo il caso di Marina Baldo che, oltre ad essere una carissima amica, è una delle poche videomaker donna in tutto l’Alto Adige. Io Marina l’ho conosciuta nel lontano 2018  ad un evento musicale, a cinque minuti a piedi dalla mia casa di allora, dove lei -ovviamente- stava lavorando. 
Lo storytelling emozionale è un po’ la sua cifra stilistica; nel suo lavoro si occupa di documentazione di eventi e festival, ma anche di raccontare piccole realtà, come associazioni culturali e aziende private. Tra i suoi clienti e progetti: Transart, l’impresa edile Schweigkofler, Museion, Trevilab, Officine Vispa e, non da ultimo, il centro giovanile Papperlapapp, che l’ha portata fino in Svezia a insegnare alle giovani leve l’arte del videomaking, realizzando un documentario di viaggio. Insieme abbiamo realizzato “Abbecedario  per il nuovo decennio”, progetto multicanale vincitore della WS Call 2020. Insomma, Marina Baldo 10 cose pensa e 100 ne fa. In sella alla bicicletta o al motorino, raggiunge ogni punto della città e non c’è niente che non possa raccontare attraverso il suo sguardo. La incontriamo oggi sulle “pagine” di franz anche per parlare del suo primo progetto personale, la performance Audiovisiva BETA,  realizzata grazie al supporto dell’associazione culturale Lasecondaluna e presentata lo scorso 3/10 nella cornice di BAW – Bolzano Art Weeks

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Come emerge anche da BETA, la tua prima performance audiovisiva di cui parleremo a breve, possiamo dire che hai ereditato la passione per il video-making da tuo papà. C’è un immagine, un frammento della tua infanzia che ricordi di come è nata questa tua passione? 
Uno dei ricordi più nitidi che ho della mia infanzia riguarda mio papà, che aveva ricavato un piccolo studio in casa dove elaborava i filmini di famiglia. Lo osservavo di nascosto dalla porta socchiusa: luci, suoni, parole, musiche e la sua sagoma controluce mentre guardava, elaborava, e montava i nostri ricordi di famiglia. Quando lui non c’era, mi arrampicavo su questo sgabello e mi divertivo a imitarlo: premere i pulsanti, spingere le leve e immaginarmi montare anche io il mio personale filmino. In questo senso, credo che sia stato proprio questo ad affascinarmi: quel lavoro solitario di accostamento di suoni ed immagini, lasciandosi guidare dalle emozioni suscitate dal girato. Mio papà, poi, ho sempre avuto un forte sostegno nelle mie scelte di studio e lavoro…credo che lui inconsapevolmente mi abbia sempre stimolato nel perseguire questa mia passione. 

About the authorClaudia GelatiMi chiamo Claudia e sono quella con la frangetta, gli occhiali tondi e le calze a pois. Qualcuno [...] More
Sentire di avere nei genitori degli alleati, è sempre molto bello. Dai video di famiglia a videomaker professionista: qual’è stato il tuo percorso formativo? 
Giusto per far capire come per mio papà fosse importante farmi assaporare il mondo del cinema a 360°, ricordo di quella volta in cui a dodici anni mi ha portato a vedere una rassegna di cortometraggi a Bolzano. Ero rimasta positivamente sconvolta; credo che proprio in quell’occasione abbia iniziato a farsi strada in me il pensiero che questa mia forte passione potesse diventare una professione vera e propria anche per una ragazza, restando nella mia città natale. Il passaggio è stato automatico: dopo il Liceo e un periodo di riflessione, mi sono iscritta alla scuola di Documentario ZeLIG, buttandomi a capofitto in questa bella esperienza formativa senza alcun ripensamento. Il difficile, se vogliamo, è arrivato dopo: ero veramente molto giovane, insicura e inesperta e, nonostante gli studi, non mi sentivo ancora pronta. E quindi, per sei anni ho lavorato come tecnico di palcoscenico al Teatro Cristallo, dove mi occupavo di luci, allestimento, audio e accoglienza delle compagnie teatrali. Ad un certo punto ho sentito che era necessario interrompere quel percorso e buttarmi nella libera professione, per cercare nuovi stimoli e mettermi alla prova. A Maggio 2017 ho aperto la partita Iva e ho iniziato la mia attività come videomaker freelance. 
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Quando hai iniziato a lavorare in proprio, hai percepito un certo pregiudizio o diffidenza nei tuoi confronti trattandosi di un mondo prettamente maschile?
Devo dirti la verità: la situazione più disarmante che ho vissuto come giovane donna professionista è stata proprio all’interno del palcoscenico piuttosto che come videomaker freelance. Mi è capitato di essere guardata dall’alto al basso, considerata incompetente di default perchè donna. Poi, magari, vedendomi lavorare si sono anche ricreduti. Ora vedo che nel contesto teatrale la situazione sta cambiando rapidamente; mi entusiasma veder lavorare  tante giovani donne come tecnici di palcoscenico. Come videomaker non ho mai vissuto esperienze del genere. Anzi, al contrario, nell’ambito delle riprese video ho trovato moltissimi colleghi uomini disponibili a  collaborare.
Forse dirò un ovvietà, ma la sensibilità femminile, lo sguardo che abbiamo del mondo, può essere un vantaggio in questo ambito lavorativo. Secondo la mia esperienza, posso dire che questo è un ambiente in cui noi donne siamo ben accette e, anzi, siamo viste come possibili partner piuttosto che delle rivali. Ma mi aspetto di vedere al più presto più colleghe videomaker donne con cui poter lavorare.

In un mondo in cui siamo esposti quotidianamente ad una grande quantità di immagini e video su ogni canale, dalla tv ai social, e dove ognuno può potenzialmente essere un creatore di contenuti, qual’è il lavoro del videomaker professionista? 
Ovviamente con l’avvento dei social ci si è dovuti adattare moltissimo a nuovi linguaggi, nuovi formati e nuove durate: se all’inizio potevi permetterti di realizzare un video anche di dieci minuti, ora è necessario rimanere sotto il minuto. Filmare un evento che dura un mese e raccontarlo in 30 secondi è davvero difficile e significa eliminare il 90% delle riprese che hai raccolto. Rimanere al passo a volte è stancante, anche se molto stimolante allo stesso tempo. Credo che ciò che caratterizza i videomaker professionisti  in un mondo bulimico di immagini sia il tipo di sguardo: esterno, distaccato ma non distante, attento sia al contesto che al dettaglio e che sa cogliere la moltitudine di emozioni che catturano lo spettatore. Un qualcosa che forse manca ai content creators improvvisati, che sentono la pressione di dover raccontare tutto subito, con il rischio di diventare troppo uniformi  e poco originali. 

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Parliamo di BETA, la tua performance audiovisiva presentata nella cornice del Festival BAW ad Ottobre, con la collaborazione dell’associazione La Seconda Luna e di Spazio Ama. Con questo progetto ritorniamo un po’ all’inizio, a quei filmini di famiglia: come è nata l’idea? All’inizio non eri molto convinta di condividere questa dimensione così intima in una performance. 
Tutto è iniziato nel 2019 quando venne diagnosticato a mio papà l’Alzheimer, quella malattia mostruosa che lentamente cancella i tuoi ricordi. Rivedere e digitalizzare quella preziosa collezione di VHS cariche di ricordi di famiglia per restituirgli frammenti di memoria era per me diventata una priorità. Poi in mezzo c’è stata una pandemia e, purtroppo, un tumore che ha portato via mio papà in tempi molto brevi. E lì ho sentito forte il bisogno di fermarmi, recuperare le forze e elaborare il tutto prima di inserire la videocassetta nel videoregistratore e, sopratutto, risentire la sua voce, che è una delle cose più difficili da affrontare dopo la scomparsa di una persona cara. L’immagine che avevo di questa performance continuava a girare nella mia testa e il desiderio era molto forte, ma ero spaventata. Nel 2023, c’è stato un periodo in cui ero in stallo con il lavoro, e mi sono detta: “lo faccio ora o mai più”. Fondamentale per me è stato parlare di BETA con persone che non conoscevano la mia storia o mio papà: vedere nei lori occhi l’emozione, percepire l’entusiasmo e il loro sostegno mi ha dato la forza di realizzarlo. In questo percorso, poi, devo ringraziare sopratutto Samira Mosca che ha saputo trovare lo spazio e il contesto adeguato per presentare BETA. Al mio compagno Maurizio Vescovi va il ringraziamento più grande per essersi dedicato alla parte audio della performance che come dicevo prima è un aspetto fondamentale nel ricordo, nella memoria dei nostri cari e delle persone che non fanno più parte della nostra vita oppure che ci sono ancora, ma sono cresciuti o invecchiati. Infine, una grande pacca sulla spalla a me, per aver avuto la forza di portare avanti il progetto e digitalizzare oltre 40 videocassette di formati diversi; cassette che ho prima di tutto guardato e analizzato per poi costruire un montaggio video che potesse essere un racconto, un viaggio.  

BETA è una performance che dura meno di un quarto d’ora e che è stata ripetuta in tre turni distinti. Attraverso questi montaggi video, il ricordo privato è diventato pubblico e hai dovuto mostrare un tuo lato molto intimo a persone estranee alla tua cerchia di famigliari e amici. Qual’è stata l’accoglienza del pubblico?
BETA per me è un qualcosa di molto personale perchè riguarda me stessa, la mia famiglia, i nostri ricordi insieme, eppure durante la performance mi sono accorta che queste immagini hanno toccato i ricordi di tante altre persone e sono diventati racconto collettivo. All’inizio di ogni proiezione il pubblico era invitato ad entrare quasi in punta di piedi in questo spazio intimo e buio, dove io li attendevo per accompagnarli attraverso i miei ricordi. Finita la performance, la cosa che mi colpiva di più era vedere i loro  occhi lucidi, ricevere abbracci molto forti e una parola ricorrente:“Grazie”. Essere ringraziati per aver mostrato qualcosa di così personale e privato, mi ha stupito e inorgoglito, perchè significa che il mio viaggio nei ricordi, è diventato anche il loro. Che per qualche motivo, forse la grana delle VHS o le atmosfere anni ’80-’90, sono riusciti a guardarsi dentro e a ripensare ai loro ricordi di famiglia. In un mondo in cui siamo costantemente sommersi dalle immagini, prendersi 13 minuti di tempo e lasciarsi guidare con fiducia da un estranea, lasciarsi travolgere dalle immagini e dai suoni, fermarsi non è cosa da poco. 

© Anna Cerrato

Cosa diresti a quella bambina, alla piccola Marina che si vede nei montaggi video di BETA? 
(Ride) Devo dire che ultimamente, ci sto facendo molto i conti con la me bambina: è un lungo processo di terapia e introspezione che questa performance ha iniziato a tirare fuori. Vorrei tanto che fosse lei a venire qui ora e credo che mi direbbe: “Sorridi di più. Vivi con più leggerezza. Goditi di più i momenti con le persone a te care e non farti troppo carico di problemi, questioni perchè comunque tutto va avanti, tutto scorre.” Quella bambina ha tanto da insegnarmi, sicuramente molto più di quello che potrei insegnare io a lei. 

Asciughiamoci i lacrimoni e cambiamo argomento. Nella tua professione racconti eventi, progetti, persone e attività attraverso il tuo occhio e la tua sensibilità. Parlando allora di fonti di ispirazione, come alleni il tuo sguardo? 
Sono del segno dei pesci e, si dice, che i nati sono questo segno siano dei sognatori ad occhi aperti. Io mi sento proprio così: sono quello che in tedesco si dice Kopfkino, una parola che mi piace molto e credo che mi rappresenti. Nella mia mente scorrono continuamente immagini e io mi fido molto anche delle associazioni che produce la mia mente; tutto quello che mi sta attorno mi influenza. Mi piace moltissimo guardare film al cinema e appena posso mi chiudo in una sala cinematografica; in alternativa mi accontento della tv dove utilizzo prevalentemente Netflix o Mubi per guardare film e serie che abbiano una certa cura nelle immagini, ma sopratutto nel montaggio che è l’aspetto che preferisco del mio lavoro. Anche i videoclip musicali sono molto interessanti per me, sopratutto per il modo in cui raccontano una storia in pochi minuti: a volte può essere influenzata dalla musica, ma in altri casi si tratta di veri e propri cortometraggi dove il brano passa in secondo piano. Quindi anche se in tv non sono più in rotazione come accadeva negli anni ’90 e primi 2000, credo che i videoclip abbiamo una loro dignità, un grande potenziale e siano un ottimo materiale di studio. 

A questo punto non puoi non consigliare ai lettori di franz un film o una serie, che ritieni particolarmente rilevante a livello di montaggio e fotografia.
Istintivamente, mi viene subito in mente Drive di Nicolas Winding Refn. Nonostante sia un regista abbastanza complesso e nei suoi film successivi sia andato in altre direzioni,  trovo che qui sia stato fenomenale nel raccontare il non-detto, che è sempre qualcosa di molto difficile. Un film da studiare. 

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Si sa, a franzmagazine piace indagare il territorio altoatesino per restituirlo poi attraverso questi schermi. Se vogliamo, tu sei un po’ un osservatorio speciale: attraverso i tuoi lavori hai modo di vedere un Alto Adige che pare avere sempre più l’esigenza di raccontarsi. Che ne pensi?
Credo che oggi l’Alto Adige sia un territorio che non ha più bisogno di essere raccontato, perchè è stato presentato troppo su ogni media in una maniera davvero eccessiva e stereotipata. Adesso sarebbe il caso di raccontare di meno e con più qualità, smettendola di far vedere la solita cartolina, ma andare più in profondità. Un modo di raccontare l’Alto Adige diverso, meno mainstream di come vorrebbe qualcuno, ma che darebbe più valore alle persone, agli altoatesini che vivono quotidianamente questo territorio e ogni giorni fanno qualcosa per esso. 

Quali sono le sfide del prossimo futuro e dove potremo vedere ancora BETA nel prossimo futuro? 
Per quanto riguarda BETA, ho ricevuto da pochissimo una bella novità per il prossimo autunno che non posso ancora svelare, ma posso dire che si tratta di un evento bolzanino che apprezzo molto e che mi ha sempre affascinato. Inoltre, spero di riuscire a portare la mia performance anche fuori dalla provincia, in trentino e oltre. Per il resto, tanti progetti sono work in progress e poi ci saranno grandi cambiamenti per me a partire da Febbraio e sono pronta ad accogliere tutto quello che mi aspetta nel 2025. Nel frattempo potete seguirmi sui miei canali social per vedere un po’ di dietro le quinte dei miei lavori. 

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