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September 11, 2024
Spazi di Narrazione nelle Terre Alte
Stefania Santoni
In un mondo saturo di immagini e parole, la narrazione di un luogo acquista un significato profondo quando riesce a distillare l’essenza di ciò che è autentico e genuino, lontano dai luoghi comuni e dalle rappresentazioni che si soffermano solo al primo strano di un’indagine. La Montagna, con le sue Terre Alte, è un poema silenzioso scritto dalla natura, un racconto ancestrale che svela segreti solo a chi sa ascoltare. Le vette maestose e le valli nascoste non sono semplici scenari, ma protagoniste di una storia millenaria, intessuta di fatiche, sogni e leggende. Raccontare la Montagna non significa solo descrivere paesaggi mozzafiato, ma penetrare nel cuore di un ecosistema complesso e fragile, dove ogni roccia e ogni albero hanno una voce propria. È un’arte che va oltre il pittoresco e l’idilliaco, cercando di cogliere l’autenticità di un luogo che sfida il tempo e l’uomo. In questo senso, le Terre Alte non sono mere mete turistiche (come provano continuamente a farci credere), ma spazi di profondità emozionale e culturale, rifugi di tradizioni e storie che si intrecciano con la bellezza impervia del paesaggio. La loro narrazione richiede una delicatezza che sappia rispettare la loro integrità, un equilibrio tra l’incanto e la comprensione, tra la rappresentazione e l’autenticità.
È da queste premesse che nasce il progetto “Spazi di Narrazione nelle Terre Alte” ideato da Elisa Pezza, anima poetica e artistica, attenta a sperimentazioni con l’alterità, con ciò che è più difficile da scorgere e intravedere, quindi da raccontare. È così che all’interno del Piano Giovani di Ambra un gruppo di ragazzi e ragazze si è immerso in un’esperienza di ri-narrazione di luoghi familiari (che hanno sì il sapore dell’infanzia e della memoria), ma che al tempo stesso meritano di essere raccontati in maniera altra, oltre gli stereotipi che riguardano la Montagna. Due giorni, il 7 e l’8 settembre, che in cui l’esperienza, l’immaginazione e la riconnessione si sono trasformate in guide generative e nutrienti.
Sappiamo che la Montagna, con la sua maestà silenziosa e le sue vette imponenti, è da sempre un simbolo di sfida e di bellezza sublime. Tuttavia, l’essenza autentica delle Terre Alte risiede in qualcosa di più profondo della mera fatica dell’alpinismo. Le montagne sono custodi di storie antiche e narrazioni che attendono di essere esplorate e comprese. È così che attraverso un ricco programma il progetto di Elisa ha cercato di rivelare una nuova prospettiva sul vivere e abitare la montagna. Il percorso proposto si è distaccato dal tradizionale approccio alpinistico, invitando i e le partecipanti a esplorare la montagna come uno spazio di riflessione e di significati nascosti. Non è stato un semplice viaggio fisico attraverso i paesaggi montani, ma un’immersione profonda nell’essenza dei luoghi, dove ogni roccia e ogni sentiero raccontano una storia unica.
Le attività hanno incoraggiato i partecipanti a considerare la montagna non solo come una meta da conquistare, ma come un contesto ricco di esperienze e tradizioni. La lettura in movimento, guidata da Elisa e Luca Matassoni, ha aperto una finestra su una narrazione più intima e personale, esplorando come la montagna possa essere vista attraverso lenti nuove e più sfumate. Nel corso dell’attività, si è riflettuto su come riavvicinarsi alle montagne, non limitandosi alla visione consueta di esse come luoghi di fatica e sacrificio. È così emersa una consapevolezza che questo spazio è in grado di offrire nuove chiavi di accesso alla vita quotidiana, arricchendo la comprensione di ciò che rappresenta realmente. Le Terre Alte sono state rivelate come spazi di vita e di riflessione, dove la bellezza e la spiritualità si intrecciano in modi inattesi. La riflessione si è quindi orientata su tre tematiche principali. Si è discusso di cosa significhi essere una montagna, non solo in termini di altezza, ma attraverso le percezioni personali che ognuno porta con sé. Questo dialogo ha creato un mosaico variegato di interpretazioni, arricchendo la visione collettiva della montagna. La figura della “mucca” e il suo ruolo nell’alpeggio sono stati esplorati con un approccio autentico e rispettoso, lontano dagli stereotipi. Questo ha generato a una riflessione su come la presenza di questi animali influenzi la vita e la cultura delle popolazioni alpine, offrendo una comprensione più profonda di un elemento fondamentale della vita montana. Il concetto di rifugio è stato infine oggetto di un’analisi attenta. Si è esplorato come il rifugio, luogo di transizione tra il mondo esterno e l’intimità della montagna, si sia evoluto nel tempo, adattandosi (purtroppo) alle esigenze del turismo e cambiando rispetto alla sua concezione originaria. Questa riflessione ha permesso di considerare cosa renda un rifugio veramente accogliente e quali elementi siano essenziali per mantenere la sua funzione di accoglienza.
Un momento particolarmente evocativo è stato il lavoro con le Fate (progetto curato da Maria Chemello e di cui -se mi leggete da un po’- conoscete già molto) che hanno guidato i e le partecipanti in pratiche immersive di ri-narrazione attraverso saggi, testi e incantesimi legati alle leggende della montagna. Ogni gruppo, ispirato da una cima specifica, ha creato una nuova storia utilizzando la pratica magica di scrittura delle Fate. Questo esercizio ha reso possibile esplorare come le storie e le leggende arricchiscano la percezione delle montagne, trasformandole in luoghi di fantasia e mistero, di creazione di nuovi immaginari. Osservando le cime con i binocoli, ogni gruppo ha potuto stabilire un legame intimo e personale con la montagna, scoprendo nuovi significati e connessioni.
Il giorno seguente, Stefano Riba, con i suoi passi erratici, ha guidato il gruppo in un’esperienza esplorativa della montagna immersa nel silenzio. Il percorso è stato un invito all’ascolto del proprio sentire in relazione allo spazio ed era avvolto da un’atmosfera quasi surreale per via della nebbia, della pioggia, dell’assenza di parole. È così che il gruppo è stato invitato a riflettere sul che cosa significhi davvero fare silenzio in montagna. Alla conclusione dell’escursione, ogni partecipante ha creato una mappa personale, arricchita da disegni e parole chiave, e ha condiviso le proprie riflessioni sull’esperienza del silenzio e sulle sue rare interruzioni.
A conclusione della giornata, Padre Franco ha esplorato la montagna tra sacralità e purificazione: il suo racconto era dedicato alle cinque montagne sacre. Si tratta di vette incantate che si elevano al di sopra della quotidianità, custodi di storie e significati profondi. Il Monte Meru, immaginato nel cuore cosmico dell’Asia, si staglia come il pilastro invisibile che sorregge l’universo, un simbolo etereo e sacro che rappresenta l’incontro sublime tra il cielo e la Terra. In Giappone, il Monte Fuji si erge con la sua forma maestosa, venerato come una divinità della purezza e della perfezione. La sua ascensione è un atto di devozione, un viaggio verso una bellezza pura e senza tempo, che si riflette in ogni curva del suo profilo iconico. In Tibet, il Monte Kailash è una montagna avvolta da un’aura di sacralità, considerata la dimora del dio Shiva e il cuore pulsante di diverse tradizioni religiose. Il pellegrinaggio intorno a questa montagna è visto come un cammino di purificazione e illuminazione, un viaggio spirituale che trascende il fisico. Il Monte Sinai si erge come un monumento alla fede. Qui, secondo la tradizione, Mosè ricevette le Dieci Comandamenti, e le sue pietre raccontano storie di rivelazione e devozione, offrendo uno spazio di riflessione e connessione con il divino. Infine, il Monte Olimpo in Grecia, con la sua grandiosità, è la dimora degli dèi dell’antichità. La sua presenza maestosa è un simbolo del potere divino, un luogo dove il cielo e la Terra si incontrano, tessendo legami tra il mondano e il sacro.
È così che si è concluso il progetto “Spazi di Narrazione nelle Terre Alte”, un’esperienza immersiva che ci ha insegnato che la montagna è un tessuto ricco di storie e significati che possono essere risemantizzati di volta in volta.
Crediti Fotografici: Luca Matassoni
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