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February 6, 2017
ZOTT Artspace e l’universo “Fantasma”
di Vera Comploj
Anna Quinz
Un fantasma non è soltanto un’incorporea figura coperta da un velo bianco che appare nelle notti buie e tempestose tra i corridoi delle antiche case abbandonate per terrorizzare i malcapitati… Fuori dalla favola per bambini e dentro il mondo reale e adulto, un fantasma è una proiezione subconscia, prodotta dalla nostra immaginazione, un’illusione, che può però anche trasmettere e far riflettere in modo profondo su alcuni aspetti della realtà e della vita quotidiana.
La mostra “Phantasma”, organizzata da ZOTT Artspace in collaborazione con Museion, presenta sotto forma di pittura, fotografia e video i fantasmi di due giovani artiste altoatesine, Vera Comploj e Cornelia Lochmann. Con approcci artistici e concettuali molto diversi, entrambe si confrontano con questo tema delicato e sottile, con questa incorporea entità che per loro rappresenta in questo caso un’occasione per osservare e raccontare – ciascuna a suo modo – la realtà.
Vera Comploj si confronta con i suoi fantasmi, lavorando con i suoi linguaggi abituali, la fotografia e il video e attraverso il progetto “Conversation Pieces”, racconta la storia di come ha “costruito” la sua identità, tra il natio Alto Adige e New York (la città che l’ha adottata ormai da tempo), tra nostalgia e quotidianità, tra passato e presente, tra memoria e realtà.
Vera, hai mai avuto paura dei fantasmi? Se si perché? Se no perché?
Ho sempre creduto – e tutt’ora ci credo – in delle presenze sovrannaturali che mi accompagnano nel percorso della mia vita. Questi fantasmi mi rassicurano e con la loro presenza mi sento protetta. Non assocerei però necessariamente a questa idea, la parola “paura”.
In che modo secondo te, come persona e come artista, un fantasma – soggetto per definizione irreale – può raccontare invece una qualche forma di realtà?
Personalmente mi viene più facile raccontare la realtà attraverso un soggetto irreale, utilizzando un alibi… Il racconto sembra diventare meno intimo, e distaccandosi da questa realtà reale attraverso un fantasma, le storie possono essere raccontate in maniera più libera e spontanea.
Quali fantasmi racconti con le opere “Conversation Pieces” in mostra?
Sono fantasmi in conversazione che fanno parte della mia vita presente e della mia vita passata. È una conversazione molto onirica, un po’ confusa, che rappresenta il mio stato d’animo in questo momento della mia vita. Questa confusione viene ampliata utilizzato le lingue con le quali sono cresciuta: ladino, italiano, tedesco e inglese.
Attraverso il mio progetto, queste due vite si incontrano a cena, dando luogo ad un momento collettivo e di condivisione.
Il testo che presenta il tuo lavoro recita: “nel centro della sua ricerca estetica troviamo il tema dell’apparenza culturale”. Apparenza/appartenenza… puoi raccontare qualcosa in più rispetto a questo concetto, dal punto di vista delle tue opere e del tuo pensiero individuale?
Il progetto si basa su delle riflessioni personali che ho coltivato dentro di me in questi anni. Da molti anni vivo lontano da casa. Mi è capitato pero di tornare a vivere in Val Gardena per dei periodi più lunghi e mi sono resa conto ancora di più delle dinamiche di adattamento che avevo intrapreso in tutti questi anni vivendo all’estero e di come ogni tanto capiti che il posto in cui mi trovo sembri essere diventato la normalità, mentre invece in altri momenti faccia ancora nascere un senso di confusione. Nel mio caso è abbastanza forte il contrasto, venendo dalla montagna ed abitando a New York.. Non si capisce più qual è la mia dimensione quotidiana rispetto alle mie origini, e proprio in questi momenti nascono delle riflessioni che desidero esplorare attraverso i miei progetti e a modo mio.
In questo caso, per la prima volta mi sono messa all’interno della mia opera. Come un osservatore. Attivo in questo caso e non neutrale. Tutto viene filtrato dalla mia memoria, del mio presente e del mio passato.
Come ti sei relazionata con l’altra artista che espone insieme a te in questa mostra, Cornelia?
La ricerca dell’identità è un tema centrale in entrambe i nostri lavori. Cornelia utilizza la pittura, io invece cerco di sviluppare i miei pensieri attraverso il digitale utilizzando la fotografia e i video. I nostri due mondi si sono ritrovati in Phantasma dando luogo ad un’esperienza a 360 gradi.
Ormai newyorkese, cosa significa per te esporre in Alto Adige, la terra d’origine? E cosa porti con te, nel tuo fare quotidiano di queste due identità apparentemente lontanissime?
Sono sempre stata affascinata dalla voglia del diverso. New York riesce a farmi vedere il mondo da più punti di vista, mi da un’estrema apertura mentale e appaga la mia curiosità. Dalla Val Gardena porto con me determinazione, costanza e pazienza. La mia vita è estremamente influenzata da questi due mondi così lontani. Al momento non riuscirei a fare a meno né di uno né dell’altro.
Sono felicissima di poter esporre in Alto Adige. Riportare a casa i miei progetti mi aiuta a concludere alcuni cicli di pensiero. Mi aiuta a fermarmi, a pensare e a ri-iniziare.
Photo:
Vera Comploj, “Conversation Pieces” – Part II, video still, 2016, 11 x 21 cm, archival pigment prints, ed. 1/5
Vera Comploj, portrait
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