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July 23, 2015

Cristina Rizzo e i gesti (danzanti) che ci connettono con il mondo

Anna Quinz

Incontro Cristina Rizzo in quello spazio urbano liminale che è la piazzetta che sta tra Museion e Casa Altelier. Nuovo spazio cittadino nato non tanto da progettazioni urbanistiche, quanto dal vivere quotidiano, dal passaggio naturale di persone che lì dove trovano un angolo di apertura, spontaneamente lo fanno proprio e lo trasformano.
Cristina Rizzo è danzatrice e coreografa, dalla lunga e prestigiosa carriera. Si trova a Bolzano perché è una delle protagoniste di Bolzano Danza, dove è impegnata con due progetti. Da un lato BoleroEffect, che vedremo al Teatro Comunale venerdì 24 luglio, dall’altra Techno Casa Plus, progetto di videoarte e performance che già è “andato in scena” a Museion Passage nei giovedì passati e che di nuovo prenderà vita giovedì 23, questa volta con la stessa Cristina tra i performer. 
Cristina è una donna minuta, con quel corpo nervoso e vitale, tipico di chi lo educa quotidianamente con la pratica della danza. Parla lentamente, fa lunghe pause, come a cercare sempre le risposte più giuste, dando un senso profondo ad ogni parola che pronuncia. Nulla è sprecato, nulla è di troppo, nulla è superfluo. Ogni sillaba ha senso ed è sensibile, nell’economia di un racconto che procede lineare intervallando le mie domande e arricchendole di quelle risposte che voglio sentire, che non mi aspetto di sentire. La nostra chiacchierata è piacevole e densa, spazia dalla danza al mondo contemporaneo con tutte le sue follie, idiosincrasie e bellezze. 
Qui quello che Cristina mi ha raccontato, come un regalo che lei ha fatto a me e che io faccio a voi.

Cristina, cosa ci porti al festival? E in che modo questo progetto coreografico si inserisce nel tema di questa edizione FE|MALE?

Lo spettacolo che presenterò al festival si chiama BoléroEffect, ed è un lavoro che parte dal Boléro di Ravel, e lo trasforma, lo trasfigura. Tanto che il Bolero non c’è, dal punto di vista musicale. In scena siamo due danzatrici. Ma in realtà sul palco siamo in tre perché c’è anche Simone Bertuzzi, Palmwine, Inverno muto, che è un artista visivo che da tempo fa una preziosa ricerca musicale. L’ho coinvolto specificatamente per questo progetto, perché mi interessava mettere in discussione la questione del Boléro di Ravel, relazionandolo a tutta la ritmica della musica da ballo di ultima generazione, cosiddetta post coloniale, quindi tutto ciò che si produce e si sente in questo momento nelle dance hall, nel mondo, parlo soprattutto di America latina, ma non solo. Assieme abbiamo costruito una sorta di partitura sonora che Simone suona dal vivo come dj e quindi è in scena con noi e segue l’idea dell’”effetto Boléro”. L’effetto è una struttura musicale basata su un’accumulazione di ritmo, un crescendo, che porta a un’esaltazione ritmica e corporea.
Il lavoro sul corpo è portato sul palco da me e un’altra danzatrice, Anna Maria Ajmone, che è anche coinvolta in Techno Casa Plus. In scena viene presentata la relazione continua tra queste due figure che mettono in campo un’energia erotica data da un climax energetico che pian piano emerge e coinvolge completamente anche il pubblico. Lo spettacolo ha una risposta sul pubblico molto bella, perché viene coinvolto anche se seduto, e sente l’impulso di mettersi a ballare. È come un’onda energetica che esce fuori e ritorna, in un continuo. Forse il legame con la tematica del festival, è la presenza di un’energia femminile molto sottile ma anche molto evidente che emerge. Anche la differenza tra la mia presenza e quella di Annamaria che siamo due psico-fisicità simili ma dissimili, amplifica il concetto di energia femminile che si dispiega completamente in uscita.

1Parliamo invece di Techno Casa Plus. Altro luogo, altro contesto, altri partner di progetto…

Techno Casa è progetto di Riccardo Benassi, iniziato nel 2011. Il progetto prevede 11 video ideati e prodotti da Riccardo, caratterizzati da un testo in sovraimpressione che scorre su una banda rossa. I testi, sono una forma di narrazione con una qualità molto affettiva, è un soggetto che narra in prima persona e che parla delle sue visioni rispetto alla contemporaneità e al mondo.

In primis, quando mi è stato proposto di reinventare questo progetto sulla facciata del Museion e all’interno della struttura, l’elemento che più mi ha attratto è stato proprio, questo “piano” di narrazione dato dai testi di Riccardo.

Poi, in realtà, quando mi sono incontrata con Riccardo e abbiamo iniziato a parlarne, ho capito che il progetto Techno Casa possedeva degli elementi concettuali molto più ampi.
La casa non è intesa nel senso letterale, stretto ma viene intesa come un abitare il mondo. La casa è l’ufficio, lo smartphone che tutti ci portiamo appresso, e anche il corpo.
Per me il lavoro è nato sul rapporto che intratteniamo con la tecnologia, che è diventata parte del nostro vivere e del nostro agire. Del gesto che attuiamo nel mondo, che di conseguenza è molto vicino all’idea di corpo; idea che mi interessa particolarmente in questo momento, ma che deriva anche da tutte le mie precedenti esperienze di lavoro.
Mi piace considerare il corpo come un oggetto, un oggetto nel mondo, in relazione con esso. Non c’è un’accezione negativa in questa oggettualità, è anzi un’apertura a 360°. Mi appassiona il modo in cui il corpo si posiziona nel mondo, che postura ha, come lo attraversa e lo agisce. Un corpo non normalizzato, ma consapevole al 100% di tutti i livelli estetici, che oramai siamo abituati a guardare, assecondare e ad inglobare nel nostro vivere. Dunque un corpo che non esclude niente ma che è capace di elaborare e di rendersi molto specifico. Ed è proprio qui che si trova tutta la relazione con il Plus, Un’aggiunta al titolo Techno Casa voluta da noi perché il “plus” identifica l’elemento corporeo che entra in gioco.

Techno Casa aveva come sottofondo nell’idea di Riccardo, anche la relazione con gli oggetti, e un po’ come conseguenza, ad un certo punto  ci si è collegati a questo immaginario legato alla Technogym,  alla palestra nel senso più contemporaneo possibile, la macchina ginnica supertecnologica di ultima generazione.

Come è stato, per una coreografa che fa un certo tipo di lavoro sul corpo, interfacciarsi con uno strumento come la macchina da palestra, solitamente non usata nella danza (e magari a volte perfino “snobbata”)?

Il primo approccio per me è stato esilarante. Ritornando al discorso di prima, considerando il corpo come un oggetto che ha una postura nel mondo, l’idea di poterlo interfacciare con altri oggetti mi è parsa fantastica. Ho avuto bisogno di un po’ di tempo per capire cosa dovesse accadere e se dovesse accadere qualcosa. Come vedrete, il corpo e la macchina appariranno come posizionati su uno stesso piano. La macchina da palestra viene utilizzata sia in quanto macchina ginnica, quindi uno step è uno step, una cyclette è una cyclette… ma non si limita a questo, diventa un oggetto in grado di trasformare il corpo, un oggetto su cui appoggiarsi e che fornisce la possibilità di trovare delle estensioni e delle forme altrimenti impensabili. A livello di concetto e pensiero, l’idea era quella di non far prevalere il copro sulla macchina né viceversa. Ci si trova di fronte ad una grande installazione che attraversa il museo, e questa idea è amplificata dalla striscia di feltro rosso che passa attraverso e riporta a un’idea di fuga. C’è anche un concetto di spazio molto preciso, è uno spazio non geometrico, non euclideo, ma uno spazio già è amplificato. Riconducibile a un’ellisse, a una proiezione verso il futuro, verso lo spazio interstellare, che riconduce a sua volta all’idea di propulsione.

1Nel tuo periodo di permanenza a Bolzano, hai vissuto nella Casa Atelier di Museion. Com’è abitare in questo luogo così anomalo?

Casa Atelier è un luogo molto affascinante. Non è molto abitabile, questa è una sensazione che abbiamo avuto un po’ tutti ed è emersa fortemente anche in modo diverso per ognuno. Ti viene chiesto di rimettere in discussione la modalità in cui stabilisci le tue coordinate rispetto allo spazio in cui vivi. Io la chiamo “La scatola”, è una scatola dove devi ristabilire le coordinate perché altrimenti ti ingloba e ti dà un senso di chiusura, non ti mette a tuo agio, non è un luogo di confort. Devi viverlo nella sua verticalità, nella sua geometria osservarlo e percepirlo.

Nasce come luogo di passaggio, per ospitare artisti mentre stanno sviluppando un lavoro e un pensiero. Come vi ha influenzato, nella creazione del progetto coreografico?

Dialogando con gli interpreti di questa performance sono emerse molte cose, per via del mio modo di lavorare, dove cerco di costituire una situazione in cui ognuno ha la sua autonomia, la sua autorevolezza, ma deve assolutamente predisporsi all’altro. Questa è un’informazione che io do nel mio modo di relazionarmi e anche nelle pratiche di lavoro e corporee che propongo. In questo periodo tutto si è svolto con una certa vicinanza sia abitativa che di spazi, ed ha contribuito a stabilire questa dinamica relazionale molto forte.

Tornando a un tema che entra in Techno Casa Plus e che si allarga al “tutto”, tu che rapporto hai con la tecnologia, la comunicazione, i social media, come individuo e come professionista?

Li accetto e li assecondo nel senso più positivo possibile, li sento come uno strumento che non va assolutamente negato, ma va amplificato, bisogna però usarli in maniera intelligente. Sono lo strumento di comunicazione in questo momento, io li sento come una risorsa molto pericolosa per certi versi, proprio perché tutto il mondo si esprime lì. Per me è estremamente interessante usarli come interfaccia, più che sfruttarli, preferisco amplificarli nella loro possibilità. La tecnologia la sento come una grande risorsa per il nostro futuro umano, solo che ci vuole la giusta mediazione. Soprattutto il social media mettono in campo anche una questione politica rispetto a cosa è il copyright, rispetto al dominio. Sono i nuovi confini, che aprono i confini. Alla fine li uso nella maniera più diretta possibile, per comunicare il mio lavoro o per entrare in contatto con il lavoro degli altri. Ma percepisco che c’è un potenziale molto più forte.

Sei stata a Bolzano a lungo ultimamente, che impressioni hai collezionato su questo luogo particolare?

Lo sento come un luogo molto speciale e ne sono molto attratta. Bolzano è un posto curioso, al primo impatto sembra non essere in Italia, ma poi pian piano si scoprono altri aspetti, anche relativi alla storia di questa città. Appare come un territorio molto contraddittorio, da una parte è una piccola cittadina, sembra che tante cose manchino, ma arrivano anche sensazioni di grande apertura che ad esempio in una città come Firenze, dove vivo, non sento. Poi attorno c’è una natura molto potente, che manda delle informazioni molto decise, a livello energetico percepisci qualcosa di forte. Mi pare che ci sia un potenziale continuo che batte da qualche parte, non saprei dirlo in altro modo. C’è un festival come Bolzano Danza che è da molto tempo in questo territorio, ci sono Museion e arge/kunst, realtà che mi ha colpito molto… è tutto piccolo, ma con un potenziale energetico molto forte.

 

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