Diario semiserio di un musicista fuori sede #11. La grande attesa

Diario semiserio di un musicista fuori sede #11. La grande attesa


Di grandi attese ce ne sono due in questa pagina di diario.

La prima è la pagina stessa che ha snobbato la sua regolare scadenza ed è stata scritta la sera del giorno in cui doveva uscire (ignorando con gran classe anche la seconda scadenza, ma si sa l’attesa rende belli [tenete comunque basse le vostre aspettative su quanto state per leggere]).
La seconda è l’oggetto della pagina di diario.

Per raccontarvi le mie eroiche gesta devo tornare indietro nella notte dei tempi. Era il lontano 25 febbraio 2014, il tempo fuori era impervio, terribili brezze scuotevano gli alberi e le nuvole scrosciavano lungo i viottoli implacabili. Facendomi strada attraverso la tempesta inesistente i dirigevo in quel luogo di angoscia e perdizione che è il conservatorio di Padova.

Premesse: una certa strafottenza e sommarietà del mio carattere mi porta a ritenermi pronto quando non lo sono affatto o a non ritenere di aver bisogno di preparazione alcuna prima di una prova. 

Quel tempestoso giorno sereno avevo tre esami, tutti e tre con la stessa commissione. Avevo studiato tre giorni. Uno di quei giorni ero andato a Montebelluna per una prova pubblica di un esame che avrei accompagnato la settimana dopo. Dunque sostanzialmente avevo studiato due giorni. Male. Distraendomi ogni venti minuti.
Beh quello è colpa di internet.

Comunque tornando a quella lieta giornata, mi proponevo ogni ora e mezza che passava di accettare gli esami con un voto sempre più basso, “tanto valgono solo due crediti, non contano nella media” (illuso, quasi tutti gli esami da noi valgono due crediti quindi valgono tutti uguale eccetto l’esame di strumento e altre eccezioni). Arrivo là baldanzoso, cerco già di impressionare i professori alla domanda “Che esami dai?” “Tutti”. Cerco uno sguardo di approvazione, una fonte di rassicurazione, uno mi guarda piacevolmente stupito, i restanti comunicano il gelo. Forse ho scorto un sopracciglio inarcato. Non vorrei azzardare affermazioni pericolose però.

E vabbè, salgo le scale speranzoso, non vedo l’ora di togliermi quei tre esami, in modo da potermi dedicare di più allo strumento, chissà quando mi mettono, spero fra i primi o almeno in mattinata.
Ah, povero illuso. Il motivo per cui questa distratta pagina di diario si chiama “La grande attesa” oltre a parafrasare un film di cui si parla proprio poco in questi giorni (in realtà una mia geniale strategia per attirare qualche sprovveduto internauta che pensa possa riguardare il film e invece si trova qui a leggere i miei sproloqui), dicevo il motivo per cui si chiama così è proprio che son finito ultimo. Per fortuna. Per sfortuna.

Perchè per fortuna? Semplice, ho ripassato tutto il tempo, interrogando e facendomi interrogare. E ovviamente non sapevo pressochè nulla se non qualche frammento che mi era interessato e conoscenze personali precedenti (che mi hanno sempre salvato), dunque è stata una benedizione perchè proprio su una delle cose ripassate col mio fido compagno di attesa Luca ho deciso uno dei tre voti. Per sfortuna perchè sono arrivato in conservatorio alle 8.45 e ho sostenuto l’esame alle 18.15 e son rimasto dentro un’ora. Ho finito di parlare alle 19.15, il che fa un totale di dieci ore e mezza (c’ho messo più tempo del previsto a fare il calcolo, sarà la stanchezza coffcoff). Durante quell’attesa ho fatto di tutto. Davvero, tutto. Gironzolato in ogni angolo del conservatorio, parlato con gente, preso cose alle macchinette, preso altre cose alle macchinette, giocato a QuizDuello, poi la gente ha smesso di rispondere alle mie partite e io ho esaurito i giochi dopo breve, mi son messo a girovagare per internet, ho mangiato caramelle alla menta della bibliotecaria per tenermi sveglio (non ci credereste nemmeno, mi hanno salvato la vita), sono arrivato alle 18 ad essere l’unico in sala, l’altro ragazzo dentro a farsi interrogare, il conservatorio ormai vuoto eccetto qualche studente nelle aule, mi sono messo a fare piroette su me stesso per tenermi sveglio (e per nutrire la mia vocazione da ballerino ovviamente). Per poco non mi sono sfracellato contro una poltrona ma poco conta, almeno non mi sono addormentato.

E infine venne il giorno. Si aprirono le porte, fulmini e saette, mastini infernali, il terrore che finalmente si ricorda che non hai studiato abbastanza e improvviserai tutto basandoti sulla tua parlata d’effetto come hai sempre fatto in ogni esame. In realtà c’erano i professori riversi sul tavolo dopo essersi fatti oltre dieci ore di esami senza mai fermarsi, facendo i turni per mangiare o andare al bagno pur di finire gli studenti entro quella giornata, ma è più epica a ricordarmela in quest’altra maniera.

Entro, mi siedo, faccio già il brillante, alla fine mi conoscono, spero che siano clementi per la mia ben nota simpatia (illuso di nuovo), inizio a rispondere alle domande, me la cavo egregiamente senza sapere una leppa di nulla, ma vabbè è la storia della mia vita. Dicono che sia una capacità anche questa. Ho capito che avevo raggiunto il limite quando ho iniziato ad incastrarmi con le consonanti causa stanchezza. Dopo aver detto “influenzarsi a vicenza” anziché “a vicenda” mi son reso conto che desideravo solo prendere, tornare a casa, bermi una birra e svenire in un angolo.
E più o meno così è stato, esami fatti, voti conclusivi a dir poco sorprendenti, mi autopremio per aver fatto un tris di esami con birra, focacce, frittelle e pasta al tonno. Comunico a mia madre il mio novanta con lode, svengo in un angolo, dormo beato del sogno del vincitore. Non del giusto, ma almeno del vincitore.

 

Detto questo, buona notte.

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