People I Know. Aldo Menini: formazione, cosmetici e scrittura, per un Alto Adige migliore

27.11.2013
People I Know. Aldo Menini: formazione, cosmetici e scrittura, per un Alto Adige migliore


Aldo Menini ha 36 anni e quando era adolescente sognava di fare lo scrittore. Alla maturità scientifica la commissione d’esame era soddisfatta dei suo risultati nella parte umanistica, è gli ha consigliato di intraprendere quella strada, tralasciando la parte tecnica. E lui, infatti, ha scelto di studiare economia, a Bologna. “Era come rifare il Liceo – racconta Aldo – è uno studio vario che spazia da matematica a storia, una scienza sociale, che trova strumenti tecnici per misurare la società”. Studiando e facendo un po’ di lavoretti qui e là, Aldo ha scoperto che gli piaceva fare formazione, e ha deciso di intraprendere una carriera in questo settore, prima per una società, poi come libero professionista, infine aprendo lui stesso, insieme ad un amico tecnico, la sua società nel 2009. Oggi Aldo si occupa di formare operatori del settore wellness e turismo, e ha pure creato Dolomitika, un’azienda che produce prodotti cosmetici. Ma il sogno di ragazzino non si è mai spento. Aldo ha già pubblicato un romanzo, “Puma” – naturalmente un romanzo cosiddetto “di formazione” – e ne sta scrivendo altri. Papà di un bimbo di 5 anni, è un uomo impegnato e determinato, un imprenditore che grazie al sangue della scrittura che gli scorre nelle vene, riesce a guardare al di là del proprio naso, cercando ogni giorno di fare il meglio per sé, la sua famiglia e la sua terra, della quale – dice – è profondamente innamorato.

Parliamo di turismo, settore che conosci “dall’interno”. Pregi, difetti, riflessioni?
Credo che l’Alto Adige abbia un potenziale culturale ancora inespresso. Era certamente più facile valorizzare le montagne, la natura, il vino ecc, che non la storia controversa, strana particolare di questa terra. Molti dei turisti che arrivano sono italiani che cercano un certo esotismo pur stando in Italia; molti altri sono tedeschi che vengono perché amano andare all’estero, ma dove si parla tedesco. Pochi di questi conoscono la nostra storia, che invece è interessantissima. E anche noi la conosciamo poco, lo vedo quando faccio formazione: chiedo cose banalissime su di noi (anno di annessione all’Italia?) e pochi sanno rispondere. Secondo me c’è tutto l’interesse a mantenere lo status quo, anche se devo dire la verità, vedo dei cambiamenti. Il mio bimbo fa la prima elementare e studia già molte cose in tedesco, ha compagni di madrelingua tedesca… insomma, qualcosa si muove.

Anche tu fai qualcosa di concreto, perché le cose si muovano davvero?
Nel mio piccolo cerco di far qualcosa per portare avanti un miglioramento, un’apertura, per toglierci di dosso il provincialismo. Da ragazzino giocavo a basket e negli ultimi anni ho ricominciato a giocare con la vecchia squadra coinvolgendo anche gente dell’università. Inizialmente ci sono stati attriti e difficoltà, gente mai uscita – esagero – dal quartiere Don Bosco si trovava a giocare con un lituano, un serbo, un brasiliano. Ma lo sport, come l’arte, è veicolo più veloce di altri per unire le persone. E oggi dopo 3 anni i risultati ci sono e c’è quell’intesa che va oltre le parole.

Che disponibilità verso il nuovo c’è, invece, nel settore turistico, secondo te?
Non tantissima, ci sono però eccezioni che confermano la regola. Tendenzialmente non c’è bisogno. Abbiamo un paesaggio meraviglioso e curato (non a caso, però, non è di certo piovuto dal cielo), ovunque c’è qualità di vita alta o almeno media. Quindi se anche non si è fortissimi in comunicazione, ad esempio, si perde magari un cliente oggi e se ne trovano 2 domani. È naturale che sia così, finché non emergeranno altre mete con qualità superiore. Io non mi lamento, amo quel che faccio e dove lo faccio. Ma non vedo eccellenze. La maggior parte delle aziende e degli hotel in Alto Adige sono di dimensioni medie e se anche grossi e con grandi fatturati, sono principalmente gestiti dal nonno che urla alla nipote che a sua volta urla al padre. Questo rischia di diventare un problema.

La tua passione è la scrittura, quale il tuo percorso, quali i sogni le aspirazioni?
Chi fa l’artista o se lo può permettere oppure è così coraggioso da farlo rischiando tutto. Io non rientravo in nessuna delle due casistiche e ho deciso di conservare il sogno, cercando di arrivarci con le mie forze. Nel corso degli anni ho capito che quel che facevo per arrivare mi piaceva altrettanto: fare formazione è casa mia, entro in aula stressato ed esco felice; fare imprenditoria è divertentissimo perché ci metti del tuo, è un modo di fare arte. Però conservo la passione per la scrittura. Ho pubblicato un romanzo, 1000 copie niente di che, ma è stato comunque un bel traguardo. Io lo definisco “sceneggiatura”, fa l’occhiolino al cinema, e direi che il mio stile è questo. Ora sto scrivendo altri libri: un saggio su Bolzano insieme al mio migliore amico (che a differenza mia è rimasto a vivere in giro per il mondo e mi serviva la sua visione da outsider) e poi un altro romanzo con occhio cinematografico, che è quello che mi ispira di più. Insomma, a 17 anni era sognare la vita d’artista, ora invece è il piacere di scrivere. 

SHARE
//