Giovani pianisti e scodelle in testa: intervista ad Alexander Romanovsky

Giovani pianisti  e scodelle in testa: intervista ad Alexander Romanovsky


Quando ho chiesto di intervistare Alexander Romanovsky, il giovane pianista che a 17 anni si portò a casa il primo premio del Busoni e domani sera si esibirà con la EUYO per la gioia delle nostre orecchie nel secondo concerto di Prokofiev – dicevo, quando ho chiesto di intervistarlo, mi immaginavo come l’anno scorso un’entusiasmante chiacchierata al bar o un’intervista con il conservatorio come sfondo, con la possibilità di fare anche un video.

Quando invece mi ha chiamato Barbara per dirmi che potevo intervistarlo alle 5, ingenuamente ho chiesto “Dove?”.

Illuso.

La risposta è stata “Al telefono! Ti ho inviato il numero via mail!”. Erano le 4 e mezza. E’ seguita mezz’ora di panico.

Non mi era mai capitato di poter fare un’intervista al telefono, non ero psicologicamente pronto. Con che telefono chiamare? Avrò abbastanza credito? Il vivavoce è abbastanza forte? Ho abbastanza strumenti per registrare? E se uno fa cilecca, ne ho un altro con cui registrare in contemporanea? E le domande, le domande!, forse è il caso di scriversele?

In un raptus di follia mentre travasavo marchingegni a caso sul tavolo in cucina ho afferrato la prima cosa che ho trovato sulla mia scrivania, ossia una scodella di plastica (non fate domande) e l’ho calcata in testa in cerca di rifugio e protezione.

Alle 5 in punto ho telefonato a Romanovsky  con una scodella in testa e, a facilitarmi la vita, ha risposto in italiano. Per fortuna il nostro giovane pianista nel 97, a soli 13 anni, si è trasferito in Italia dall’Ucraina per seguire il suo maestro, il che ne fa un particolare punto di incontro fra la cultura russa e quella occidentale, come egli stesso afferma. Il concerto di domani inoltre si può dire essere stato modellato a sua forma. La scelta del repertorio per il concerto, infatti, crea proprio un ponte d’incontro fra le più varie culture.

Ravel, compositore francese dallo spiccato gusto spagnoleggiante nel suo storico Bolero, Moussorgskij, i cui Quadri d’un esposizione (che Richter definì come la più grande opera pianistica russa) furono orchestrati proprio da Ravel, e Prokofiev, compositore russo che viaggiò molto e trascorse molti anni all’estero, frequentando i più importanti centri culturali europei e americani e conoscendo fra i molti anche il sopracitato Ravel.
Da Alexander Romanovsky ero intenzionato a scoprire la sua visione sia come giovane pianista che come punto di incontro fra due culture. Qualcosa ancora lo potrò chiedere domani alle 12.30, quando lo incontrerò, allora sì!, per la classica chiacchierata e intervista video al bar, ma intanto mi sono accontentato di porgli i miei quesiti più succulenti.
Con tutte le difficoltà del caso, telefoni che non prendono, segnali disturbati, difficoltà di comprensione, strumentazione che non parte, ansia e quant’altro, l’intervista è andata decisamente bene. Il giovane pianista è stato di una disponibilità e gentilezza rare e soprattutto ha saputo rispondere agilmente ad ogni mia domanda. Nell’ordine inverso rispetto a come gliele avevo poste, ma questo è un problema minore.

Rispetterò la volontà del pianista e vi proporrò ora, al contrario e fresca fresca di registrazione, la mia telefonata con lui. Nel dubbio e temendo di offenderlo (molto probabilmente un timore a vuoto!) anziché del tu gli ho dato del lei e così abbiamo proseguito.

Dal ‘97 si è trasferito stabilmente in Italia. Cos’ha al giorno d’oggi il nostro Paese da offrire sul piano musicale, che potrebbe renderlo un luogo interessante per un giovane pianista?
Io mi sono trasferito in Italia per seguire il mio maestro, che era ucraino, ma, come ho scoperto più tardi, è stata una cosa molto bella per me, perché l’Italia mi ha dato molto, soprattutto dal punto di vista umano e personale e dello sviluppo della mia personalità. Ciononostante sono sempre rimasto nell’ambito della scuola russa, noi siamo molto fieri delle nostre radici! Poi riguardo alla sua domanda su come l’Italia possa essere interessante per un giovane pianista, è una domanda complicata, perché viviamo in un tempo difficile per la musica, per molti aspetti della vita certo, ma soprattutto per la vita culturale. Non solo per l’Italia, ma per tutto il mondo è complesso dire cosa di particolarmente buono un pianista possa trovare in uno Stato piuttosto che in un altro. Sicuramente in Italia ci sono alcune realtà che offrono ispirazione e nuove strade per dei giovani pianisti, ma purtroppo oggi sono un po’ come dei fari, che non riflettono la situazione generale. Un po’ come questo festival a Bolzano per cui suoneremo domani, che è organizzato in una maniera molto moderna, a partire dai programmi offerti fino all’aspetto estetico con cui viene presentato. Secondo me per rendere più popolare la musica classica dobbiamo non cambiare la musica, ma cambiare il modo in cui viene presentata. A volte è importante far vedere, per attirare un pubblico giovane, come è poi sulla bocca di tutti, che ci sono anche artisti giovani capaci di dare prestazioni di un certo livello, in modo da poter attirare più giovani anche nel pubblico. Io sono convintissimo di questo, perché tutti pensano che la musica classica sia una cosa fatta da vecchi, ma è un concetto totalmente sbagliato. Per questo sono contento di poter suonare con un’orchestra di giovani!

Non capita spesso infatti di poter suonare con un’orchestra giovanile del calibro della Euyo. Oltre alla sempre citata energia dei ragazzi, quali sono i lati positivi del collaborare con un’orchestra giovanile tale?
Sono ragazzi scelti da tutta Europa, sono davvero fra i migliori che ci siano oggi, hanno passato un concorso non dico paragonabile al Busoni, ma molto molto duro. Quello che mi ha colpito tantissimo in questi giorni, perché abbiamo già fatto una tournée con questi giovani, questo a Bolzano infatti è il mio ultimo concerto, è che loro non sono solo dei musicisti di prima classe, ma sono anche delle persone stupende. E questo mi dà una grande speranza in questi tempi. Anch’io alla fine sono uno di loro, sono molto giovane (ha 29 anni!) e il futuro è nostro. Però abbiamo una grandissima responsabilità, perché da noi dipende come sarà la musica nel futuro e anche quali valori umani diventeranno importanti. Io ho visto in questi giovani dei grandi valori. Ho conosciuto molti di loro anche personalmente, cosa che in un’orchestra quando succede è sempre un miracolo. E questi giovani li ho trovati molto puliti, vengono da più di venti paesi europei, però ho trovato un’incredibile unità di spirito e di valori. Questo mi dà una grandissima speranza per il futuro. Oggi siamo troppo presi dal lamentarci di come vadano male le cose e non vediamo più le persone che hanno degli scopi nobili, mentre la vita negli ultimi tempi mi sta facendo vedere che le persone buone ci sono e bisogna crederci e andare avanti.


Nato in Ucraina, lei si è formato secondo la storica scuola russa. Qual è il suo approccio nei confronti dei compositori russi, come appunto Prokofiev, di cui eseguirà il secondo concerto domani sera? C’è un approccio particolare per chi ha studiato secondo questa scuola o è sempre un discorso personale?
Sicuramente io ho un grandissimo vantaggio, ossia le radici sono ucraine e sono russe e io posso appoggiarmi su un’esperienza grandissima che mi hanno dato i miei maestri. Dall’altra parte è personale, perché io sono cresciuto qui in Italia e ho passato degli anni importantissimi qui e sono anche per alcuni aspetti italiano e conosco la cultura occidentale molto bene. Questo mi consente di avere una visione molto, come dire, vasta, perché mi trovo a casa sia con la cultura occidentale che con la cultura russa. Ovviamente per me suonare musica russa è un po’ come sentirmi a casa, come per gli Italiani l’opera. E alcuni aspetti dell’anima russa sono molto mistici e profondi e difficili da spiegare a parole, ma io mi sento completamente a mio agio con questo. E sono molto contento di poter suonare questo concerto di Prokofiev. Dopo tutto Prokofiev, come anche Rachmaninov è un compositore che ha passato una parte della loro vita in Russia e un’altra parte in occidente. E io ripeto un po’ il suo percorso, dunque per questo, forse, proprio loro mi sono molto vicini.

E così si è conclusa la prima parte dell’intervista, più avventurosa di quanto potessi aspettarmi, soprattutto considerando che è stata fatta in cucina, dove di storie avventurose non sono solito passarne.

Questo è quanto, avete potuto leggere i pensieri del giovane Alexander Romanovsky e spero di avervi solleticato a sufficienza perché decidiate di fare una giusta follia e prendervi un posto al concerto che si terrà domani, martedì 13 agosto alle 20.30 al Teatro Comunale.
Io sarò là ad aspettarvi, magari con un po’ meno ansia e meno scodelle in testa.

SHARE
//