“The Evil Traveling Show”, Brecht e Wedekind alla Lunga Notte della Ricerca

“Cosa ha a che fare mia figlia con l’astronomia? Le fasi di Venere influiscono in qualche modo sulla curva delle sue chiappe?”. Con questa domanda, messe in bocca da Bertolt Brecht ad un Galileo messo sotto sorveglianza dal Sant’Uffizio, s’inquadra una delle questioni fondamentali del nostro tempo: il rapporto tra scienza e società. Un tema capitale, che una lunga notte dedicata alla ricerca scientifica non può non metterci sotto il naso in tutta la sua complessità… prima che l’alba ci ributti, scienziati e non, nelle nostre faccende quotidiane tutti affaccendati. Sarà per questa ragione che la Biblioteca dell’Università di Bolzano ospiterà domani (28 settembre, ore 21), nell’abito della rassegna La Lunga Notte della Ricerca 3.0, lo spettacolo di teatro-canzone “The Evil Traveling Show” (regia di Antonia Tinkhauser), basato sul repertorio di Wedekind e Brecht? Ne abbiamo parlato con Gabriele Muscolino, voce e chitarra dei Nachtcafe, tra i principali artefici del progetto.
Come nasce questo progetto?
Il progetto è stato commissionato dall’Università di Bolzano per la “Lunga notte della ricerca”. Molte delle canzoni che eseguiremo sono, infatti, il frutto di una ricerca svolta nel corso di un dottorato all’Università di Trento, sul grande drammaturgo tedesco Frank Wedekind, il quale fu anche un prolifico chansonnier. A quest’idea iniziale si sono unite altre spinte, come una vecchia idea di mettere in scena assieme a Matteo Facchin e Antonia Tinkhauser il materiale di Wedekind e quella di eseguire assieme a Benno Simma un repertorio di cabaret tedesco di inizio ‘900… è Benno ad avere inserito nello spettacolo il filone brechtiano. Alle canzoni fanno da contorno anche un paio di poesie di quell’altro grande genio espresso dalla cultura tedesca di inizio Novecento che fu Erich Kästner.
Alla base del progetto c’è un super-gruppo di otto musicisti, molti Nachtcafe, Benno Simma, Cuzzolin, Mezzalira… Si tratta di una collaborazione estemporanea o pensate di dare al progetto un seguito?
Lo spettacolo è a tutti gli effetti una piccola pièce, di per sé dunque è autonomo, ogni parte può essere eseguita da altri musicisti. Tuttavia, l’arrangiamento dei pezzi è nato dalla collaborazione di tutti, sia pure sotto la supervisione mia e di Benno. E sicuramente è un programma che questa formazione potrebbe portare in giro.
Ciascuno dei componenti del gruppo ha un nome d’arte, Bert, Frank, Jewface… semplici nomi o vere e proprie maschere teatrali? La sequenza delle canzoni è sostenuto da un impianto drammaturgico?
Ogni personaggio è una maschera teatrale, ha dei suoi tratti particolari: ci sono Bert e Frank, i due padroni della combriccola, l’uno il gigione e l’altro il cieco che ci vede benissimo; poi il finto mostro decerebrato, l’avaro, il cinico zoppo, il mammone, il finto sordo… e via dicendo. I nomi richiamano i personaggi dell’avanspettacolo americano dell’Ottocento: tutte figure che mettono assieme una specie di sottoproletariato umano e artistico, che si muove tra malavita e spirito gaudente. La trama è tenuta a un livello molto semplice, affinché al centro restino le canzoni, e si può riassumere davvero in due frasi: Bert e Frank dirigono un emporio ambulante di medicinali, vendendo i propri finti elisir, cioè le canzoni e le poesie, al pubblico, nel corso di un traveling show. I due, però, non pagano i sei musicisti-schiavi che lavorano per loro e questi cercano di fare una rivolta contro i padroni-schiavisti.
Come è stato scelto il repertorio? Perchè Brecht e Wedekind oggi, 2012?
Perché le idee della nostra epoca sono state inventate all’inizio del Novecento. Fu un periodo esplosivo, un’età giovane che sapeva di esserlo, pensa al titolo di quella rivista, “Die Jugend”. Così come noi siamo un’epoca vecchia, e sappiamo di esserlo. Queste canzoni ti aiutano perciò a capire la nostra realtà, perché semplicemente hanno testi potenti, con ogni probabilità migliori di quelli che sapremmo scrivere noi. Sanno mettere in chiaro le forze fondamentali che ci muovono, sesso, morte e denaro. Allora furono scandalose, perché era la prima volta che si diceva: “Non si possono più affermare i valori positivi. Si devono esibire in modo esponenziale quelli negativi”. Che è esattamente quello che ha fatto tutto il Novecento e continuiamo a fare noi. Oggi, invece, a noi ci mettono in zucca un po’ di quel sale che spesso ci manca.
L’evento s’inserisce nella “Lunga notte della ricerca”… come a dire che il futuro della ricerca scientifica debba fare in qualche modo i conti con Brecht, è così?
Direi che è come affermare: esiste una ricerca che non è scientifica, ma umanistica. Sono due cose diverse. E che siccome noi siamo il frutto del nostro passato, e non viceversa, è la ricerca umanistica che ci fa conoscere il passato e ci aiuta ad avere un’idea di noi stessi, una teoria su noi stessi. La teoria è più importante della pratica… magari Brecht mi sparerebbe per quest’affermazione, ma magari no.