Busoni, Museion, Michail Lifits e i tre aspetti imprescindibili di un concerto

Tre elementi costituiscono la base, a mio parere, di un concerto solista: il musicista, il programma eseguito e la sala da concerto.
Il concerto di ieri sera per il Festival Busoni vanta un voto diverso per ciascun elemento.
Sorprendente il musicista, decisamente maturato rispetto alle sue esibizioni sia al concorso Busoni del 2009 che alla masterclass dell’anno successivo con Alfred Brendel. Modesto, senza esagerazioni, tecnicamente valido, solo a volte un po’ brusco. Un giovane pianista in carriera che si distingue particolarmente sul campo mozartiano, come il suo ultimo cd dedicato al compositore di Salisburgo ha ampiamente dimostrato. Quasi nulla da riprendere dunque, voto positivo. Peccato per qualche colpo un po’ aspro e ruvido, ma suvvia, il livello è indubbiamente alto e continuerà a salire e maturare. Personalmente ho apprezzato anche l’assenza di eccessivi movimenti ed espressioni facciali, bruttissima tendenza di molti pianisti decisamente sgradevole da vedere. Ed un concerto fa leva anche sulla vista, non solo sull’udito!
La sala da concerto si merita un voto mediamente positivo. Innovativo il concerto al Museion, particolare l’ambiente, non cattiva l’acustica, con grande sorpresa, ma piccola la sala, che ha permesso sì un vero e proprio pienone, ma vi lascio immaginare il caldo soffocante causato da una sala troppo piena e un’evidente assenza di sufficiente aria condizionata. In ogni caso è stato decisamente piacevole variare dalle più comuni sale del conservatorio e dell’auditorium.
Il caldo tuttavia ha senza dubbio reso più insofferenti nei confronti di quello che riceve il voto negativo, ossia il programma deciso per la serata. Nonostante il pianista e l’ambiente, un concerto deve risultare di ascolto non troppo complesso. Insomma, senza girarci troppo intorno, non deve annoiare. Non è un cd che si può ascoltare distrattamente facendo altro o che si può interrompere e riprendere quando e dove si vuole. Tenere più di un’ora e mezza un pubblico seduto (intervallo escluso ovvio!) implica la scelta di un programma che alterni brani di diverso carattere, in modo che l’attenzione dello spettatore medio (non possiamo esser tutti esperti e allenati) si riprenda. Insomma è buon uso, ad esempio, mettere un brano vivace dopo un brano più calmo e pacato, cosicché ci si possa sempre godere appieno la musica.
Il programma scelto da Lifits non è riuscito a centrare questo obiettivo.
Partito con una splendida Fantasia in re minore, seguita da delle ottime Variazioni in re maggiore su un Minuetto di Duport del collaudato Mozart, ha scelto come brano prima dell’intervallo le Variazioni su un tema di Corelli di Rachmaninov. Già la scelta di porre due variazioni una dopo l’altra non è stata delle più azzeccate (sostanzialmente la prima metà del concerto si è mossa su due soli temi), inoltre si tratta un opera che non è uno dei capolavori di Rachmaninov e la cui esecuzione non è stata, a mio avviso, delle migliori. Ciononostante andava ancora tutto bene. Eravamo solo a metà concerto.
Ciò che mi ha decisamente affossato è stato il duetto Schönberg – Schumann. Devo parlare di duetto perché non c’è stata praticamente interruzione fra l’ultimo dei Sechs kleine Klavierstücke di Schönberg e l’inizio di Kreisleriana di Schumann. Non è stato fatto nemmeno un applauso. Se questo sia avvenuto per sorprendere con l’inizio chiaramente romantico rispetto ai difficilmente digeribili brani di Schönberg oppure per svegliare il pubblico parzialmente sprofondato in catalessi, lo sa soltanto Lifits.
Non pago di aver terminato il concerto con quel brano meraviglioso ma in chiusura probabilmente un po’ pesante anche per la lunghezza (sarebbe stato forse meglio metterlo all’inizio?) che è Kreisleriana, ha eseguito come bis 8 minuti di Arabesque di Schumann. Un brano sicuramente non tanto movimentato da tenere viva l’attenzione del pubblico dopo un concerto simile.
Che gran peccato insomma! E’ stata comunque un’occasione per sentire dei bei brani ben eseguiti, seppure il mio giudizio per il concerto non sia di certo molto entusiasta. D’altronde è stata dimostrata chiaramente la maturità di Michail Lifits che sembra sempre più meritarsi davvero quel Premio Busoni guadagnato nel 2009.
Foto Gregor Khuen Belasi