Giardini di Mirò sabato al R’n’R Club. Da Cavriago all’Europa! L’intervista

Giardini di Mirò sabato al R’n’R Club. Da Cavriago all’Europa! L’intervista
Realtà di punta della scena indipendente nostrana, i Giardini di Mirò sono uno dei gruppi più rappresentativi del rock italiano in Europa. Con la loro originale ricerca sulla forma canzone – tra post-rock, noise, post-punk, dream pop e canzone d’autore – hanno saputo valicare i confini nazionali, realizzando collaborazioni con Hood, Dntel, Isan, Piano Magic e tanti altri. Da Cavriago (comune di 9mila abitanti della provincia reggiana) la visuale può essere molto ampia! Sabato i Giardini suoneranno al Rock’n’Roll Club di Bolzano, abbiamo intervistato Corrado Nuccini (chitarra, voce), uno dei fondatori del progetto nel lontano 1995.
Il vostro concerto si inserisce in un momento particolare, il locale presso cui suonerete sabato ha cancellato 12 date per scarsa affluenza di pubblico e si dibatte molto sull’accaduto. Girando l’Italia a fare concerti, qual è il vostro sentore in merito al movimento della musica live? C’è vita, c’è speranza?
Per noi questa è la prima uscita live da quando è esplosa quella che ormai tutti conoscono come crisi. Indubbiamente i chiari di luna si vedono, la difficoltà c’è e c’è un po’ in ogni settore, quello musicale compreso. In situazioni di difficoltà come questa il pericolo è che si riproponga la barbarie, sotto forma anche di involuzione culturale. Apprendere questa notizia dispiace anche a noi… Noi guardiamo a voi come un modello di riferimento, per quelle che sono le questioni culturali e sociali. Se la situazione è difficile anche da voi, questa è l’ennesima riprova che stiamo attraversando una crisi profonda su molti fronti. Ovviamente dalla vicenda di un singolo locale non si possono trarre conclusioni universali, ma da quello che vediamo in giro si può rintracciare un filo conduttore. Ad esempio è evidente che le band abbiano difficoltà a muoversi per via dei costi di autostrada e benzina. Questo aspetto, che pare banale, per molti è decisivo.
Ma al di là della crisi, volendo fare un po’ di antropologia da bar, anzi da web… Non stiamo assistendo, a tuo avviso, anche a una evoluzione di tipo culturale. Con internet, Youtube, I-Tunes, i talent-show, che spazi ci sono oggi per la musica live?
La situazione è complessa ed è difficile fare un’analisi lineare. Oggi “live” significa tante cose diverse… La mia impressione è che abbassandosi i livelli di “protezione sociale”, per cui ci sono sempre meno possibilità di fare cose sotto il grande cappello dell’amministrazione pubblica, ognuno ha la facoltà, e la necessità, di autodeterminarsi. Credo che la crisi offra una possibilità importante, quella di ricostruire degli spazi collettivi. Oggi i momenti di condivisione sono fondamentali e, per quanto ci riguarda, l’entusiasmo non manca. Per noi è importante stringere i denti e portare avanti il nostro discorso musicale indipendentemente dalle difficoltà contingenti. È comprensibile poi che, in una situazione di recessione, quelli che hanno nella musica un’attività economica, come ad esempio i club, vanno a cercare le cose un po’ più semplici, cose che probabilmente sono più sicure. Ma per il fatto che esista questa “via maestra” non vuol dire che non si possano provare ad esplorare vie più nascoste e meno al sole. In questa direzione si possono incontrare grandi sorprese e conoscere tante persone mosse da passioni autentiche… Per fortuna la musica è tutto questo. Non dimentichiamoci che la musica ha un’importantissima funzione aggregativa, è un momento di condivisione fondamentale. È uno di quei mondi da cui possiamo ripartire per creare spazi di aggregazione. Purtroppo tutto dice, in questo momento, che stiamo andando in direzione contraria, ma noi nel nostro piccolo cerchiamo caparbiamente di portare avanti la nostra missione.
Venendo ai Giardini di Mirò… Dal 95 ad oggi avete seguito una particolare evoluzione. Dal disco d’esordio Rise and Fall of Academic Drifting (2001), collocato nell’alveo ampio del post-rock, vi siete mossi nella direzione di un’originale forma canzone, sempre obliqua e sperimentale, fino ad arrivare al vostro ultimo lavoro, Good Luck (2012), sospeso tra power-pop e canzone d’autore. Come spieghi questa parabola?
Quello che dico sempre è che i gruppi non sono mossi dal desiderio di saltare da uno scaffale all’altro del negozio di dischi, passando ad esempio dal post-rock al rock tradizionale. Noi siamo in sei e la nostra musica è sempre il prodotto di quello che riusciamo in quel momento a tirare fuori. La nostra musica attuale è là dove ci hanno portato la nostra storia, la nostra vita, le esperienze personali di ciascuno di noi. I riferimenti sono la scintilla iniziale per formare un gruppo, ma poi quando si inizia a suonare ci si muove verso un orizzonte proprio. Poi il nostro percorso si è sempre mosso un po’ al di là di queste etichette, abbastanza a margine rispetto alle correnti, anche perché viviamo in provincia e non siamo al centro dell’attualità. Noi abbiamo cercato di seguire la nostra via, cercando di raccontare quello che è il nostro mondo guardando anche sempre però al di fuori dei confini nazionali. Ci piace dire che a Carpi parte la strada per il Brennero che porta fino a Berlino.
Ho notato che nei tuoi ultimi tweet c’è il seguente appello “Salvatemi dalla perversione per il classic-rock”. Tra i brani postati postati c’è una canzone dei Dire Strites e un video in cui Dave Grohl canta una canzone di Elton John. Se la perversione è di questo tipo, permettimi di sollevare dei dubbi sulla prossima evoluzione dei Giardini di Mirò…
(grando risate…) La fortuna dei gruppi è che si è in tanti! Quindi non c’è nulla da temere. Ad ogni modo, al di la degli scherzi, il mio background è molto legato al rock classico, artisti che hanno segnato l’epoca d’oro della musica rock e a cui è impossibile non essere in qualche modo debitori. Nell’ambito della musica alternativa c’è sempre un po’ una preclusione, la paura di sporcarsi le mani con cose che non sono certificate come tali. Ma per come la vedo io la musica è sempre un viaggio avventuroso, che va affrontato con coraggio, senza tanti paraocchi. Io non sono cresciuto con un fratello che mi ha fatto ascoltare i Joy Division, i miei gusti me li sono costruiti un po’ da solo. Sono partito da Vasco Rossi, dalle cose che sentivo alla radio, dalle cose che ascoltava mia madre. Nel mio background c’è anche molta musica italiana, cose che non c’entrano niente con i Giardini di Mirò ma che ancora oggi mi appassionano molto: Jannacci, De Andrè, Tenco, Gino Paoli.
E sempre per la serie “riferimenti che non t’aspetti”, qual è l’album di cui non potresti fare a meno?
Sticky Fingers dei Rolling Stones.