Music

January 2, 2012

Bolzano, i concerti rock ci sono. Ma il pubblico dov’è?

Fabio Gobbato

Le rock-band bolzanine crescono e, finalmente, nel 2011, il capoluogo ha avuto un’offerta di musica quasi completa. Oltre al diluvio di concerti di classica e jazz finalmente si è potuto assistere anche a concerti di buono o ottimo livello. Ma perché non finisca tutto subito è necessario che ai prossimi appuntamenti gli organizzatori non vivano con l’incubo del “punto di pareggio” che in diversi casi non viene raggiunto. Possibile che non si trovino 4-500 persone disposte a pagare un biglietto per vedere un concerto?

Come Franz abbiamo stretto degli accordi di partnership con Unclevanja e Poison For Souls, i due principali promoter della scena bolzanina. Il 6 gennaio arrivano alla Halle i Planet Funk (Pfs) e il 27 gennaio le Chicks on speed (Uv). Tolto Zucchero, sono forse i due gruppi più grossi degli ultimi 12 mesi: i primi, per dire, sfiorano i 20.000 “like” su facebook, le seconde hanno un seguito vastissimo soprattutto, ma non solo, nell’area germanica.

Fino a 10-15 anni fa, se un’associazione come Tandem o Los Quinchos organizzava un concerto “con biglietto” era praticamente certa che sarebbero arrivate almeno 4-500 persone. Altra storia per i concerti gratuiti al Talvera, dove le persone sono almeno 1.500 (e anche il doppio) chiunque vi sia sul palco. Ma lì si rientra dalle spese con i contributi pubblici, con le birre e grazie al lavoro dei volontari. Al chiuso, d’inverno, bisogna staccare biglietti a raffica. Altrimenti si va sotto.

I due privati in questione, di fatto, stanno proponendo quello che nessuna associazione è riuscita a proporre: un’offerta continuativa (ma questo è normale, visto che le associazioni avevano o hanno altre finalità). Ora, di seguito, una serie di considerazioni e domande in ordine sparso. Molto sparso.

1) Delle centinaia di musicisti altoatesini solo una parte sembra interessata a vedere concerti dal vivo, salvo poi lamentarsi un giorno sì e un giorno no che a Bolzano non c’è nulla. Vanno magari al concerto degli amici più stretti, ma non a quello di un musicista fondamentale come Damo Suzuki, dei Linea 77, dei Tre allegri ragazzi morti. Come si può spiegare a questi musicisti che sarebbero “moralmente obbligati” ad andare ai concerti? E’come se un giovane violinista non andasse a sentirela Haydnola London Symphony.Come se un’aspirante trombettista non andasse a sentire Fresu perché preferisce Rava. In realtà, mi dicono nell’ambiente, è proprio così: i giovani violinisti e trombettisti, salvo rare eccezioni, non vanno né dall’una né dall’altra parte. Come si può convincere un giovane bassista che non può mancare ai Planet Funk o alle Chicks? Avrà un insegnante dell’Istituto musicale, del Cesfor o di Musica blu che lo invita ad andarci? Gli insegnanti di queste fondamentali agenzie formative, che sanno quanto è difficile vivere di musica, potrebbero invitare i loro studenti ad andare ai concerti? Perché il punto non è se i concerti sono belli o brutti, se uno conosce la band o meno …  Per chi suona, assistere a un concerto dovrebbe essere un momento di crescita a prescindere dalle qualità tecniche dei musicisti sul palco. Conoscendo un po’ l’ambiente, spesso ho la sensazione che gli insegnanti di musica tendano a eccitarsi solo per l’arrivo in città di un virtuoso dello strumento che insegnano. Punto. Se non arriva “il mostro”, zero entusiasmo. In sintesi, oggi che il mercato discografico è in difficoltà come mai prima e la musica dal vivo è una sorta di ultima spiaggia, bisognerebbe forse che almeno i musicisti andassero ad ascoltare i concerti.

2) Per chi non suona, invece, il discorso è diverso. Ci sono migliaia di ragazzi che preferiscono prendersi 3 birre in piazza Erbe che andare a un concerto. Sono irraggiungibili o forse l’1% potrebbe essere coinvolto? Se non altro perché i concerti finiscono in molti casi con dj set di buon livello (mi rendo conto dell’assurdità di questa frase, ma ci si deve appigliare a tutto). Il problema sono i soldi? Un concerto costa come un film + bidone di popcorn al Cineplexx, in fin dei conti. Ma vedere un film mediocre che poi non piace è naturale, mentre il concerto di un musicista poco conosciuto è off limits. Perché?

3) E’ vero che a Bolzano mancano le facoltà umanistiche, ma un po’ di studenti interessati alla musica, almeno a Design, ci saranno? In quasi tutte le città gli universitari tengono in piedi la musica dal vivo. Per gli studenti (e non solo per loro) spesso il problema sono i soldi. Gli organizzatori potrebbero fare biglietti a metà prezzo per chi ha la tessera universitaria?

4) I giornali di lingua italiana sembrano dare agli eventi un buon rilievo, quelli di lingua tedesca, invece, tendono a ignorare i concerti nel capoluogo. In realtà, però, sembra che oggi sia più importante un post sulla pagina Facebook dell’Alto Adige che non un articolo di apertura nella pagina degli spettacoli. Dunque, cosa possono fare di più i media? Le trasmissioni radio della Rai locale si sono già occupate di diversi concerti. E le private? Come fare in modo che alcune delle radio locali contribuiscano “naturalmente” programmando almeno le band più note e “ascoltabili” e riservando almeno qualche piccolo spazio per i gruppi più “sperimentali”? In una città abituata alla musica questo avviene anche al di là degli scambi commerciali (io ti compro tot spot e tu parli del mio concerto). Per un’emittente dovrebbe essere normale, che ne so, cercare di avere un’intervista con un cantante in arrivo a Bolzano. Oppure programmare un pezzo dicendo che quel gruppo sarà domani sera alla Halle. Ma forse lo fanno già e io non lo so.

5) Lo zoccolo duro dei 40-50enni che da sempre segue la musica sembra essere presente ai concerti con regolarità. Chi della “vecchia guardia” non è presente è perché ha cambiato interessi o è frenato da impegni familiari.

6) Per questo tipo di concerti non è previsto e forse non è neppure giusto un intervento diretto dell’amministrazione pubblica. Ma cosa possono fare Provincia e Comune per sostenere un ambito culturale fondamentale? Mettere a disposizione il famoso nuovo Kubo, questo è sicuro. Visto il successo che ebbero le 5 giornate del jazz con Fresu, mi chiedo se potrebbe avere senso provare a proporre una cosa del genere: http://www.auditorium.com/eventi/rassegne/1340198. Con le lezioni di rock Assante e Castaldo qui a Bolzano non muoverebbero le folle come è avvenuto a Roma, ma, magari, coinvolgendo qualche “gloria” del rock locale, una sorta di “supergruppo” che si presti, come fece Fresu, a ripercorrere la storia del rock, la cosa potrebbe funzionare. L’idea non è originalissima, me ne rendo conto, ma l’effetto traino delle 5 giornate sui concerti jazz è durato per qualche anno (ora pare essere finito). Fare una cosa del genere sarebbe come ammettere: siamo alla canna del gas.

7) esistono due pubblici, uno italiano e uno tedesco. Pubblici che si riescono a far convergere nella stessa sala in poche occasioni. Ci vorrebbero band anglofone con un buon seguito. Ma spesso anche questo non basta. Qui però entriamo nel paranormale, ci vogliono poteri soprannaturali per immaginare come sia possibile saltare i muri

8) Per le band italiane qualche speranza potrebbe venire dal pubblico trentino, ma si sa, i50 kmche separano i due capoluoghi corrispondono a circa 500 “percepiti”. La sensazione è che fino a un decennio fa le cose andassero diversamente (i travasi da una Provincia all’altra erano forse più frequenti). Ma potrebbe essere solo una sensazione e, in realtà, gli ultimi pellegrinaggi di massa risalgono ai mitici anni Ottanta del Joy.

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There are 10 comments for this article.
  • J · 

    Cazzarola il Joy… ci ha suonato pure Henri Rollins… La questione è complessa comunque e ha a che fare con la bolzanesità che vista da fuori ha un che di surreale. Ci sono i mezzi, le condizioni (tra cui la connivenza di lingue e culture), i luoghi eppure Bolzano non riesce a staccarsi dal bancone del bar e da una certa mentalità spesso ombelicale. Altrove farebbero i salti mortali per avere quello che c’è da quelle / queste parti. Me ne accorgo ogni giorno. È un discorso che meriterebbe un approfondimento. Non c’è mai stato modo di digerire il passato e di guardare oltre, sarebbe l’ora di farlo.

  • Paola · 

    concordo su tutto, sul Joy in particolare, ma la cosa assurda è che davvero non ci sia la voglia degli studenti di musica di vedere e ascoltare musica dal vivo.. La stessa cosa vale per il teatro comunque..

  • daniele · 

    la teoria della maggior parte di queste affermazioni é pienamente condivisibile, ed é sicuramente assurdo che alcune persone preferiscano spendere i loro soldi al bar piuttosto che andare a godersi un bel concerto(questa affermazione é rivolta soprattutto ai musicisti).
    pero ci sono delle considerazioni da fare:
    negli anni passati si assisteva soprattutto a concerti di band locali, c´era spazio per tutti, giovani compresi(dai 17 anni), il concerto della grande band era un evento é quindi si andava ad assistere all´evento con molta trepidazione.
    ora c´é un po meno spazio per le giovani band, ci sono sempre piú concerti di band famose che vengono un po da tutte le parti del globo….
    le mie domande sono:
    ma siamo sicuri che una band statunitense( o di un altro stato) sia meglio di una band locale?
    ma siamo sicuri che valga sempre e per forza la pena andare a vedere un concerto di una band solo perché é famosa?
    famoso vuol per forza dire d´eccellenza?
    non so, a me piace scoprire cose nuove ed un po particolari e credo che questo nasca dal basso e sia difficile che l´industria discografica(a parte in qualche caso)possa sempre proporre dell´eccellenza…personalmente mi riscopro a comprare dischi solo ai piccoli concerti, di piccole band con nomi sconosciuti, qualcuno lo conosco, qualcuno é mio amico, altri invece li vedo per la prima volta….
    qualcosa é sicuramente cambiato nell´industria discografica ma il pubblico ha “sempre ragione”(per me ovviamente!)

  • Matt · 

    Le domande poste da Fabio sono più che condivisibili. Forse il pubblico langue per una questione di gusti, ma si sa, non sempre si può accontentare tutti, anche se le proposte nel corso dell’ultimo anno sono state abbastanza variegate. Una risposta, forse, la si può trovare in una certa testardaggine da parte dei bolzanini e in un cambio delle abitudini dovute ad internet.
    Da quando ho iniziato a frequentare l’ambiente dei concerti dal vivo, a 13 anni circa, i nomi “altisonanti” che venivano a suonare in città raccoglievano sempre un certo successo. Penso a gruppi come Litfiba, Articolo 31, cantanti come Jovanotti, Carboni, Zucchero o a star internazionali come Brian Adams o gli Ac/Dc. Anche le “trasferte” in quel di Trento non erano insolite e si scoprivano gruppi a cui veniva affidata l’apertura della serata che valevano da soli il prezzo del biglietto (ricordo a proposito un set di circa 40 minuti degli allora The Roldeg Stones prima di Elio e le Storie Tese al S. Chiara di Trento). Ma se una volta c’era la mancanza di attrattiva nell’andare a sentire qualcuno che non era in classifica (si contano sulle dita di
    una mano quelli che nel lustro compreso tra il ’95 e il 2000 si sarebbero mossi per gruppi come Afterhours, Marlene Kuntz, Verdena, Tre allegri ragazzi morti, Africa Unite, G.P. & the Bluebeaters, Bluvertigo, tanto per citarne alcuni) o che ogni tanto appariva su MTV o sull’allora TMC2 / Videomusic, ora i ragazzi non si muovono più neanche per i gruppi noti.
    Non importa che siano in classifica, che siano conosciuti, o che facciano parte della scena underground. Il bolzanino medio non si muove e non si degna neanche di comprare un cd su
    itunes. Questo forse è dovuto anche al fatto che con internet tanti gruppi hanno ottenuto maggiore visibilità, per cui si potrebbe quasi affermare che c’è una sovraofferta.
    I miei amici che ai tempi ascoltavano metal per avere informazioni si recavano ogni mese in edicola per comprare riviste specializzate, talvolta riuscivano a trovare e registrare qualche raro programma a tema in tv. Ora internet e Youtube hanno facilitato tutto per cui non c’è più quella voglia di cercare di scoprire qualcosa, di ascoltarlo, di averne la cassetta o il cd e di farla girare nella propria compagnia per farla conoscere e condividere opinioni. No, ormai tutto è a portata di tutti, non si compra niente e visto che tanto ci sarà qualcuno che va col telefonino al concerto e poi mette tutto su youtube, chi me la fa fare di pagare un biglietto per vedere un concerto? Nessuno, tra l’altro poi posso vederlo quando voglio e quei 15 euro del biglietto me li vado a bere al bar. Con questo posso affermare che la mia generazione sia stata
    l’ultima vera generazione “pionieristica”, visto che quelli che sono venuti dopo hanno già trovato tutto pronto.
    Se andate in Emilia, nella “patria del rock” in Emilia, troverete una situazione nettamente diversa: oltre ai concerti gratis delle varie feste dell’Unità, anche quelli a pagamento sono sempre pieni sia che si svolgano in un club, in un circolo Arci o in un locale con più fama. Da tenere presente che, negli ultimi anni, quasi tutti i locali, per mantenersi e offrire spettacoli ad un prezzo giusto, chiedono la sottoscrizione di una tessera socio che nei migliori casi costa 5 euro. Vale un anno e può essere quindi ammortizzata su più spettacoli. Ora che per lavoro sono tornato a “casa” vi posso assicurare che entrare a vedere Damo Suzuki e trovare 4 gatti quasi tutti coetanei, fa un po’ pensare, specialmente se la sera prima eri al Vox di Nonantola (MO) a vedere i Verdena, il locale era pieno e il pubblico andava dai 15 ai 45 anni ed erano
    tutti coinvolti.
    Ora che la situazione inizia a “muoversi” anche a Bolzano, sarebbe il caso di apprezzare gli sforzi di chi organizza queste manifestazioni e parteciparvi senza esitazione. Non riesco veramente a capire perchè i musicisti snobbino queste occasioni, in cui, oltre a poter godere di uno spettacolo c’è la possibilità di imparare sempre qualcosa, di poter scambiare opinioni con altri musicisti e/o appassionati. Sta di fatto che se quando vengono da noi gruppi come quelli citati da Fabio nel suo articolo (oltre a Malfunk e The Niro che al Pippostage per quanto gratis non hanno attirato grandi folle) la gente non risponde all’appello, c’è il pericolo che chi organizza queste serate smetta di farlo e così ci ritroveremo a cantare per l’ennesima volta lo stesso ritornello “A Bolzano non viene mai nessuno”.
    Ora che l’offerta inizia ad esserci, sarebbe il caso di coglierla.

  • Luca Sticcotti · 

    Fabio, i problemi che tu segnali in sintesi sono una generalizzata carenza di pubblico e la cronica latitanza dei musicisti all’interno nel pubblico stesso.
    Provo a riflettere in maniera sintetica sui due problemi, partendo dal secondo.
    Mi ricorderò sempre la risposta lapidaria che Joe Zawinul diede ad un giornalista che gli chiese quale musica ascoltasse. “Io la musica la faccio, mica la ascolto!” disse stizzito il fondatore dei Weather Report.
    Ebbene i musicisti nelle loro apparizioni pubbliche tendono a privilegiare i contesti in cui possono “tocare” il loro strumento e sono per forza di cose parecchio selettivi se si tratta di andare “solo” a sentire un concerto. Per quanto riguarda i più giovani mi sembra di notare poi oggi una curiosità molto minore a quella onnivora che caratterizzava i miei tempi.
    Per quanto riguarda l’assenza del pubblico è vero che, come dici, tende ad estendersi a tutti i generi musicali. E devo purtroppo notare che negli “eventi” dove il pubblico non manca, che pure ci sono, spesso sono spinte legate agli aspetti “sociali” dell’evento ad attirare il pubblico, più che la voglia di ascoltare (buona) musica.
    Senz’altro anche i prezzi dei biglietti anno il loro peso, specie per i giovani, anche se non si può pensare che i giovani si debba addirittura pagarli perché vadano ai concerti. Non è uno scherzo, nell’ambito della classica si sta ragionando (anche) su questa (sciagurata) ipotesi.
    Ma a mio avviso c’è anche parecchia pigrizia. Ed insieme anche e forse una progressiva mutazione nelle abitudini.
    D’altronde non si può pensare di condire ogni evento con aperitivi preventivi e DJ a seguire per renderli più appetibili.
    Per quanto riguarda un possibile seguito a progetti in stile “5 giornate del Jazz” mi viene da pensare che per la musica (anche per quella rock) manca forse un’operazione tipo quella compiuta con il Cristallo. Un “lancio” in grande stile di una forma artistica coinvolgendo la massa, che però poi dia continuità attraverso un “luogo” innervato nel territorio che continui a seminare nel terreno dissodato.
    Eccomi di nuovo nel sentiero caldo che presagisce in questo periodo la necessità di un LUOGO simile ad un Treibhaus bolzanino, tagliato sul pubblico reale, sulle esigenze reali, senza velluti e lustrini, e dove organizzatori, realtà associative ed ente pubblico possano convogliare e (se vogliono) unire i propri sforzi.
    Il luogo è importante, ad esso ci si affeziona. Specie se è magicamente compatibile (molto più di quelli attualmente disponibili) con le vie correnti dello stare insieme…

  • Daniele One Beat Movement · 

    Tutte ottime proposte.davvero.
    Fatemi fare una riflessione aggiuntiva, il clubbing a bolzano funziona, il rock no. Beh sarebbe bello se funzionassero entrambi,è il caso di rifletterci perché più musica è solo un vantaggio per tutti.
    ultimo One Beat 23 dicembre 2011 a Bolzano:
    http://img233.imageshack.us/img233/9501/img0229ni.jpg
    http://img716.imageshack.us/img716/8370/img0223ko.jpg

    Per non parlare di Love Electro, o di altri eventi come Wup Wup.
    Come è stato possibile in un posto dove esistono posti abberranti che non cito ma che tutti conosciamo e dove si rischiava di finire ogni sabato sera per mancanza di alternative?
    Ci vogliono tante cose, i giusti booking la giusta comunicazione ed essere in contatto con i giovani italiani e tedeschi, che certo non decidono dove andare la sera leggendo l’alto adige, il corriere o la tageszeitung. Non funziona così a Berlino o a Londra non vedo perchè dovrebbe funzionare così a Bolzano. Non si può pretendere però di fare pubblico con 2 manifesti e booking che funzionerebbero poco persino in città come Milano oggi come oggi.
    La crisi è selvaggia ma ricordiamoci che oggi Kalkbrenner o Skrillex muovono più gente di Celentano e vorrei sapere quanti qua dentro sanno chi sono. Il mondo della notte è un mondo in evoluzione così come il mondo diurno, ha le sue esigenze, le sue tendenze, la sua iconografia i suoi linguaggi. Promuovere musica significa conoscere questo mondo, parlare la sua lingua. Una delle tante cose che mi colpirono quando vivevo a Berlino fu che il sito web più ambito per gli eventi era un sito a cui non si poteva accedere se qualcuno che che era già dentro non ti dava la password, e agli open air pubblicizzati solo la sopra di domenica pomeriggio potevi trovare 5 mila persone.
    Questo per dire che il mestiere del promoter non finisce certo con il booking e i manifesti, anzi. E’ tutto il resto quello che conta veramente, la sensazione di comunità che si crea attorno ad un evento, l’esclusività l’immagine, termini che nel nostro paese sono spesso legati alle discoteche “fighette” non capendo così , con il tipico massimalismo italiano, che ogni tipo di ambiente culturale ha le stesse regole, cambiano solo i contenuti.
    I manifesti, i giornali, le radio le istituzioni i siti web in questo settore contano al massimo un 20%.
    L’80% è human touch, passaparola , relazioni sociali, immagine, qualità percepita.
    Dal punto di vista artistico poi ogni 6 mesi c’è un artista nuovo e il suono è cambiato un po’ IN OGNI GENERE, leggere la contemporaneità e il posto che si abita è il vero compito del promoter. Quelli bravi lo fanno istintivamente, altri come me cedono alla tentazione della teorizzazione e poi rompono le balle su siti di cultura perché nessuno li chiama a tenere conferenze.
    Oggi il rock rischia di essere superato e da un certo punto di vista è come lamentarsi che i giovani non vanno in balera. Certo molti gruppi e sonorità sono ancora ottimi da sentire a casa, personalmente quando sono a casa preferisco Jimmy Hendrix a Vybz Kartel o Miles Davis a Deadmaus. Ma quando vado a ballare…beh è un altro paio di maniche cazzo se sento una chitarra ti do fuoco all’impianto. Ma questo sono io, che si sa sono un po’ sui generis :D .
    Ma vi invito a riflettere sul fatto che in realtà per certe offerte non abbiamo mai avuto un pubblico così competente musicalmente come quello che c’è oggi e Bolzano per quanto è piccola divisa e retrograda su certe cose, è invece avanguardia per la club culture, e solo 3-4 anni fa era al pari della peggio periferia europea. Giro l’Italia per suonare come dj e posso dirvi senza timore di smentita che attualmente un party di generi di nicchia come one beat non ha uguali nel nord Italia per line up e seguito, mente love electro e wup wup sono all’altezza delle serate a roma o milano in generi elettronici più popolari.
    Sarebbe facile pensare che è tutto più facile. Ma forse sarebbe + utile pensare cosa si può fare per ottenere risultati simili
    Certo il rock è un altro discorso, ma se posso dare un consiglio nei nostri tempi vince solo quello che scalda il cuore, se un prodotto è buono la gente se ne accorge, ma deve essere buono davvero deve essere DESIDERABILE da una persona che ha lavorato o studiato tutta la settimana, le chiamate all’ordine per il bene della cultura non portano da nessuna parte. Il sacrificio prende già tutta la settimana, non potete chiederlo anche il venerdì e il sabato sera.
    Come riuscirci? Inventiva gente, è questo il bello del mestiere
    Certo c’è un problema di numeri per il rock basta fare due conti sulla popolazione di Bolzano per capire che non si possono fare 1000 persone con un gruppo rock italiano.
    Impossibile. Oggi.
    Però tutto si può sempre cambiare.
    A rischio di ripetermi fastidosamente noi siamo passati in pochi anni da dancehall gratuite con 50 persone a riempire l’halle 28 a pagamento. Ma attorno c’è un MOVIMENTO non a caso l’associazione si chiama One beat Movement, bisogna veicolare prima ciò che si vuole promuovere, fare mixtape, stare a contatto con la gente, battere la strada, stare nei bar.
    Siamo sinceri certe volte è proprio un lavoro del cazzo e per quanto possa pagare non pagherà mai abbastanza rispetto al culo che ti sei fatto. Non è certo un settore dove si fanno i soldi, tanto meno facili, questo è un grande equivoco molto di moda dietro la promozione musicale oggigiorno, però se ami la musica in cui credi lo fai e se lo fai bene i risultati arrivano.
    Purtroppo oggi non c’è un’altra via queste sono le forme di aggregazione che ha la generazione fra i 20 e i 30 anni, se vuoi fare eventi ti ci devi confrontare.
    Alziamo il livello, miglioriamoci. Ricordiamoci che quando promuoviamo un evento non lo facciamo solo per noi ma per la gente che viene a vederlo.
    Altro consiglio non richiesto ma che ritengo prezioso nell’epoca dell’edonismo consumista funziona quello che la gente scopre che può migliorare la sua qualità della vita. ma non basta deve sapere di desiderarlo. Il promoter è li apposta. Se si segue questo codice tutto può funzionare forse anche la musica da balera, e quindi anche il rock :D . Tutto va bene se il giorno dopo sai che hai speso i tuoi soldi per qualcosa di speciale. Piccolo consiglio gratuito agli altri operatori per il bene della musica: Ogni merce che funziona oggi è un emozione e l’intrattenimento lo è ancora di più.
    p.s.
    tutto questo nell’ottica di “non lamentarti quando l’arbitro sbaglia la chiamata ma pensa a fare più punti dell’avversario” che mi inculcava il mio allenatore quando giocavo a basket. Chiaramente però tutto il settore dell’intrattenimento avrebbe bisogno di una potente deregulation e riduzione della pressione fiscale, questo permetterebbe di offrire prodotti migliori a prezzi molto più bassi FACILITANDO TUTTO MOLTISSIMO ma questo chi è nel settore lo sa fin troppo bene non c’è bisogno che lo dica io.

  • Fabio Gobbato · 

    @daniele one beat. Concordo su molte delle cose che hai scritto. Per questo a un certo punto ho scritto che i dj set dopo i concerti potrebbero essere un elemento da sfruttare. Cioè, a me, che sono fondamentalmente un rockettaro e quando sento una chitarra in pista sto benissimo, viene un po” male. Ai miei tempi il dj dopo il concerto era un riempitivo, la pista si svuotava alla terza traccia. Una tristezza. Ora la tendenza si è invertita. Per me, che pure ho grande stima per chi fa il tuo lavoro e ho capito solo dopo i 25 anni che “il dj suona”, è un po’ triste. Ma pur di riempire quelle benedette sale, vale tutto. Sullo human touch credo tu abbia ragione, anche se abbasserei un po’ le percentuali (65-35). Ora dico che una cosa che suona presuntuosa. Non voglio sopravvalutare il peso di Franz –c’è sempre il rischio di passare per autoreferenziali – però il nocciolo del progetto è proprio quello di creare uno human touch virtuale. Uso la parola community sempre con estremo pudore (quasi fastidio) , ma rende l’idea. L’obiettivo è di creare un piccolo punto di riferimento per una somma di piccole-medie-grandi nicchie che si informano e discutono su ciò che accade, culturalmente parlando, da queste parti. Un progetto in fieri, concettualmente fin troppo ambizioso, che però è in realtà già piuttosto concreto. La quantità e la varietà di gente che è venuta all’opening dell’ufficio o alle feste al Museion ne è in parte la testimonianza. Non siamo arrivati ancora da nessuna parte, e tenere i piedi nella scarpa delle collaborazioni istituzionali e contemporaneamente in quella del dare voce al mondo alternativo (altra parola che non sopporto) non è facile né scontato. Ma è l’unica via per tenere in vita il progetto. Sembra incredibile, ma in questi quasi due anni ho capito che l’amante dei concerti rock, il collezionista d’arte e il dirigente pubblico hanno qualcosa in comune. L’obiettivo è quello di aumentare sempre di più il numero di interlocutori e partner che producono e propongono cultura. E One beat per me è cultura, non semplice intrattenimento (sul rock invece nessuno ha dubbi ). Tutto questo dovremmo riuscire a realizzarlo senza dare l’impressione di voler fagocitare tutto, di crederci i più fighi o quelli che vogliono dettare la linea o arricchirsi (questa fa quasi ridere, lo so, ma c’è pure qualcuno lo pensa e lo scrive). Complicatissimo. Intanto speriamo di riuscire a dare una mano ai promoter e convincere qualche persona in più che due-tre ore ad un concerto sono soldi spesi bene.

  • enrico sartini · 

    …ci vogliamo mettere tutta la burocrazia che ormai intralcia anche ‘l’organizzazione del più’ piccolo evento???…SIAE….agibilita’…..affitto sala….oggi come oggi anche volendo organizzare un piccolo party o ti sbatti come un pazzo con le prevendite e fai una cosa PRIVATA oppure devi avere almeno 1000 euro da poter rischiare, senza metterci le spese per il gruppo o un DJ ospite…..e poi non mettiamo in conto LE CLASSICHE CONOSCIENZE…ce’ chi può’ fare certe cose e chi no’ !!!!……

  • Fabio Gobbato · 

    Bene. Il successo, inaspettato quanto meno per le dimensioni, del concerto dei Planet Funk, dimostra che un pubblico c’è, ci può essere. Sarebbe interessante capire che cosa lo ha permesso davvero. Ho visto un mare di persone cantare anche pezzi dell’ultimo disco, e questo mi ha sorpreso parecchio. Era scontato vedere saltare tutti per Who said, non altrettanto per gli ultimi brani. Tra un paio di settimane, il 27, ci sono le Chicks on speed. Altro concertone, altro gruppo di livello internazionale, altra “prova”.